Introduzione

I distruttori o interferenti endocrini (IE) costituiscono un gruppo molto ampio di sostanze o miscele di sostanze che alterano le funzioni del sistema endocrino causando, di conseguenza, effetti avversi sulla salute di un organismo o della sua progenie [1].

L’ampia applicazione di tali sostanze in diversi settori, la loro capacità di contaminare il corpo umano attraverso differenti vie e di accumularsi anche per anni nel tessuto adiposo, rendono ragione del pericolo che deriva da una loro esposizione cronica, anche a piccole dosi [1].

L’Unione Europea ha selezionato 564 sostanze sospettate di essere IE. Di queste, 147 possono essere persistenti nell’ambiente o prodotte in grandi volumi; solo di 66 sostanze è stato provato che possano agire come interferenti endocrini (categoria 1) mentre di 52 c’è solo qualche prova che siano potenziali interferenti endocrini (categoria 2) [1]. Molti degli IE sono inseriti nella lista degli inquinanti organici persistenti (Persistent Organic Pollutants, POPs), perché tendono ad accumularsi nei tessuti grassi degli organismi (Tabella 1) [1].

Tabella 1 Principali interferenti endocrini (IE) e loro origine

Gli IE agiscono sul sistema endocrino a vari livelli e attraverso vari meccanismi (Tabella 2, Fig. 1): possono legarsi ai recettori di alcuni ormoni (per esempio quelli degli androgeni e degli estrogeni, quello degli ormoni tiroidei) agendo da agonisti oppure da antagonisti recettoriali, modificare sintesi, secrezione, metabolismo, eliminazione e trasporto degli stessi ormoni [2]. A loro volta, le alterazioni del sistema endocrino indotte dagli IE possono esprimersi con una vasta gamma di effetti con differenze età- e sesso-correlate, in funzione dell’esposizione (pre- e post-natale), con effetti che possono influenzare anche la prole dell’individuo esposto. Un sempre più crescente numero di studi suggerisce che gli IE possono influenzare l’insorgenza di alcune neoplasie del sistema endocrino [3].

Fig. 1
figure 1

Meccanismo d’azione dei distruttori endocrini

Tabella 2 Principali interferenti endocrini (IE) e ghiandola endocrina su cui agiscono

In questa rassegna verranno decritti i sistemi endocrini su cui i principali IE agiscono e le possibili direzioni future di ricerca.

Ipofisi

Per quanto concerne l’adenoipofisi, alcuni studi epidemiologici riportano una maggiore incidenza di adenomi ipofisari in pazienti con pregressa esposizione alla tetracloro-dibenzo-diossina (TCDD) dopo l’incidente nella località di Seveso nel 1976 [4] e, in particolare, di adenomi secernenti l’ormone della crescita (GH), la cui prevalenza è riportata aumentata da alcuni autori in aree particolarmente industrializzate [5]. Studi in vitro hanno dimostrato una correlazione tra alcuni agenti inquinanti e una maggiore proliferazione delle cellule adenoipofisarie. In particolare, il benzene e gli ftalati sembrerebbero aumentare la proliferazione cellulare attraverso una disregolazione nella produzione del recettore degli idrocarburi arilici (Aryl Hydrocarbon Receptor, AHR) e di proteine interagenti con tale recettore (AHR-interacting protein, AIP), una via di soppressione tumorale su cui agiscono anche altri IE quali idrocarburi aromatici policiclici, policlorobifenili (PCB) e composti aromatici clorurati [6]. Il coinvolgimento di AIP è testimoniato da alcuni studi in cui si osserva una correlazione positiva tra mutazioni del gene AIP e presenza di sindrome familiare da adenoma ipofisario isolato, oltre che di somatotropinomi familiari e di alcuni casi di acromegalia. Inoltre, la mutazione di AIP è associata con un fenotipo di malattia acromegalica più aggressivo e meno responsivo ai trattamenti medici convenzionali [5].

In altri casi, l’ipersecrezione di GH si associa a un’aumentata esposizione ad alchilfenoli, bisfenolo A (BPA) e PCB. Infine, dal momento che gli estrogeni esercitano una stimolazione diretta sul rilascio di GH, un potenziale effetto sulla secrezione di GH potrebbe essere ipotizzato per tutti gli IE con attività estrogenica, quali il diclorodifeniltricloroetano (DDT) e il dietilstilbestrolo (DES) [1].

Anche le cellule lattotrope risultano sensibili agli IE. Il BPA e alcuni pesticidi con attività estrogenica (endosulfano e clordano), sembrano stimolare la produzione di prolattina (PRL), sia in vitro che in vivo [7]. Anche alcuni metalli pesanti, quali piombo, cromo e cadmio, noti come “metallo-estrogeni”, risultano associati positivamente alla secrezione di PRL. Tuttavia, in questo ambito, le evidenze non sono completamente concordi dal momento che altri studi hanno documentato come altri metalli (mercurio e molibdeno) sarebbero piuttosto associati a livelli ridotti di PRL [8].

Gli IE sembrerebbero avere un effetto anche sulla neuroipofisi e, di conseguenza, sul rilascio di vasopressina (AVP) e ossitocina. In particolare, nei mammiferi il rilascio di AVP sembra influenzato da BPA, così come l’esposizione ai polibromodifenileteri (PBDE) aumenta il numero di neuroni che rilasciano AVP. Inoltre l’esposizione perinatale al BPA è associata a una up-regolazione del rilascio di ossitocina, sia nei maschi che nelle femmine, mentre non ci sarebbero differenze nel numero di neuroni rilascianti ossitocina dopo l’esposizione peri-natale a PCB [9].

Tiroide

Numerosi studi riportano un certo ruolo degli IE nel corretto funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide, nell’eziopatogenesi di alterazioni del neurosviluppo infantile in seguito a esposizione in corso di gravidanza, oltre che nella maggiore frequenza o maggior precocità del carcinoma tiroideo; viceversa, gli studi circa il ruolo degli IE nell’autoimmunità tiroidea sono piuttosto scarsi.

Ad oggi risulta riconosciuto come i ritardanti di fiamma (PCB, PBDE), i plastificanti (BPA, ftalati) e alcuni pesticidi possano interferire direttamente con l’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide. In particolare, vista la mole di dati non sempre concordi, circa il loro effetto in termini di alterazione dei livelli degli ormoni tiroidei, della non sempre consensuale alterazione della tireotropina (TSH), l’interesse della letteratura si è spostato su altri possibili meccanismi quali l’interferenza diretta con i recettori degli ormoni tiroidei (THR) o con il loro trasporto [10].

Review anche recenti [11] hanno evidenziato come spesso l’esposizione pre- o post-natale agli IE, specialmente PCB e PBDE, si associ ad alterazioni del neurosviluppo infantile, soprattutto in giovani maschi, con un effetto capace di protrarsi fino all’età adulta. Seppure risulta difficile indicare con precisione i meccanismi alla base della relazione tra IE e neurosviluppo, esiste un consenso sul fatto che gli IE provochino una condizione di ipotiroidismo materno [1, 2, 11], responsabile di ben note alterazioni cognitive o neurocomportamentali nella prole.

Vista l’azione degli IE a livello anche trascrizionale, non stupisce che questi siano stati chiamati in causa nel tentativo di spiegare l’incremento di incidenza delle neoplasie ormono-correlate delle ultime decadi, inclusa quella tiroidea [3]. Gli IE con il maggior numero di studi suggestivi per associazione positiva sono ftalati, pesticidi, metalli pesanti e solventi/fenoli organici (BPA, PBDE). In particolare, seppure gli ftalati siano quelli associati a un rischio maggiore, particolare attenzione occorre prestare ai metalli pesanti, possibili contaminanti del pescato e capaci di accumularsi a livello tiroideo maggiormente che in altri tessuti [12]. L’esposizione verosimilmente lavorativa a certi agenti volatili, quali la formaldeide, può aumentare la prevalenza di tumore tiroideo in tarda età, mentre la residenza in aeree vulcaniche (cariche di sostanze quali nitrati, vanadio, manganese e altri metalli pesanti) si associa, invece, a un aumento delle insorgenze precoci del tumore tiroideo [13].

Scarsi sono gli studi circa la relazione tra IE e autoimmunità tiroidea, verosimilmente per l’alta prevalenza di tale disturbo nella popolazione generale e/o per la mancata ricerca di marcatori specifici di autoimmunità tiroidea quali gli anticorpi (anti-tireglobulina, AbTG, anti-tireoperossidasi, AbTPO) e le alterazioni ecografiche. Una recente review raccoglie le evidenze tra il 2007 e il 2019 circa l’associazione tra il consumo di pesce (in particolar esemplari di specie predatorie di grossa taglia), la concentrazione di alcuni inquinanti (mercurio, PCB, PBDE, DDT, POP) e i livelli di AbTG e AbTPO [12].

Ghiandole surrenaliche

Alcuni studi condotti nell’animale hanno dimostrato che l’esposizione al PCB determina principalmente un effetto inibitorio sull’asse HPA, sia direttamente a livello ipofisario con una riduzione dei livelli di ormone adrenocorticotropo (ACTH), sia a livello ipotalamico sul CRH, in particolare nel genere femminile; altri studi hanno dimostrato che il BPA, viceversa, aumenta i livelli di ACTH e corticosterone nei maschi, ma non nelle femmine [2].

Per quanto concerne gli effetti diretti degli IE sulle ghiandole surrenaliche, la maggior parte degli studi, condotti principalmente nell’animale, riporta azioni sulla componente corticale e, in particolare, sulle aree glomerulare e reticolare [2].

Diossine, idrocarburi policiclici aromatici, PCB, plastificanti e pesticidi, possono agire attraverso vari meccanismi d’azione, interferendo sia con la sintesi che con il metabolismo degli steroidi surrenalici [2, 14].

In particolare, alcuni IE possono alterare il meccanismo di assorbimento selettivo delle lipoproteine, necessarie per fornire il colesterolo, altri possono inibire alcuni enzimi della steroidogenesi surrenalica; per esempio, mentre il BPA inibisce varie deidrogenasi degli idrossiacidi, gli ftalati e i fenoli clorurati sono in grado di inibire alcune sulfotransferasi [14].

L’alto contenuto di acidi grassi insaturi delle membrane delle cellule surrenaliche, potenziale substrato per la perossidazione lipidica, rende ragione del fatto che alcuni IE, tra cui il tetracloruro di carbonio, possono esercitare effetti tossici interferendo con la perossidazione lipidica; altri IE possono alterare l’equilibrio ossido-riduttivo che si verifica durante i processi di idrossilazione degli steroidi con creazione di specie reattive dell’ossigeno, concorrendo all’eziopatogenesi dei danni surrenalici presenti in alcune forme rare di insufficienza surrenalica quali l’adrenoleucodistrofia e la sindrome della tripla A [15].

Alcuni studi hanno dimostrato che le cellule surrenaliche possono assorbire e concentrare un gran numero di agenti tossici, compresi i metaboliti del DDT e i metaboliti del PCB, che possono rimanere inattivi all’interno del tessuto ghiandolare fino a quando la richiesta di steroidi surrenalici aumenta, con loro successiva mobilitazione e danni [16].

La ricca vascolarizzazione delle ghiandole surrenaliche rende ragione della rapida distribuzione delle tossine a tale livello, nonché del loro rapido assorbimento, mentre l’elevato contenuto di enzimi della famiglia dei citocromi (CYP) spiega la capacità di bioattivare le tossine stesse, oltre che di fungere da biocatalizzatori per la trasformazione di diversi inquinanti, compresi i pesticidi e gli idrocarburi aromatici policiclici [2].

Nonostante i numerosi studi condotti nell’animale, le evidenze nella specie umana circa gli effetti degli IE sulle ghiandole surrenaliche sono piuttosto scarsi, vista anche la scarsa disponibilità di cellule surrenali umane per studi in vitro. Inoltre, i risultati ottenuti nell’animale non sempre possono essere traslati alla specie umane, esistendo importanti differenze anatomiche e funzionali [2].

Tra le ipotesi interessanti formulate nella specie umana vi è quella dell’effetto dell’accumulo di sostanze chimiche che potrebbe causare effetti clinicamente evidenti solo dopo vari anni di esposizione costante e a basse dosi. Tra queste, recentemente i ricercatori hanno ipotizzato che gli adenomi surrenalici ormone-secernenti potrebbero avere un maggior contenuto di IE, in particolare quelli aldosterone-secernenti. Alcuni agenti si sono, infatti, dimostrati in grado di stimolare la sintesi di aldosterone e di aumentare l’espressione del recettore dell’angiorensina 1, altri di up-regolare l’enzima 11beta-idrossilasi tipo 2 [2]. Uno studio pionieristico di Fommei e collaboratori, pur essendo condotto in un campione di piccole dimensioni, ha riportato una concentrazione significativamente più alta per l’esaclorocicloesano (HCH) e l’esaclorobenzene (HCB), due idrocarburi policiclici aromatici, e per i PCB negli adenomi che producono aldosterone [16].

Gonadi

Esiste ampia evidenza in letteratura circa l’azione degli IE sull’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, in entrambi i sessi; purtroppo, solo in pochi casi sono disponibili informazioni esaustive sui meccanismi attraverso i quali tali sostanze compromettono la riproduzione e la salute dell’apparato riproduttivo. Dal momento che gli IE sono in grado di attraversare la barriera emato-placentare e passare nel latte materno, esse possono interferire con tale asse durante tutte le fasi della vita, da quella embrionale alla fase adulta.

In fase embrionale, la presenza di IE può interferire con la normale virilizzazione fetale, alterando la differenziazione dei dotti di Wolff [17], valutabile attraverso la riduzione della distanza anogenitale (AGD), segno di adeguata impregnazione androgenica intrauterina dei feti maschi. Già in modelli murini è stata dimostrata tale attività per ftalati, PCB e alcuni fungicidi quali la vinclozolina [18]. Nei neonati umani, una ridotta AGD è stata dimostrata in seguito a esposizione della donna gravida a sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAs), ftalati e loro metaboliti e alcune evidenze sono emerse anche per BPA e pesticidi. Inoltre, è stata evidenziata una ridotta lunghezza peniena alla nascita, ulteriore segno di ipovirilizzazione fetale, per PFAs, PCB e composti con azione simil-diossinica [18]. Tra le altre attività di tali composti in epoca prenatale, nei modelli animali è stato dimostrato che gli ftalati possono ridurre il numero di gonadociti prodotti e il BPA ha mostrato di ridurre il testosterone sierico, alterare la spermatogenesi e predisporre all’insorgenza di ipospadia e criptorchidismo.

Infine, sono emerse associazioni anche tra IE e tumori testicolari e altri tumori nel sesso femminile, in particolare dopo esposizione materna a metaboliti del DDT e del polivinilcloruro (PVC) per il tumore testicolare [3], esposizione prenatale a DES e carcinoma mammario o adenocarcinoma vaginale a cellule chiare [3].

Alcuni IE possono interferire con il processo della pubertà, con azione sia intrauterina che post-natale, alcuni anticipandola, altri ritardandola [19]. In modelli animali, il BPA si è dimostrato capace di esercitare un effetto stimolatorio sul sistema kisspeptina-GnRH, mentre composti simil-diossinici, pesticidi organocloridici (endosulfano), alcuni metalli pesanti come il piombo, BPA e ftalati quali il dietilsilfalato (DEHP) sono stati chiamati in causa nella specie umana per pubertà anticipata [19]. Nel sesso femminile, è stato descritto un menarca anticipato in figlie di donne esposte durante la gravidanza ad alcuni pesticidi oppure in ragazze esposte durante l’infanzia a PBDE [2].

In età adulta, le maggiori evidenze scientifiche nel sesso maschile riguardano le alterazioni della spermatogenesi e, durante le ultime decadi, è stato dimostrato un calo progressivo della qualità del liquido seminale in seguito a esposizione a numerosi IE [2]. Il BPA, studiato soprattutto in ambito di esposizione professionale, ha dimostrato di alterare la spermatogenesi (riduzione dei parametri seminali e danno al DNA spermatico) con un meccanismo non completamente chiarito; è stato ipotizzato un danno alle cellule di Leydig con aumento di LH, SHBG e, conseguentemente, di testosterone sierico [20]. Anche gli ftalati, i perfluorocarburi (PFC) e i PCB sono stati associati a una riduzione della qualità della spermatogenesi; in particolare, l’esposizione ad alcuni ftalati quali butil-benzil-ftlato (BBP), dibutilftalato (DBP), di-2-etilesil-ftalato (DEHP), di-isononil-ftalato (DINP) è stata associata a una ridotta concentrazione di spermatozoi [20]. Inoltre, i PCB sembrerebbero esercitare un effetto anche sui valori sierici di testosterone, riducendolo. L’esposizione a derivati del DDT, invece, si è mostrata capace di alterare tutti i parametri seminali (motilità, concentrazione e morfologia), al pari di quanto fatto dai metalli pesanti, in particolare mercurio, piombo e cadmio [20]. Interessante notare come le alterazioni del liquido seminale nel giovane adulto siano state associate ad assunzione di latte materno contaminato da diossine e come uomini esposti ad aree con elevata concentrazione diossinica abbiano riportato una riduzione dei livelli di testosterone [20].

Nel sesso femminile, l’esposizione a tetraclorodibenzodiossina (TCDD), così come a BPA e ftalati, si è dimostrata capace di alterare l’espressione di diversi enzimi coinvolti nella steroidogenesi ovarica, oltre che di enzimi coinvolti nel metabolismo steroideo [2, 21]. Il BPA si è dimostrato capace di interferire con la steroidogenesi ovarica in maniera dose-dipendente e specie-dipendente; in particolare, mentre basse dosi aumentano la sintesi di progesterone, alte dosi inibiscono quella di estrogeni agendo direttamente sulla aromatasi e interferendo sul sistema AHR [2].

Interferenti con la fertilità femminile si sono dimostrati numerosi IE quali TCDD, PCB, alcuni metalli pesanti (arsenico, mercurio e piombo), alcuni pesticidi quali DDT e DDE, il triclosan e il DES, con effetti diretti sulle cellule follicolari, sulla loro crescita e sul loro reclutamento [22].

Alcuni IE sono stati dimostrati concorrere alla maggior insorgenza di alcune patologie del sesso femminile, quali la sindrome dell’ovaio policistico (in particolare, il BPA per gli effetti su alcuni enzimi chiave della steroidogenesi ovarica e incremento dei livelli di androgeni) e l’endometriosi (TCDD e PCB), per effetto diretto sulla proliferazione delle cellule endoteliali dell’endometrio [2].

Infine, miscele di IE possono agire sul sistema riproduttivo femminile con effetti sinergici o opposti, alterando l’equilibrio estrogeni/androgeni, riducendo la durata dell’età fertile e la capacità riproduttiva [2].

Conclusioni e prospettive future

I risultati degli studi sugli IE e i loro effetti dannosi sul sistema endocrino hanno aperto un campo di ricerca nuovo e intrigante. In particolare, numerosi studi hanno riportato disfunzioni correlate agli IE a livello di ipofisi, tiroide, ghiandole surrenaliche e gonadi. Purtroppo, non tutti i meccanismi d’azione sono stati chiariti e i risultati ottenuti nell’animale non sono facilmente traslabili alla specie umana. La ricerca scientifica sugli IE è aperta a nuovi orizzonti e studi futuri porteranno sicuramente nuove e importanti informazioni nei prossimi anni, in particolare quelli relativi alla identificazione di biomarcatori dell’azione degli IE sui vari bersagli endocrini. Tali studi potrebbero prevenire disfunzioni endocrine correlate all’esposizione agli IE, fornendo prove solide alle autorità di regolamentazione per consentire loro di promuovere l’uso di composti più sicuri e di eliminare gradualmente le sostanze chimiche pericolose.