Introduzione

L’iperglicemia è una comorbilità molto frequente nel contesto dell’acromegalia e della malattia di Cushing (CD); infatti, l’eccesso di GH e cortisolo (F), rispettivamente, può portare a vari gradi di alterazione del metabolismo glucidico, sino al diabete mellito (DM) conclamato.

Nei pazienti con acromegalia la prevalenza di alterazioni del metabolismo glucidico varia dal 16 al 46%, quella del DM dal 15 al 38%. Nella CD, invece, sino al 70% dei pazienti presenta alterazioni del metabolismo glucidico, di cui il 45% dei casi costituiti da DM.

Come ben noto ciò concorre a incrementare il rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare, perciò il corretto inquadramento e trattamento sono di fondamentale importanza nella gestione di acromegalia e CD [1, 2].

Patogenesi

La patogenesi dell’iperglicemia è per alcuni aspetti simile in entrambe le patologie, vedi Tabella 1.

Tabella 1 Patogenesi dell’iperglicemia secondaria all’eccesso di GH e F

Le azioni del GH sono molteplici: riduce la soppressione, insulino-mediata, della gluconeogenesi epatica, incrementando la produzione di glucosio; inoltre, l’effetto lipolitico del GH sul tessuto adiposo provoca un aumento degli acidi grassi liberi (FFA) che competono con il glucosio come possibile substrato energetico, soprattutto a livello muscolare. Tale aumento degli FFA è, inoltre, un evento cruciale nello sviluppo di insulino-resistenza. È stato dimostrato che il GH agisce inoltre a livello post-recettoriale insulinico, inibendo l’attività di secondi messaggeri, come IRS1 e PI-3 chinasi, fondamentali nella trasduzione del segnale a livello muscolare e adiposo.

Il F esercita il suo effetto sul metabolismo glucidico agendo su diversi organi target. A livello epatico vi è una stimolazione diretta della gluconeogenesi e contemporaneo aumento della lipolisi e della proteolisi, con conseguente aumento dei substrati disponibili per la gluconeogenesi stessa. Nel tessuto muscolare l’azione dell’insulina viene inibita dal F interferendo con l’attività di IRS1 e PI-3 chinasi. A livello del tessuto adiposo viscerale i glucocorticoidi promuovono la differenziazione dei pre-adipociti in adipociti maturi, incrementano la lipolisi e la produzione di adipochine quali la leptina [1]. Studi in vivo e in vitro hanno inoltre dimostrato un effetto diretto sulla beta-cellula pancreatica che comporta la riduzione dell’espressione di GLUT2 e della glucochinasi, entrambi essenziali per un’adeguata secrezione insulinica.

Il risultato finale di tutti i meccanismi appena citati, in entrambe le patologie, è uno spiccato effetto di contro-regolazione insulinica, con conseguente sviluppo di insulino-resistenza e iperinsulinemia compensatoria. L’esaurimento funzionale delle beta-cellule pancreatiche determina poi la progressione verso il DM conclamato.

I pazienti con disfunzione basale beta-cellulare risultano più a rischio di sviluppare il DM [2].

Trattamento

Il trattamento dell’iperglicemia nei pazienti con acromegalia o sindrome di Cushing deve considerare il controllo dell’eccesso ormonale, con terapia medica o chirurgica, e non solo la terapia specifica antidiabetica. Inoltre, va considerato che l’impatto dei farmaci utilizzati per la terapia endocrina può essere positivo, neutro o negativo nei confronti del controllo glicemico.

Nel trattamento medico dell’acromegalia il pegvisomant e la cabergolina hanno dimostrato un miglioramento del metabolismo glucidico, mentre per gli analoghi della somatostatina di prima generazione non vi sono risultati univoci, per cui è raccomandato un monitoraggio glicemico frequente [2, 3]. Per quanto concerne la CD, i principali farmaci inibitori della steroidogenesi hanno evidenziato un effetto globale positivo sul controllo glicemico [1].

Il pasireotide, nuovo analogo della somatostatina per entrambe le patologie, presenta invece un aumentato rischio di iperglicemia come effetto collaterale in più del 70% dei pazienti. Il meccanismo risiede nel blocco secretivo di insulina e incretine (principalmente GIP/GLP-1), mediato dal recettore di tipo 5 della somatostatina, che tale molecola lega con elevata affinità. La sensibilità periferica all’insulina non sembrerebbe, invece, essere ridotta [4].

Attualmente non esistono linee guida specifiche per la gestione dell’iperglicemia in corso di acromegalia e CD; pertanto, la maggior parte degli autori concorda sul fatto che gli algoritmi di trattamento dovrebbero essere i medesimi del DM tipo 2.

La terapia di prima linea risiede, pertanto, nella metformina come farmaco di riferimento, in associazione a dieta ipoglucidica ed esercizio fisico aerobico [2, 3, 5].

Nei pazienti con CD il pioglitazone ha dimostrato, in vitro, un effetto anti-proliferativo nei confronti degli ACTH-omi; tuttavia, gli effetti collaterali quali incremento ponderale, ritenzione idrica e aumento del rischio fratturativo ne rendono complesso l’impiego in questi pazienti [6].

Nuove classi di farmaci, come i GLP1-agonisti e SGLT2-inibitori, sono indicate in prima linea in caso di diabete associato a precedenti eventi cardiovascolari o ad alto rischio cardiovascolare [5].

Il trattamento con GLP1-ra si è dimostrato superiore rispetto alla metformina e i DPP4i nel ridurre i livelli di HbA1c nei pazienti in trattamento con pasireotide [4].

L’uso degli SGLT2-inibitori, soprattutto nei pazienti con CD, deve considerare l’aumento del rischio di infezioni genitali connesso a questi farmaci [6].

Conclusioni

Il controllo dell’iperglicemia è uno step fondamentale nella gestione pratica dell’acromegalia e della CD. Sono perciò necessari ulteriori studi che possano fornire maggiori strumenti per costruire una terapia personalizzata nel contesto di tali patologie, soprattutto vista la disponibilità attuale di farmaci anti diabetici in grado di ridurre significativamente il rischio cardiovascolare.