Sommario
Alla base dell’attuale epidemia di obesità (globesity) la sedentarietà occupa un posto di primo ordine: non solo perché mantiene l’eccesso di tessuto adiposo, ma perché predispone il soggetto obeso all’erosione della massa muscolare scheletrica (sarcopenia) e del patrimonio minerale osseo (osteopenia/osteoporosi). In questo scenario si inserisce la DXA che, a fronte di un costo biologico e tempi di esecuzione minimi, nella versione total-body fornisce una fotografia attendibile e dettagliata della composizione corporea (si pensi alla massa magra appendicolare o al tessuto adiposo viscerale). Dettagli che però sono essenziali proprio per le diagnosi di sarcopenia e obesità.
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Introduzione
La valutazione della composizione corporea riveste grande importanza nella pratica clinica. Le variazioni delle diverse componenti (massa magra, massa grassa e densità minerale ossea) caratterizzano infatti malattie importanti (obesità, sarcopenia, osteoporosi) o sono segni di altre patologie (insufficienza renale, insufficienza epatica) e necessitano di grande attenzione nella presa in carico clinica.
L’assorbimetria a raggi X a doppia energia (DXA, in inglese Dual-energy X-ray Absorptiometry) presenta notevoli potenzialità anche se attualmente viene spesso utilizzata solo per la mineralometria ossea (MOC) anche in quei pazienti (vedi l’anoressia nervosa) in cui le variazioni degli altri compartimenti corporei, oltre lo scheletro, meriterebbero maggiore attenzione.
DXA corporea totale: principi di funzionamento
La DXA può essere utilizzata non solo per valutare la densità minerale ossea (bone mineral density, BMD) ma, nella sua versione total body, anche per lo studio della composizione corporea secondo un modello tricompartimentale (3-C). Il principio su cui la DXA si fonda è l’attenuazione di due fasci di raggi X a differente energia (dual-energy x-ray) che penetrano a una profondità di circa 30 cm; l’assorbimento da parte del corpo del paziente dipende da spessore, densità e composizione chimica dei tessuti (absorptiometry). Il soggetto giace supino su un lettino mentre sorgenti e rilevatori si muovono lentamente al di sopra dei differenti distretti corporei. Sulla base di noti coefficienti di attenuazione, il software del computer ricostruisce un’immagine dei tessuti sottostanti (Fig. 1). Ciò permette non solo di ottenere informazioni sullo stato di salute ossea (BMD), ma di distinguere quantitativamente la massa grassa (Fat Mass, FM) da quella non adiposa (Fat-Free Mass, FFM) e suddividere quest’ultima nelle sue componenti ossea (Bone Mineral Content, BMC) e non-ossea (Lean mass) [1, 2].
Preparazione all’esame
Il peso del paziente deve essere misurato su una bilancia calibrata (abbigliamento leggero, senza oggetti metallici), così da verificare l’accuratezza della massa corporea stimata dalla DXA in base alle densità dei compartimenti analizzati. La preparazione all’esame deve essere identica per tutti i pazienti e consta innanzitutto di adeguata replezione delle riserve di glicogeno e eu-idratazione, con astensione dall’alcol e da esercizio fisico intenso nelle 24 ore precedenti. È bene anche osservare un sonno adeguato e il digiuno notturno, evitando l’assunzione di liquidi dopo il risveglio. Come indicazione generale, dovrebbe essere osservato un intervallo minimo di 8 settimane tra due scansioni successive (DXA total-body).
Indicazioni alla MOC-DXA
Sono candidati all’esecuzione di MOC-DXA (International Society for Clinical Densitometry, ISCD 2019) [3]: 1) donne di età ≥65 anni; per donne di età <65 anni, post-menopausa, la valutazione è indicata in presenza di almeno uno tra i fattori di rischio per bassa massa ossea*; 2) donne in fase di transizione menopausale con fattori di rischio clinici per frattura*; 3) uomini di età ≥70 anni; 4) uomini di età <70 anni in presenza di almeno uno tra i fattori di rischio per bassa massa ossea*.
Sono riconosciuti fattori di rischio per bassa massa ossea/frattura per le classi contrassegnate da (*): basso peso corporeo, precedente frattura, terapia farmacologica ad alto rischio, patologia o condizione associate con bassa massa ossea.
Come utilizzare i dati MOC-DXA
T-score
La diagnosi di osteoporosi [4, 5] richiede un T-score \(\leq {-}2{,}5\) a livello del collo femorale (femoral neck), del femore totale (total hip) o del rachide lombare totale (L1-L4). Con un T-score \({<}-1\) ma \({>}{-}2{,}5\) il termine “osteopenia” può essere utilizzato, ma andrebbe sostituito da “bassa massa ossea” o “bassa densità ossea” (Tabella 1). È bene notare che soggetti con bassa massa o densità ossea non sono necessariamente ad alto rischio di frattura; inoltre, i T-score (sia per le donne che per gli uomini) sono calcolati rispetto a un campione di donne di etnia caucasica di età 20–29 anni (età media di raggiungimento del picco di massa ossea).
Z-score
Per donne in età pre-menopausale e uomini di età <50 anni, al contrario, bisogna preferire gli Z-score. Uno Z-score \({\leq} {-}2{,}0\) è definito come al di sotto dell’intervallo atteso per età; uno Z-score \({>}{-}2{,}0\) è all’interno dell’intervallo atteso per età.
Altre variabili
In alcune circostanze specifiche (es. femore e/o rachide lombare non interpretabili, iperparatiroidismo, pazienti obesi che superano il limite di peso del lettino DXA), è possibile utilizzare il 33% del radio dell’avambraccio non dominante.
Pazienti con bassa densità ossea non sono necessariamente ad alto rischio di frattura, per cui è necessario integrare le altre variabili (FRAX nazione-specifico, TBS, VFA, ecc.) [6].
Indicazioni alla DXA total body
Secondo le ultime linee guida ISCD 2019, le principali categorie di pazienti in cui è importante un esame total-body sono:
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pazienti HIV+ in terapia con antiretrovirali noti per il rischio di lipoatrofia (stavudina, zidovudina);
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pazienti obesi candidati alla chirurgia bariatrica (o sottoposti a terapia medico-nutrizionale se il calo ponderale atteso è marcato) per valutare le variazioni di FM e FFM, laddove il peso perso superi il 10% circa del peso iniziale;
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pazienti con ipotrofia muscolare o ridotta funzione corporea, per valutare FM e FFM. Più in generale, tutti i soggetti in cui si sospetta un’alterazione dello stato di nutrizione e nei quali la valutazione della composizione corporea con altre metodiche (antropometria, bioimpedenzometria) rischia di dare risultati poco affidabili, possono giovarsi di una valutazione DXA total body.
Vantaggi della DXA
La DXA ha alcuni vantaggi come strumento di analisi della BMD e della composizione corporea, rispetto a metodi altrettanto precisi ma più invasivi e costosi (TC addominale, risonanza magnetica addominale, pesata idrostatica) che sono di seguito elencati e illustrati:
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rapidità di esecuzione: <1 min. nelle scansioni MOC-DXA, 5–12 min nell’analisi total body;
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ridotta dose di esposizione: la dose effettiva di un esame DXA total-body è compresa tra 0,1 e 75 uSv, in funzione del produttore, del modello e della modalità di scansione utilizzata. Ad esempio, per la Hologic Discovery A system o la GE-Lunar iDXA è intorno a 4,7 uSv. Per capire l’entità di tale dose di esposizione, è utile confrontarla con la radiazione naturale di fondo (2,4 mSv/anno, pari a 6,7 uSv die) e con alcuni comuni esami radiologici (una TC torace corrisponde a numerosi anni di radiazione naturale, una RX torace a 50–150 uSv). In sostanza, una scansione DXA total-body equivale a esporsi alla radiazione naturale di fondo per 1 giorno o meno, ovvero a 1/30 della dose effettiva di una RX torace;
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buona correlazione con tecniche gold standard: i dati di composizione corporea provenienti dalla DXA total body presentano un’ottima correlazione con quelli ottenuti da metodi di riferimento (come l’attivazione neutronica in vivo o IVNAA). Inoltre, la DXA non richiede assunzioni sulla costanza biologica delle componenti adipose e non adipose, come accade invece per la pesata idrostatica;
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possibilità di valutare la composizione in FM e FFM distrettuale: ciò trova applicazione, ad esempio, nel calcolo di indici di sarcopenia (come lo Skeletal Muscle Index, SMI), o nella stima del tessuto adiposo viscerale (VAT), che correla massimamente con il rischio cardiovascolare del paziente (si pensi al ruolo della circonferenza vita nella definizione di sindrome metabolica).
Errori nella DXA
Sono due i tipi fondamentali di errore che possono concorrere a un’errata diagnosi sulla base dell’esame DXA: 1) artefatti tecnici, legati alla precisione intrinseca della macchina, al posizionamento scorretto del soggetto sul lettino, ma anche a oggetti metallici indossati dal paziente (piercing, pacemaker, protesi) o alla recente esecuzione di analisi radiologiche con mezzi di contrasto; 2) artefatti clinici, capaci di interferire tanto con la MOC-DXA (es. presenza di osteofitosi, frattura o cifosi vertebrale, coste o vertebre soprannumerarie), tanto con la DXA total body (cambiamenti nello stato di idratazione dei tessuti legati agli effetti a breve/lungo termine dell’esercizio fisico o della dieta).
Limiti della DXA
Per quanto precisa e accurata se standardizzata, una scansione DXA presenta alcune limitazioni che non bisogna ignorare nel momento in cui si decida di far eseguire o interpretare tale esame:
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esposizione a radiazioni ionizzanti;
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scarsa comparabilità nelle misure ottenute da modelli diversi. Qualora le misurazioni vengano effettuate con macchinari di costruttori diversi, cambieranno anche gli algoritmi utilizzati per differenziare massa magra e massa minerale ossea (BMC). Di questo si deve tener conto quando si confrontano i risultati di macchine differenti;
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profondità dei tessuti. Errori di attenuazione si verificano quando la profondità dei tessuti supera i 25 cm, con conseguente sottostima della FM. Per far fronte a ciò, alcuni modelli di DXA possono aumentare il tempo di scansione (cioè utilizzare la modalità lenta o spessa), così da migliorare l’attenuazione e l’accuratezza della scansione stessa [7, 8]. L’aumento dei tempi di scansione comporta un incremento minimo della dose di esposizione, ma potrebbe rendere la posizione immobile e supina scomoda da mantenere per il paziente;
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distribuzione del tessuto adiposo: essa è spesso disomogenea e variabile nel tempo, fatto che può a sua volta influenzare la densitometria ossea: in effetti, gli algoritmi utilizzati per il calcolo della BMD sono stati realizzati in presenza di indici di massa corporea nell’intervallo di normalità;
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densitometria ossea: la BMD, a cui normalmente viene attribuita notevole rilevanza clinica, è espressa come T-score o Z-score basati, però, su studi trasversali e non longitudinali. L’età a cui viene raggiunto il picco di massa ossea è essa stessa un dato indicativo, poiché sono pochi i pazienti a cui venga valutata la BMD per un numero di anni adeguato. Infine, i criteri di normalità divengono difficili da definire dopo la sesta decade e in donne in peri-menopausa. Pertanto, è sempre utile effettuare 2 o più scansioni a intervalli regolari nei casi dubbi, oltre ad affiancare altri parametri al dato DXA (marker ossei biochimici, score per il rischio di frattura, ecc.)
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pazienti con parametri antropometrici estremi: soggetti obesi o molto larghi possono superare i limiti di peso del lettino o anche l’area di scansione del lettino. In quest’ultimo caso, trova impiego il principio del posizionamento sfalsato (offset scanning), tra cui il posizionamento con riflesso-simmetria (reflection positioning) [9], in cui i valori di un arto vengono duplicati per calcolare l’arto opposto, oppure le emiscansioni (hemi-scans) [10], in cui ad essere duplicati sono i valori di un intero emisoma. Tali modalità di scansione richiedono, però, un operatore esperto e oltretutto variano con il tipo di scanner utilizzato, aumentando così il rischio di errore tecnico;
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donne in gravidanza: non esistono in letteratura controindicazioni specifiche allo svolgimento di un esame DXA total-body. Tuttavia, la posizione dell’ISCD è che quest’ultima non dovrebbe essere svolta nelle donne in gravidanza. In effetti, benché la dose efficace sia estremamente bassa e i rischi per il feto a dosi di radiazioni <50 mGy siano trascurabili, è improbabile che tale esame fornisca informazioni diagnostiche rilevanti durante la gravidanza.
Nuovi campi di applicazione della DXA total body
Con l’avvento di macchinari più precisi e la possibilità di valutare la composizione corporea di singoli distretti o regioni corporee, la DXA si propone come strumento clinico e non più solo sperimentale, grazie alla sua scarsa invasività, precisione e ripetibilità (a patto di osservare una corretta standardizzazione). Nello specifico, l’attuale epidemia di obesità (globesity) pone la sfida di essere più precisi nel valutare il paziente metabolico. Da una parte diventa, quindi, necessario stimare il tessuto adiposo viscerale che, con la sua produzione di citochine infiammatorie e sensibilità adrenergica, è centrale nel definire la sindrome metabolica (si pensi all’utilizzo della circonferenza vita per stimare il VAT). Dall’altra, con il progredire dell’età media, si è vista aumentare la proporzione di soggetti che, benché affetti da un eccesso di massa grassa (overfatness), presentano contestualmente una perdita di massa muscolare scheletrica rilevante sul piano clinico (sarcopenia e, più specificamente, dinapenia).
Stima del VAT
La scansione DXA può essere utilizzata per studiare la distribuzione del VAT ma, poiché fornisce una proiezione bidimensionale del corpo, non permette di distinguere e differenziare con precisione il tessuto adiposo sottocutaneo da quello addominale viscerale. È perciò necessario delimitare differenti aree addominali con linee passanti per punti di repere anatomici precisi [11]. L’analisi del VAT viene effettuata per mezzo del software fornito dal produttore del macchinario. Innanzitutto, si individua un’area androide della cavità addominale, avente come limite inferiore il margine delle creste iliache e come limite superiore una linea posizionata al 20% della distanza tra la cresta iliaca e il mento del paziente. All’interno di tale area, per calcolare il VAT si analizza una regione larga circa 5 cm a livello di L4, appena al disopra delle creste iliache. È vero che la DXA, essendo un metodo di analisi bidimensionale, misura sia il grasso addominale viscerale che quello sottocutaneo; d’altra parte, ai lati della cavità addominale essa può misurare direttamente il grasso sottocutaneo. Da questa misura si può poi stimare il grasso sottocutaneo al di sopra e al di sotto della cavità addominale: sottraendo il grasso sottocutaneo addominale (stimato) dal grasso addominale totale (misurato), la DXA permette, perciò, di ottenere una misura del VAT che ben correla con quello ottenuto da tecniche considerate gold standard (RM addome, TC addome) [12].
Obesità osteo-sarcopenica
La DXA ha infine assunto un importante ruolo diagnostico nell’obesità osteo-sarcopenica (OSO) [13], definibile come la compresenza di:
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osteopenia/osteoporosi: BMD con T-score \(<-1\) a livello della colonna lombare o del femore;
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obesità: FM > 30% del BW nell’uomo o FM > 40% del BW nelle donne;
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sarcopenia (metodica DXA), definita come:
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ALM/Ht2 (Skeletal muscle index, SMI) ≤7,26 kg/m2 nell’uomo e SMI ≤5,45 kg/m2 nella donna;
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rapporto ALM/BMI: <0,789 nell’uomo e <0,512 nella donna;
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ALM <19,5 kg nell’uomo e <15,02 kg nella donna.
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Proposto da Lorenzo M. Donini.
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Frigerio, F., Poggiogalle, E. & Donini, L.M. L’assorbimetria a raggi X a doppia energia: oltre l’osso c’è di più. L'Endocrinologo 21, 176–180 (2020). https://doi.org/10.1007/s40619-020-00742-y
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