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L’image de la noblesse dans le Gattopardo de Giuseppe Tomasi di Lampedusa

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Abstract

If, as its author affirms, the Gattopardo is „the aristocracy viewed from the inside“, the question to be asked is how this internal view is constructed in the novel itself, and to what end. The working hypothesis of the present contribution is that in the Gattopardo the nobility is described according to two distinct and complementary modes, i.e. on the one hand in its relation to space, human beings and things (members of the aristocracy being defined by the nonchalant and disinterested manner in which they structure social space and space in general), and on the other hand in the nobility’s relation to time, or rather in its habit of abstracting from and negating time. If, however, since the „Révolution“ (the „Risorgimento“, in this case) the atemporal world of the Ancien Régime has been seized by history, the nobility is confronted with a new necessity to master Time: this is the decisive „role“ to be played, in the novel, by the Gattopardo himself. Everything – i.e. the survival of the „race“ – will be decided in the due course of Time and History, the question being whether the aristocracy will be able to last in the nouveau régime of historicity, and at what cost.

Résumé

Si, comme l’affirme son auteur, le Gattopardo « c’est l’aristocratie vue du dedans », la question qui se pose est de savoir comment cette vue intérieure se construit dans le discours romanesque, et avec quelle visée. L’hypothèse de travail de la présente contribution consiste à supposer que dans le Gattopardo la noblesse est décrite selon deux modes distincts et complémentaires : dans son rapport à l’espace, aux êtres et aux choses, d’une part, l’aristocrate se définissant par sa manière nonchalante et désintéressée d’aménager l’espace social et l’espace tout court; dans son rapport au temps, d’autre part, ou plutôt dans sa manière d’en faire abstraction, de le nier. Mais comme depuis la « Révolution » (le Risorgimento, en l’occurrence) le monde intemporel de l’Ancien Régime a été saisi par le devenir, la noblesse se doit désormais de maîtriser le Temps : c’est la « partie » décisive que va jouer, dans le roman, le Gattopardo en personne. Tout – c’est-à-dire la survie de la « race » – se décidera dans l’ordre du Temps et de l’Histoire, la question étant de savoir si la noblesse sera en mesure de perdurer dans le nouveau régime d’historicité, et à quel prix.

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Notes

  1. Cité in: Vitello 1987, p. 230: « […] il “Gattopardo” è l’aristocrazia vista dal di dentro senza compiacimenti ma anche senza le intenzioni libellistiche di De Roberto. » (trad. E.C.) Federico De Roberto (1861–1927) est notamment l’auteur des Viceré (1894) (fr. Les Princes de Francalanza), roman historique narrant, sur trois générations (de 1859 à 1882), l’histoire de la lente dégénérescence des Uzeda di Francalanza, une famille de la haute noblesse catanaise.

  2. Voir Orlando 1998, p. 18.

  3. Voir à ce propos Zago 1999, pp. 198–199 et Di Benedetto 2001, p. 68.

  4. Voir à ce propos aussi Zago 1983, p. 94.

  5. Don Fabrizio a le sens inné « d’adaptation des vêtements aux circonstances » (Tomasi di Lampedusa 2007, p. 130).

  6.  « “No, don Calogero, no. Mio nipote è diventato pazzo…” / Ma esiste una Dea protettrice dei principi. Essa si chiama Buone Creanze, e spesso interviene a salvare i Gattopardi dai mali passi » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 133).

  7.  « Con perfetta naturalezza, senza un attimo di sosta concluse la frase: “pazzo di amore per vostra figlia, don Calogero […] » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 133).

  8. Voir Elias 1939, 1969 et Elias 1973.

  9.  « Quando, poi, ebbe imparato a conoscere meglio Don Fabrizio ritrovò sì in lui la mollezza e l’incapacità a difendersi che erano le caratteristiche del suo pre-formato nobile-pecora, ma in più una forza di attrazione differente in tono ma eguale in intensità a quella del giovane Falconeri; inoltre ancora una certa energia tendente verso l’astrazione, una disposizione a cercare la forma di vita in ciò che da lui stesso uscisse e non in ciò che poteva strappare agli altri […]; si avvide però che buona parte di questo fascino scaturiva dalle buone maniere e si rese conto di quanto un uomo beneducato sia piacevole […] » (Tomasi di Lampedusa 2002, pp. 144–145).

  10.  « […] quella rapida adattabilità, quella penetrazione mondana, quell’arte innata delle sfumature che gli dava il modo di parlare il linguaggio demagogico di moda pur lasciando capire agl’iniziati che ciò non era che un passatempo al quale lui, il Principe di Falconeri, si abbandonava per un momento […] » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 85).

  11.  « Questi nobili poi hanno il pudore dei propri guai. […] L’ira e la beffa sono signorili ; l’elegia, la querimonia, no. Anzi voglio darvi una ricetta : se incontrate un “signore” lamentoso e querulo guardate il suo albero genealogico : vi troverete presto un ramo secco » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 197).

  12.  « Sono differenti ; forse ci appaiono tanto strani perché hanno raggiunto una tappa verso la quale tutti coloro che non sono santi camminano, quella della noncuranza dei beni terreni mediante l’assuefazione. Forse per questo non badano a certe cose che a noialtri importano molto […] » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 195).

  13.  « Benché possa non sembrare, sono meno egoisti di tanti altri : lo splendore delle loro case, la pompa delle loro feste contengono in sé un che d’impersonale, un po’ come la magnificenza delle chiese e della liturgia, un che di fatto ad maiorem gentis gloriam, che li redime non poco […] » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 196).

  14.  «  La ricchezza […] si era mutata in ornamento, in lusso, in piaceri ; […] la ricchezza come un vino vecchio aveva lasciato cadere in fondo alla botte le fecce della cupidigia, delle cure, anche quelle della prudenza, per conservare soltanto l’ardore e il colore. Ed a questo modo finiva con l’annullare sé stessa : questa ricchezza che aveva realizzato il proprio fine era composta solo di oli essenziali e come gli oli essenziali evaporava in fretta » (Tomasi di Lampedusa 2002, pp. 51–52). De ce point de vue (du point de vue de Don Fabrizio), Tancredi est le fruit le plus mûr de sa classe : « il est peut-être impossible d’obtenir la distinction, la délicatesse, le charme d’un garçon comme lui, sans que ses aïeux n’aient dilapidé une demi-douzaine de gros patrimoines […] » (Tomasi di Lampedusa 2007, p. 136). Cf. à ce propos aussi Zago 1983, p. 93.

  15. Voir à ce propos aussi Iachello 2001, p. 115.

  16. Voir Leonhard et Wieland 2011, p. 9 et passim.

  17. Voir Iachello 2001, p. 108, de même que Elias 1983, pp. 70–71: « […] jeder Art eines Beisammen von Menschen entspricht eine bestimmte Ausgestaltung des Raumes, wo die zugehörigen Menschen wenn nicht insgesamt, dann wenigstens in Teileinheiten tatsächlich beisammen sind oder sein können. Und so ist also der Niederschlag einer sozialen Einheit im Raume, der Typus ihrer Raumgestaltung eine handgreifliche, eine […] sichtbare Repräsentation ihrer Eigenart. »

  18. Pour la topographie du Guépard, voir Vitello 1987, pp. 279–294, Sciascia 1989, Lanza Tomasi 2001.

  19.  « […] [i signori] posseggono una memoria collettiva quanto mai robusta e quindi si turbano o si allietano per cose delle quali a voi ed a me non importa un bel nulla ma che per loro sono vitali perché poste in rapporto con questo loro patrimonio di ricordi, di speranze, di timori di classe » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 194).

  20.  « Vedi, cara, noi (e quindi anche tu, adesso) teniamo alle nostre case ed al nostro mobilio più che a qualsiasi altra cosa ; nulla ci offende di più che la noncuranza rispetto a questo ; quindi guarda tutto e loda tutto […] » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 217).

  21.  « Posta nel centro del paese […], si stendeva per una estensione immensa e contava fra grandi e piccole trecento stanze. Essa dava l’idea di una sorta di complesso chiuso e autosufficiente, di una specie di Vaticano […] » (Tomasi di Lampedusa 2004, pp. 451–452; trad. E.C.).

  22. Voir à ce propos Orlando 1966, de même que Müller 2011.

  23. Santa Margherita « était une sorte de Pompéi du XVIIIe siècle » (Tomasi di Lampedusa 2004, p. 469).

  24. C’est aussi la raison de la prédilection de Tomasi pour Londres, qui n’est pas une ville mais « une forêt dans laquelle à côté d’arbres chagrins auraient poussé des maisons » (Tomasi di Lampedusa 2006, p. 53; trad. E.C.).

  25.  « E l’occhio penetrava nella prospettiva dei salotti che si stendevano l’uno dopo l’altro lungo la facciata. Qui cominciava per me la magia delle luci […]. […] Un vero sortilegio di illuminazioni e di colori che mi ha incatenato l’anima per sempre » (Tomasi di Lampedusa 2004, pp. 445-446; trad. E.C.).

  26.  « Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 50).

  27. Voir Said 2006, pp. 101–105, qui établit un lien entre Tomasi di Lampedusa et Gramsci, pour qui le processus d’unification nationale italienne, notamment au sud, aurait été marqué par le phénomène du « transformisme » . Said lui aussi considère que dans le roman ce « transformisme » est incarné par Tancredi et non pas par Don Fabrizio, qui constituerait en revanche l’exemple paradigmatique de l’intellectuel méridional italien esquissé par Gramsci – immensément cultivé mais totalement « unproductive » dès lors qu’il s’agit de mettre à profit sa culture pour le bien du pays.

  28.  « […] Tancredi si abbandonava a lunghe considerazioni sulla opportunità, anzi sulla necessità che unioni tra famiglie come quella dei Falconeri e quella dei Sedàra […] venissero incoraggiate per l’apporto di sangue nuovo che esse recavano ai vecchi casati, e per l’azione di livellamento dei ceti che era uno degli scopi dell’attuale movimento politico in Italia » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 110).

  29.  « Un ceto difficile da sopprimere perché in fondo si rinnova continuamente e perché quando occorre sa morire bene, cioè gettare un seme al momento della fine. Guardate la Francia : si son fatti massacrare con eleganza e adesso son lì come prima, dico come prima perché non sono i latifondi e i diritti feodali a fare il nobile, ma le differenze » (Tomasi di Lampedusa 2002, pp. 197–198).

  30.  « Non siamo ciechi, caro Padre, siamo soltanto uomini. Viviamo in una realtà mobile alla quale cerchiamo di adattarci come le alghe si piegano sotto la spinta del mare. Alla Santa Chiesa è stata esplicitamente promessa l’immortalità; a noi, in quanto classe sociale, no. Per noi un palliativo che promette di durare cento anni equivale all’eternità » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 59).

  31.  « Tutto sarà meglio, mi creda, Eccellenza. Gli uomini onesti e abili potranno farsi avanti. Il resto sarà come prima » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 55).

  32.  « Ho capito benissimo : voi non volete distruggere noi, i vostri “padri” ; volete soltanto prendere il nostro posto. Con dolcezza, con buone maniere, mettendoci magari in tasca qualche migliaio di ducati. È così ? Tuo nipote, caro Russo, crederà sinceramente di essere barone ; e tu diventerai, che so io, il discendente di un boiardo di Moscovia, mercé il tuo nome, anziché il figlio di un cafone di pelo rosso, come proprio quel nome rivela. Tua figlia già prima avrà sposato uno di noi, magari anche questo stesso Tancredi, con i suoi occhi azzurri e le sue mani dinoccolate. Del resto è bella, e una volta che avrà imparato a lavarsi… “Perché tutto resti com’è”. Come è, nel fondo ; soltanto una lenta sostituzione di ceti » (Tomasi di Lampedusa 2002, pp. 55–56).

  33.  « Le mie chiavi dorate di gentiluomo di camera, il cordone ciliegia di S. Gennaro dovranno restare nel cassetto, e poi finiranno in una vetrina del figlio di Paolo, ma i Salina rimarranno i Salina […] » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 56).

  34.  « E vi dirò pure, don Pietrino, se, come tante volte è avvenuto, questa classe dovesse scomparire, se ne costituirebbe subito un’altra equivalente, con gli stessi pregi e gli stessi difetti ; non sarebbe più basata sul sangue forse, ma che so io… sull’anzianità di presenza in un luogo o su prestesa miglior conoscenza di qualche testo presunto sacro » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 198). L’allusion au communisme bolchéviste est transparente.

  35.  « Sino a quel momento egli aveva incontrato degli aristocratici soltanto in riunioni di affari […] o in seguito ad eccezionalissimi e lunghissimamente meditati inviti a feste, due sorta di eventualità durante le quali questi singolari esemplari sociali non mostrano il proprio aspetto migliore. In occasione di questi incontri egli si era formato la convinzione che l’aristocrazia consistesse unicamente di uomini-pecore, che esistevano soltanto per abbandonare la lana dei loro beni alle sue forbici tosatrici ed il nome, illuminato da un inspiegabile prestigio, a sua figlia. […] Quando poi ebbe imparato a conoscere meglio Don Fabrizio ritrovò sì in lui la mollezza e l’incapacità a difendersi che erano le caratteristiche del suo pre-formato nobile-pecora, ma in più una forza di attrazione differente in tono ma eguale in intensità a quella del giovane Falconeri; inoltre ancora una certa energia tendente verso l’astrazione, una disposizione a cercare la forma di vita in ciò che da lui stesso uscisse e non in ciò che poteva strappare agli altri […]; si avvide però che buona parte di questo fascino scaturiva dalla buone maniere e si rese conto di quanto un uomo beneducato sia piacevole [….] » (Tomasi di Lampedusa 2002, pp. 144–145).

  36.  « Lentamente don Calogero capiva che un pasto in comune non deve di necessità essere un uragano di rumori masticatori e di macchie d’unto; che una conversazione può bensissimo non rassomigliare a una lite fra cani; che dar la precedenza a una donna è segno di forza e non, come aveva creduto, di debolezza; che da un interlocutore si può ottenere di più se gli si dice “non mi sono spiegato bene” anziché “non hai capito un corno” […]. / Sarebbe ardito affermare che don Calogero approfittasse subito di quanto aveva appreso ; egli seppe da allora in poi radersi un po’ meglio e spaventarsi meno della quantità di sapone adoperato nel bucato, e null’altro ; ma fu da quel momento che si iniziò, per lui ed i suoi, quel costante raffinarsi di una classe che nel corso di tre generazioni trasforma efficienti cafoni in gentiluomini indifesi » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 145).

  37.  « Chevalley pensava : “Questo stato di cose non durerà : la nostra amministrazione, nuova, agile, moderna cambierà tutto.” Il Principe era depresso : “Tutto questo” pensava “non dovrebbe poter durare ; però durerà, sempre ; il sempre umano, beninteso, un secolo, due secoli… ; e dopo sarà diverso, ma peggiore. Noi fummo i Gattopardi, i Leoni ; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene ; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra” » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 185).

  38. Ne pouvant pas développer ici une analyse du système métaphorique zoologique à l’œuvre dans le roman, je renvoie à mon article sur la question (Costadura 2010).

  39. Le jour du Plébiscite, leurs visages apparaissent au Prince littéralement envahis par un système pileux excessivement développé : « Derrière le bureau de don Calogero un chromo flamboyant de Garibaldi et (déjà) un de Victor–Emmanuel, heureusement placé sur la droite : le premier bel homme, le second très laid, ils fraternisaient cependant à travers la prodigieuse luxuriance de leurs poils qui réussissaient presque à les dissimuler » (Tomasi di Lampedusa 2007, p. 115) ; « Dietro la scrivania di don Calogero fiammeggiava una oleografia di Garibaldi e (di già) una di Vittorio Emanuele, fortunatamente collocata a destra; bell’uomo il primo, bruttissimo il secondo affratellati però dal prodigioso rigoglio del loro pelame che quasi li mascherava » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 120) ; voir à ce propos Costadura 2010, pp. 21–22.

  40.  « […] in quegli anni la frequenza dei matrimoni fra cugini, […] la scarsezza di proteine nell’alimentazione aggravata dall’abbondanza di amidacei, la mancanza totale di aria fresca e di movimento, avevano riempito i salotti di una turba di ragazzine incredibilmente basse, inverosimilmente olivastre, insopportabilmente ciangottanti […]. Più le vedeva e più si irritava; la sua mente condizionata dalle lunghe solitudini e dai pensieri astratti, finì a un dato momento, mentre passava per una lunga galleria sul pouf centrale della quale si era riunita una numerosa colonia di quelle creature, col procurargli una specie di allucinazione: gli sembrava di essere il guardiano di un giardino zoologico posto a sorvegliare un centinaio di scimmiette: si aspettava di vederle a un tratto arrampicarsi sui lampadari e da lì, sospese per le code, dondolarsi esibendo i deretani e lanciando gusci di nocciola, stridori e digrignamenti sui pacifici visitatori » (Tomasi di Lampedusa 2002, pp. 218–219).

  41.  « Vi era in uno dei viali laterali […] una vasta gabbia destinata un tempo a delle scimmie, nella quale mia cugina Clementina Trigona ed io ci richiudemmo un giorno, proprio una domenica mattina quando il giardino era aperto agli abitanti del paese, che si fermarono attoniti e muti a contemplare, incerti, queste bertucce vestite » (Tomasi di Lampedusa 2004, p. 460 ; trad. E.C.).

  42.  « “Questa, Eccellenza, è una porcheria! Un nipote, quasi un figlio vostro non doveva sposare la figlia di quelli che sono i vostri nemici e che sempre vi hanno tirato i piedi. Cercare di sedurla, come credevo io, era un atto di conquista; così, è una resa senza condizioni. È la fine dei Falconeri, e anche dei Salina!” » (Tomasi di Lampedusa 2002, pp. 130–131).

  43.  « E Tumeo aveva ragione, in lui parlava la tradizione schietta. Però era uno stupido : questo matrimonio non era la fine di niente ma il principio di tutto […] » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 131).

  44. Voir Orlando 1998, pp. 164–165, de même que Costadura 2011, pp. 318–319.

  45.  « Gli arazzi di Donnafugata, i mandorleti di Ragattisi, magari, chissà, la fontana di Anfitrite avrebbero avuto la sorte grottesca di esser metamorfizzati in terrine di foie-gras presto digerite, in donnine da Ba-ta-clan più labili del loro belletto, da quelle delicate e sfumate cose che erano » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 242).

  46.  « Era inutile sforzarsi a credere il contrario, l’ultimo Salina era lui, il gigante sparuto che adesso agonizzava sul balcone di un albergo. Perché il significato di un casato nobile è tutto nelle tradizioni, nei ricordi vitali; e lui era l’ultimo a possedere dei ricordi inconsueti, distinti da quelli delle altre famiglie. Fabrizietto avrebbe avuto dei ricordi banali, eguali a quelli dei suoi compagni di ginnasio, ricordi di merende economiche, di scherzucci malvagetti agli insegnanti, di cavalli acquistati avendo l’occhio al loro prezzo più che ai loro pregi; ed il senso del nome si sarebbe mutato in vuota pompa sempre amareggiata dall’assillo che altri potessero pompeggiare più di lui » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 241).

  47. D’après le Vicaire, il s’agit d’une fille à qui on a donné un rendez-vous et qui « attend son amoureux » (Tomasi di Lampedusa 2007, p. 279).

  48. Voir Zago 1983, p. 97, de même que Luperini 1999, pp. 213–214 : « Ce qui est visé ici, ce n’est pas tant la logique du moderne, mais bien plutôt la dégradation de la noblesse. Le “pathos de la distance” est renversé par ce qu’il y a de plus terrible pour un noble : le ridicule. Le sublime déchu est contaminé par le factice. L’expertise des reliques acquiert donc une signification emblématique : c’est une classe tout entière qui ne résiste pas à l’épreuve du temps de l’histoire. Ce qui échoue définitivement, c’est l’idéologie selon laquelle tout doit changer afin que tout reste tel que c’est […]. […] La tradition nobiliaire est devenue une inutile relique » (trad. E.C.).

  49.  « […] il Sindaco di Salina è un clericale ed ha rifiutato di prender parte alla sfilata; così ho pensato subito a tuo nipote, a Fabrizio: era venuto a farmi visita e tac! lo ho acchiappato; non ha potuto dirmi di no e così alla fine del mese lo vedremo sfilare in palamidone per via Libertà davanti a un bel cartello con tanto di ‘Salina’ a lettere di scatola. Non ti sembra un bel colpo? Un Salina renderà omaggio a Garibaldi, sarà una fusione della vecchia e della nuova Sicilia » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 259).

  50.  « Lui stesso aveva detto che i Salina sarebbero sempre rimasti i Salina. Aveva avuto torto. L’ultimo era lui. Quel Garibaldi, quel barbuto Vulcano aveva dopo tutto vinto » (Tomasi di Lampedusa 2002, p. 242).

  51. Voir Orlando 1998, pp. 175–176.

  52. David Martens rappelle la place centrale, dans le discours littéraire de la noblesse, du « fantôme de son déclin et, en dernière instance, de sa disparition » (Voir Martens 2014). Le Guépard en est une illustration.

  53. Ces considérations sont également tributaires de mes échanges avec mon collègue et ami Stefano Brugnolo, successeur de Francesco Orlando à la chaire de Théorie de la Littérature de l’Université de Pise.

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Costadura, E. L’image de la noblesse dans le Gattopardo de Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Neohelicon 42, 173–194 (2015). https://doi.org/10.1007/s11059-014-0268-3

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