Sommario
Questo articolo esplora il legame tra il Binge Eating Disorder (BED) e diabete mellito di tipo 2 (DM2), focalizzandosi sull’obesità come ponte clinico. Il DM2, in costante crescita a livello globale e strettamente correlato all’obesità, evidenzia la rilevanza dei disturbi dell’alimentazione come il BED nella gestione terapeutica e negli esiti a lungo termine. Il BED mostra un’associazione significativa con l’obesità estrema ed è riscontrabile in circa il 30% delle persone che cercano interventi per la perdita di peso. Con una prevalenza dell’1,8% nelle donne e dello 0,7% negli uomini, il BED si manifesta con episodi di abbuffata e perdita di controllo sul cibo. Le ipotesi eziopatogenetiche del BED sottendono un legame con l’impulsività, la compulsione e la disfunzione dei meccanismi di ricompensa, con lesioni nei circuiti cortico-striatali simili a quelli nella dipendenza da sostanze psicoattive. Gli individui con obesità e BED mostrano alterazioni nelle regioni cerebrali coinvolte nel controllo degli impulsi, alterazioni capaci di influenzare la percezione del cibo come ricompensa. Le emozioni negative, in particolare rabbia e frustrazione, svolgono un ruolo chiave nel BED, con una maggiore sensibilità allo stress e una ridotta capacità di regolazione emotiva. I modelli psicodinamici del BED evidenziano strategie disadattive come la soppressione e la ruminazione, che influenzano la percezione delle emozioni e ostacolano la regolazione emotiva. Le teorie della “fuga dalla consapevolezza di sé” e della “regolazione emotiva” chiariscono come il BED possa fungere da meccanismo di coping per evitare percezioni negative su di sé o contenere emozioni indesiderate. In conclusione, considerare gli aspetti psicodinamici del BED è cruciale nella gestione clinica di pazienti obesi con DM2. La profonda comprensione di questi aspetti può orientare verso strategie terapeutiche più efficaci, affrontando la complessità della psicopatologia associata al BED e le implicazioni per la gestione a lungo termine dell’obesità e delle sue complicanze.
Abstract
This article explores the link between Binge Eating Disorder (BED) and type 2 diabetes mellitus (DM2), focussing on obesity as a clinical bridge. DM2, a steadily growing global issue closely linked to obesity, highlights the relevance of eating disorders such as BED in therapeutic management and long-term outcomes. BED, prevalent in the population, exhibits a significant association with extreme obesity, influencing up to 30% of individuals seeking weight loss interventions. With a prevalence of 1.8% in women and 0.7% in men, BED manifests through episodes of binge eating and loss of control over food. Etiopathogenetic hypotheses of BED underscore a connection with impulsivity, compulsion, and dysfunction in reward mechanisms, involving lesions in cortico-striatal circuits similar to those observed in substance dependence. Individuals with obesity and BED show alterations in brain regions associated with impulse control, influencing the perception of food as a reward. Negative emotions, particularly anger and frustration, play a key role in BED, with heightened sensitivity to stress and reduced emotional regulation capacity. Psychodynamic models of BED highlight maladaptive strategies such as suppression and rumination, affecting the perception of emotions and hindering emotional regulation. The theories of “escape from self-awareness” and “emotional regulation” provide perspectives on how BED may function as a coping mechanism to avoid negative perceptions or alleviate unwanted emotions. In conclusion, taking into consideration the psychodynamic aspects of BED is crucial in the clinical management of obese patients with DM2. A thorough understanding of these aspects can inform more effective therapeutic strategies, addressing the complexity of psychopathology associated with BED and its implications for the long-term management of obesity and its complications.
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Introduzione: Binge Eating Disorder
Il diabete mellito di tipo 2 (DM2) sta emergendo come crescente problematica a livello globale, mostrando una stretta correlazione con l’obesità [1]. In particolare, disturbi dell’alimentazione come il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder, BED) e la Sindrome da Alimentazione Notturna (Night Eating Syndrome, NES) rappresentano condizioni comuni nei casi di obesità e DM2, influenzando significativamente sia la gestione terapeutica sia gli esiti a lungo termine del DM2 [2].
Il BED costituisce un importante problema sanitario in quanto è altamente diffuso nella popolazione generale ed è spesso associato all’obesità e all’obesità estrema [3]. Infatti, fino al 30% delle persone con obesità che cercano interventi comportamentali o chirurgici per la perdita di peso presenta un BED concomitante [4]. Ciò evidenzia l’importanza clinica del BED, soprattutto alla luce del persistente aumento del valore medio dell’indice di massa corporea (BMI) su scala globale [5].
Il BED è il disturbo alimentare più comune [6]. La sua prevalenza generale nella popolazione durante gli anni 2018–2020 è stata approssimativamente dello 0,6–1,8% nelle donne e 0,3–0,7% negli uomini [6]. Il disturbo si manifesta con episodi di abbuffata ricorrenti (almeno uno alla settimana per 3 mesi) che consistono nel consumo di una quantità di cibo superiore a quello che la maggior parte delle persone avrebbe in un periodo definito di tempo (convenzionalmente due ore). L’aspetto caratterizzante è rappresentato dalla perdita di controllo sulla quantità e la qualità del cibo consumato e la difficoltà di smettere di mangiare nonostante la sensazione di malessere causata dal cibo ingerito [7].
Ipotesi eziopatogenetiche del BED
Il BED può essere considerato a tutti gli effetti un disturbo nelle aree dell’impulsività e della compulsione e sembra associarsi a un’alterata sensibilità dei meccanismi della ricompensa (reward) e a bias attentivi diretti al cibo [8]. Alcuni studi su pazienti affetti da BED indicano la presenza di lesioni nei circuiti cortico-striatali simili a quelle osservate nella dipendenza da sostanze psicoattive, tra le quali disfunzione della corteccia prefrontale, orbito-frontale, insulare e dello striato ventrale. Tuttavia, non è stato ancora chiarito se tali caratteristiche nei meccanismi di ricompensa siano specifiche per il cibo o riflettano alterazioni generali del meccanismo stesso [9]. Inoltre, una ridotta risposta nella fase di anticipazione del reward appare compatibile con il concetto di sindrome da deficit del reward (Reward Deficiency Syndrome, RDS), che ipotizza che individui con iniziali bassi livelli di attività neuronale nelle regioni del reward possano assumere condotte di dipendenza o iperalimentarsi per stimolare l’attività di queste regioni cerebrali [10].
Studi di risonanza magnetica nucleare funzionale (fMRI) suggeriscono che gli individui con obesità affetti da BED siano caratterizzati da ridotta attività corticale nelle regioni implicate nel controllo degli impulsi e dell’autoregolazione (come la corteccia prefrontale ventro-mediale, giro frontale inferiore, corteccia insulare) quando comparati agli individui con obesità senza diagnosi di BED. Tali alterazioni sono simili a quelle osservate nei disturbi dell’impulsività e della compulsione. I ricercatori suggeriscono che gli individui con sensibilità aumentata al reward possano percepire il cibo come maggiormente soddisfacente [11]. Un’incrementata impulsività può rendere quindi difficile resistere alla tentazione di ottenere la ricompensa desiderata. In un ambiente caratterizzato da un’alta fruibilità di cibo a elevato contenuto calorico, un bias attentivo alterato e diretto verso il cibo può rappresentare un importante fattore di mantenimento per il disturbo [12].
Nel corso degli ultimi vent’anni sono state formulate numerose ipotesi relative alle sfere psicopatologiche implicate nel BED e ai meccanismi psicodinamici che sostengono il disturbo. Sembra che gli stati affettivi negativi assumano un ruolo chiave nel mantenimento del BED [13]. Infatti, numerosi studi empirici hanno dimostrato che tali stati affettivi precedono direttamente gli episodi di iperalimentazione e si intensificano nei giorni in cui gli stessi si verificano [14]. Tra gli stati affettivi negativi, in ordine di prevalenza, compaiono rabbia/frustrazione, ansia/eccitabilità, tristezza/depressione e sofferenza. La dimensione più frequente, rappresentata dai sentimenti di rabbia/frustrazione, include emozioni negative (scoraggiamento, colpevolezza, irritazione, rabbia, ira, inadeguatezza, inettitudine, risentimento, frustrazione, gelosia, ribellione) [15] che emergono nel contesto interpersonale [16]. Diversi studi hanno infatti concluso che le emozioni relative a esperienze interpersonali sembrano essere particolarmente rilevanti nel BED e che le stesse conducano a un maggiore stato affettivo negativo che, in definitiva, causa alti livelli di abbuffata [17, 18].
Inoltre, sembra che gli individui affetti da BED facciano esperienza dei fattori stressanti e delle risultanti emozioni diversamente dai pari sani. In diversi studi i soggetti con BED hanno riportato di vivere come maggiormente negativi alcuni fattori stressanti nelle aree relative alla professione, all’impegno scolastico, alla dimensione familiare e affettiva e alle questioni di ordine pratico [19, 20]. Inoltre, è stata riportata una maggiore suscettibilità all’umore negativo e alle frustrazioni quotidiane rispetto ai controlli sani. In aggiunta, sono state riscontrate difficoltà in termini di consapevolezza emotiva (es. alessitimia, consapevolezza interiore e chiarezza) se comparati a individui normopeso e con obesità senza diagnosi di disturbo alimentare [21].
Alcuni studi hanno dimostrato, inoltre, che non è l’accumulo di stati emotivi sfavorevoli a determinare l’iperalimentazione, quanto invece l’improvviso incremento di emozioni negative che conduce a un immediato crollo del processo di regolazione emotiva e pulsionale [22]. Questi dati suggeriscono che l’impulsività, caratterizzata dalla rapida fluttuazione degli stati emotivi, svolge un ruolo significativo nel BED, rappresentando un rilevante fattore psicopatologico [23]. Secondo altri l’alimentazione compulsiva può ridurre alcuni stati emotivi, come la rabbia, e incrementarne altri, come il senso di colpa, con l’obiettivo di sostituire uno stato emotivo negativo con un altro maggiormente tollerabile [20].
Molti modelli suggeriscono che gli individui ricorrono all’abbuffata come strumento per attenuare le emozioni negative in assenza di strategie più adattative [21, 24]. In altre parole, il problema non sarebbe necessariamente l’esperienza di emozioni negative di per sé quanto la mancanza di strategie per regolarle. Si ipotizza che i pazienti con BED che hanno difficoltà nella regolazione degli stati emotivi negativi usino l’iperalimentazione come meccanismo di coping verso tali emozioni e vi trovino sollievo. Questo dato ha permesso la formulazione di due principali teorie che sottendono il BED.
Un primo modello, conosciuto come “fuga dalla consapevolezza di sé”, suggerisce che l’abbuffata sia motivata dal desiderio di evitare una percezione di sé negativa. I soggetti affetti da BED spesso nutrono standard e aspettative elevati, sono soggetti ad un’ipersensibilità alle richieste degli altri, percepite come difficili. Quando non raggiungono questi standard, svilupperebbero un’elevata concentrazione su di sé seguendo un modello avversativo, caratterizzato da visioni sgradevoli di sé e preoccupazione per il modo in cui vengono considerati dagli altri. Queste percezioni di sé sono accompagnate da disagio emotivo, che spesso include ansia e depressione. Per sfuggire a questo spiacevole stato mentale sotteso a un pensiero abnorme, i soggetti affetti da BED adotterebbero, come risposta cognitiva, un restringimento dell’attenzione verso elementi circostanti. Tale processo disattiverebbe le normali inibizioni nei confronti del cibo e favorirebbe un’accettazione acritica di convinzioni e pensieri irrazionali [25].
Un secondo modello fa riferimento alla “regolazione emotiva” e prevede che un incremento delle emozioni negative inneschi un episodio di abbuffata capace di alleviare tali emozioni usando il cibo come elemento distrattore [26]. Secondo tale teoria alcuni fattori predisponenti, come una storia familiare caratterizzata da problematiche inerenti al peso corporeo e l’alimentazione, un’attenzione diretta all’aspetto fisico e l’affidamento a standard esterni per definire l’autostima, condurrebbero ad anomalie nel funzionamento interpersonale dell’individuo e al suo senso di identità con conseguente percezione di impotenza e perdita del controllo sul proprio corpo. In un simile contesto l’abbuffata sarebbe innescata da un evento di vita significativo, spesso correlato a una perdita, un conflitto sessuale o cambiamenti di vita significativi che spingerebbero il soggetto a essere ipercritico verso sé stesso o fare esperienza di un stato emotivo negativo. Questi individui non dispongono di strategie di adattamento alternative e così l’abbuffata avrebbe la funzione di placare stati emotivi come la rabbia e lo stress o di distrarre dalla noia o dalla solitudine. L’iperalimentazione come risposta alle “emozioni indesiderate” diventerebbe così una reazione appresa sostenuta da un rinforzo negativo [27].
Altri esempi di strategie disadattive proposte nel contesto del BED sono la soppressione e la ruminazione [28]. Quando gli individui adottano la soppressione come strategia di regolazione emotiva, si osserva una riduzione nell’espressione esterna dell’emozione piuttosto che un impatto sull’esperienza interna dell’emozione stessa [24]. Questa strategia, efficace nel breve termine, verosimilmente fallisce nel lungo termine [24]. La stessa porterebbe a un maggiore stato di arousal e non sarebbe efficace nel ridurre le emozioni. Sembra, infatti, che la soppressione abbia un effetto opposto a quello desiderato e spinga il soggetto a fissarsi maggiormente sull’emozione negativa [29].
Inoltre, questo meccanismo sembrerebbe incidere in modo lieve sulle esperienze emotive negative, mentre interferirebbe in modo più evidente con quelle positive. La pratica della soppressione può portare, infatti, gli individui a condividere meno apertamente le proprie emozioni, sia positive sia negative, contribuendo così a un indebolimento del sostegno sociale. Nel caso in cui questa strategia venisse adottata in modo cronico, potrebbe ostacolare la risposta normale agli stimoli emotivi, favorendo la manifestazione di pensieri e sintomi di maggiore gravità psicopatologica [30].
La ruminazione verrebbe invece adottata come strategia dai soggetti affetti da BED nel tentativo di comprendere e risolvere i loro problemi [31]. Tuttavia, questa pratica può interferire con l’effettiva risoluzione delle questioni, portando a uno stato di indecisione anziché a una soluzione definitiva [32]. In questi individui la ruminazione, soprattutto quella che prevede una comparazione passiva di una determinata situazione a uno standard desiderato non raggiunto, sembra condurre a un peggiore stato affettivo [33]. Tale tendenza, secondo alcuni studi, sarebbe associata alla gravità della psicopatologia nel BED. In altre parole, individui che riflettono in modo ossessivo sulla forma del proprio corpo e lo confrontano con standard desiderati possono sperimentare una preoccupazione e uno stress particolarmente elevati riguardo alla loro immagine corporea.
Conclusioni
I dati in letteratura ad oggi disponibili descrivono elevate percentuali di comorbilità dei disturbi alimentari nell’obesità e nelle patologie ad essa associata. Tra questi, il disturbo da alimentazione incontrollata (BED) risulta sicuramente quello maggiormente rappresentato. I dati e l’esperienza clinica suggeriscono che i soggetti affetti da tale condizione mostrano una vulnerabilità psichica relativa ai circuiti del piacere e dell’impulsività. La regolazione emotiva stessa, che descrive l’abilità di un soggetto di gestire e rispondere alle richieste degli eventi quotidiani influenzando le emozioni che esperisce e il modo in cui le esprime, risulta compromessa. L’iperalimentazione si configura come una delle strategie di adattamento più fragili all’interno del repertorio di questi individui, dando luogo a un pericoloso ciclo di abbuffate, malessere, e nuove abbuffate. È ormai evidente che qualsiasi approccio finalizzato alla gestione efficace e a lungo termine dell’obesità, insieme alle sue temibili complicanze, deve tenere debitamente conto di tali aspetti durante la fase di valutazione diagnostica e nella gestione clinica dei pazienti.
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Verrastro, M., Tempia Valenta, S., Scudellari, P. et al. Obesità e Binge Eating Disorder: nutriamo il corpo o la mente?. L'Endocrinologo 25, 316–320 (2024). https://doi.org/10.1007/s40619-024-01464-1
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