Introduzione

L’acromegalia è una patologia rara dovuta a ipersecrezione cronica di ormone somatotropo (Growth Hormone, GH) la cui causa è, in più del 95% dei casi, un adenoma ipofisario, in particolare un macroadenoma. L’incremento nella produzione epatica di Insulin-like Growth Factor (IGF-1) che ne consegue conduce alle alterazioni somatiche tipiche e a complicanze multisistemiche [1, 2].

Il verificarsi di una gravidanza nelle donne affette da questa patologia è poco frequente, complici diversi fattori. In primo luogo, l’età media alla diagnosi di acromegalia è riportata essere tra i 40 e i 50 anni: più precisamente, per le donne, risulta intorno ai 46 anni secondo uno studio multicentrico europeo pubblicato nel 2017 [2, 3]. In secondo luogo, fattore ancora più rilevante, l’acromegalia si associa spesso a infertilità di origine multifattoriale. Una disfunzione gonadica è comune nelle donne acromegaliche, verificandosi nel 44–81% dei casi, e correla positivamente con la durata di malattia; sono stati riscontrati, inoltre, livelli di ormone anti-mülleriano (AMH) inferiori rispetto alle donne sane [4, 5]. Le cause risiedono: nell’iperprolattinemia (da deviazione del peduncolo ipofisario da parte del macroadenoma o da co-secrezione di prolattina e GH da parte dello stesso); nell’ipogonadismo ipogonadotropo che può insorgere dopo chirurgia o indotto dall’effetto massa del macroadenoma; nell’ipersecrezione stessa di GH e IGF-1 che altera la normale funzionalità dell’asse gonadotropo e/o agisce in maniera diretta sull’ovaio con l’instaurarsi di condizioni simili alla sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) [4, 6].

Tuttavia, un numero crescente di gravidanze in donne acromegaliche viene ad oggi riportato in letteratura, sia per l’efficacia degli approcci terapeutici disponibili, che permettono un miglior controllo di malattia con conseguente riduzione dell’infertilità associata, sia per il ricorso alle tecniche di riproduzione medicalmente assistita [7]. Il timore di una progressione tumorale durante la gravidanza che predominava in passato e l’esperienza limitata dovuta alla ristretta casistica nella gestione di queste pazienti vanno evolvendosi verso una maggiore consapevolezza dei rischi connessi a questa condizione.

Nelle donne acromegaliche il decorso della gravidanza è generalmente regolare, con stabilità ormonale e tumorale; tuttavia, la gestione può essere complessa e necessita di un’adeguata pianificazione [79].

Diversi aspetti vanno considerati in una donna acromegalica che manifesti desiderio di gravidanza: gli effetti della gravidanza sulle dimensioni tumorali e sui livelli di GH e IGF-1, gli effetti dei farmaci di cui disponiamo per il controllo dell’acromegalia sullo sviluppo fetale e l’impatto delle comorbilità cardiovascolari e metaboliche associate a malattia non controllata [8].

Effetti della gravidanza sulle dimensioni tumorali

Nelle donne sane la ghiandola ipofisaria durante la gravidanza aumenta significativamente di dimensioni con un incremento volumetrico di circa il 45% soltanto nel I trimestre, prevalentemente a causa dell’iperplasia e ipertrofia delle cellule lattotrope in risposta allo stimolo estrogenico [1012]. Nelle portatrici di un tumore ipofisario, l’incremento dimensionale fisiologico correlato alla gravidanza può quindi favorire l’insorgenza di sintomi da compressione e deficit visivi. Per evitare tale evenienza, è opportuno dunque che le donne con recente diagnosi di acromegalia che manifestino desiderio di gravidanza vengano indirizzate all’asportazione chirurgica dell’adenoma ipofisario presso centri di riferimento per la patologia ipofisaria, soprattutto se portatrici di macroadenomi o tumori con estensione sovrasellare/in prossimità del chiasma ottico [8, 9]. Nelle donne con microadenomi GH secernenti, senza comorbidità e fertilità preservata, è possibile posticipare l’approccio chirurgico successivamente alla gravidanza, dato il basso rischio di crescita tumorale sintomatica in questi casi [8, 9].

Non è chiaro se la gravidanza, attraverso l’innalzamento massiccio dei livelli di estrogeni, possa determinare un reale aumento delle dimensioni tumorali, ad ogni modo, è da considerare che l’interruzione della terapia medica potrebbe facilitare una ricrescita dell’adenoma [8, 9]. Un incremento tumorale sintomatico è osservato in meno del 9% dei casi circa [1315] e il rischio aumenta per i macroadenomi non operati e per i tumori in terapia medica alla conferma di gravidanza [8, 9]; l’incremento tumorale trova conferma radiologica in un minor numero di casi, circa il 5% [9]. Tra i sintomi compressivi che potrebbero manifestarsi, il più frequente è la cefalea, mentre il rischio che si verifichi un deficit del campo visivo permane molto basso e ancor più raro è il verificarsi di apoplessia ipofisaria [8, 9].

In corso di gravidanza è indicato il monitoraggio regolare del campo visivo nei casi con voluminosi adenomi o tumori con estensione sovrasellare. In caso di deficit visivi e/o sintomatologia severa sospetta per crescita tumorale è opportuna l’esecuzione di RM senza mezzo di contrasto; tale esame può anche essere eseguito regolarmente ogni trimestre, a partire dal terzo mese di gravidanza, se vi è un residuo tumorale importante in prossimità del chiasma ottico [8, 9].

Asse somatotropo in gravidanza

Per comprendere meglio le modifiche nell’ipersecrezione di GH/IGF-1 in corso di gravidanza nelle donne acromegaliche, è necessario ricordare brevemente ciò che fisiologicamente avviene su questo stesso asse durante la gravidanza. Nelle donne sane la gravidanza può essere anche definita come una condizione di lieve acromegalia fisiologica: a partire dalla 5a settimana gestazionale la placenta produce un’isoforma di GH a livelli progressivamente crescenti, fino al raggiungimento di un picco di entità variabile alla 35a–37a settimana di gestazione. L’IGF-1, di conseguenza, aumenta fino a livelli superiori ai range previsti per donne di pari età, fino a raddoppiare i valori pregravidici [9, 12], sopprimendo tramite feedback negativo la secrezione di GH ipofisario che risulta, quindi, indosabile alla 24a settimana gestazionale.

Il ruolo del GH placentare è quello di promuovere, tramite l’IGF-1, crescita e sviluppo fetale. Tale ormone viene secreto in maniera continua, a differenza della secrezione pulsatile del GH ipofisario, e non è stimolato da GHRH [12, 16, 17]. Le due isoforme di GH non sono distinguibili con la maggior parte delle metodiche immunologiche di laboratorio (Fig. 1) [9]. La compresenza dell’isoforma placentare, l’aumento delle proteine leganti e le variazioni ormonali rendono già di per sé complessa la valutazione ormonale nella paziente sana. Nelle donne acromegaliche gravide il GH, nella sua isoforma ipofisaria, viene ipersecreto in maniera autonoma dall’adenoma ipofisario, senza essere soggetto al feedback inibitorio da parte dei livelli crescenti di IGF-1 [8]. Gli studi, tuttavia, riportano ridotti livelli di IGF-1 e un conseguente miglioramento dei sintomi associati ad acromegalia durante il primo trimestre, verosimilmente per la resistenza epatica al GH indotta dagli elevati livelli di estrogeni e per un probabile effetto residuo delle terapie con formulazioni long acting assunte prima della conferma di gravidanza, oltre a un’ipotetica sensibilità residua al feedback inibitorio che può essere ancora presente in alcuni casi [7, 8]. Nel secondo e terzo trimestre di gravidanza i livelli di IGF-1 osservati sono più variabili, possono aumentare o rimanere stabili. Nella maggior parte dei casi, infine, poco dopo il parto vi è un rebound dei livelli di IGF-1 e dell’attività clinica di malattia [8]. Considerata la variabilità dei profili di GH e IGF-1 riscontrati, non è indicato il monitoraggio di questi due ormoni in corso di gravidanza in quanto non utile per la gestione clinica [8, 9].

Fig. 1
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Asse somatotropo durante gravidanza normale e gravidanza in acromegalia. Nella gravidanza normale (a sinistra), il GH placentare è il principale responsabile della produzione di IGF-1 materno e insieme ad esso inibisce il GH ipofisario tramite feedback negativo. Il GH placentare diventa la forma predominante di GH a partire circa dalla metà della gravidanza. Gli alti livelli di estrogeni provocano resistenza epatica all’azione di entrambe le isoforme di GH, ma i livelli crescenti di GH placentare con il progredire della gravidanza fanno sì che si raggiunga un incremento nei livelli finali di IGF-1. Nella donna con acromegalia (a destra), la secrezione di GH ipofisario da parte del tumore è autonoma e non soggetta a feedback negativo da parte di IGF-1 né da parte dei crescenti livelli di GH placentare. La secrezione di IGF-1 è quindi stimolata da entrambe le isoforme di GH ma i livelli elevati di estrogeni, causando resistenza epatica al GH, permettono che i livelli finali di IGF-1 non si innalzino in maniera eccessiva anche nelle gravide acromegaliche. Created with BioRender.com

Gestione del trattamento

I farmaci di cui disponiamo per il trattamento medico dell’acromegalia, in caso di mancato controllo della malattia o controindicazione alla chirurgia (I linea terapeutica), sono gli analoghi della somatostatina (SSA) di prima e seconda generazione (rispettivamente octreotide, lanreotide e pasireotide), i dopamino agonisti (DA, cabergolina e bromocriptina) e gli antagonisti del recettore del GH (pegvisomant) [1]. Gli SSA di prima generazione e la cabergolina attraversano la placenta, mentre pegvisomant sembra attraversarla minimamente [8]; pegvisomant, inoltre, non sembra essere secreto nel latte materno [18]. Nessuno di questi farmaci è attualmente approvato per l’utilizzo in gravidanza. Gli studi riportano perlopiù dati riguardo a un’esposizione alla terapia medica in fase precoce di gravidanza, con interruzione della terapia in seguito alla conferma della gravidanza.

L’evidenza riguardo la sicurezza della cabergolina in gravidanza è consistente e deriva dal suo utilizzo in circa 800 donne portatrici di prolattinoma; una casistica considerevolmente più ampia supporta, inoltre, la sicurezza della bromocriptina [19]. In uno studio veniva riportato un aumento significativo dei neonati macrosomici per le gravidanze trattate con DA [20].

In letteratura è riportato un maggior numero di casi di donne trattate con SSA di prima generazione e pochissimi casi trattati con pasireotide: nella maggior parte di essi i farmaci venivano sospesi alla conferma di gravidanza; tuttavia, si può desumere che un’esposizione del feto sia perdurata oltre alla sospensione per le donne che utilizzavano formulazioni a lunga durata d’azione. Gli outcome fetali e neonatali sono risultati generalmente positivi, con la nascita di neonati sani, a termine e con peso e altezza all’interno dei range di normalità [9], nonostante in precedenza alcuni studi avessero evidenziato un probabile aumentato rischio di basso peso alla nascita o neonati SGA con l’utilizzo degli analoghi di prima generazione [7, 20, 21]. Quest’ultimo dato potrebbe trovare spiegazione nel riscontro di una transitoria riduzione nel flusso dell’arteria uterina dopo somministrazione di octreotide a breve durata d’azione (non riscontrato per le formulazioni a lunga durata d’azione) che, tuttavia, lo stesso studio riferiva non impattare sulla funzione della barriera materno-fetale né sullo sviluppo fetale [22]. Relativamente agli outcome più a lungo termine, lo stato di salute generale, lo sviluppo neuropsicologico e i punteggi del quoziente intellettivo dei figli di donne acromegaliche sono risultati nella norma, sia in donne non trattate e/o trattate con SSA soltanto in fase precoce di gravidanza [23], sia in donne trattate con octreotide a breve [22] e a lunga [24] durata d’azione durante tutta la gravidanza. In ultimo, non è stato riportato un maggior rischio teratogeno per gli SSA di prima generazione [9]. Dall’analisi della letteratura è emerso come non vi sia una chiara differenza in termini di sicurezza e teratogenicità tra le donne che abbiano utilizzato la terapia fino alla diagnosi di gravidanza e quelle che abbiano fatto un utilizzo della terapia medica per un periodo maggiore [9, 15].

Limitata è l’esperienza con pegvisomant, che non sembrerebbe causare eventi avversi materno-fetali [18, 25, 26], compresi i pochi casi in cui è stato utilizzato per tutta la durata della gravidanza [18, 25]. Una casistica più ampia, tuttavia, è necessaria per valutare l’effetto sulla crescita fetale e la possibile interferenza sull’attività del GH placentare, poiché anch’esso ha come bersaglio biologico il recettore del GH [27].

Ancora più ristretta risulta la casistica riguardo l’utilizzo di pasireotide: un case report riferisce una gravidanza decorsa normalmente, senza complicanze materne o fetali [28].

Alla luce dei dati a supporto della relativa sicurezza di questi farmaci, le linee guida europee consigliano di proseguire la terapia con SSA di prima generazione nelle pazienti in cui vi sia indicazione alla terapia medica, fino alla conferma di gravidanza [9]. Il beneficio sul controllo di malattia e sul ripristino della fertilità supererebbe i rischi di potenziali eventi avversi. La casistica ancora limitata fa tuttavia propendere per una sospensione precauzionale della terapia una volta confermata la gravidanza. La sospensione della terapia medica durante la gravidanza non impatta sul decorso a lungo termine di malattia e può essere ritenuta sicura, anche in base a quanto osservato riguardo al miglioramento della sintomatologia, ai profili di IGF-1 e alla stabilità tumorale in corso di gravidanza [8, 9].

Nel caso infrequente di evidenza di crescita tumorale sintomatica con cefalea grave e resistente e/o peggioramento del campo visivo, si può valutare in prima linea una ripresa della terapia medica con SSA di prima generazione, iniziando con octreotide short acting e titolando la dose. Il pegvisomant è da riservare ai casi che non ottengano un controllo di malattia con i SSA. Pasireotide, analogo di seconda generazione, non ha al momento sufficiente evidenza per poter considerare il suo utilizzo in gravidanza [9].

Se la terapia medica non fosse sufficiente e/o vi fosse riscontro di grave deficit visivo (rarissimi casi) la chirurgia transfenoidale (TS) è raccomandata, poiché il beneficio dell’intervento in questo caso supera i rischi chirurgici e anestesiologici. I rischi di malformazioni congenite nel primo trimestre e quelli di parto prematuro nel terzo trimestre rendono il secondo trimestre il periodo ottimale per l’intervento chirurgico [9, 29].

Effetti della gravidanza sulle comorbidità cardiovascolari e metaboliche

Le complicanze cardiometaboliche (ipertensione arteriosa, diabete e ridotta tolleranza glucidica) associate ad acromegalia attiva possono aumentare il rischio di eventi avversi materno-fetali. Poiché la gravidanza di per sé costituisce uno stato di insulino-resistenza, alterata tolleranza glucidica e diabete possono peggiorare in gravidanza. Anche la presenza di ipertensione non controllata all’avvio della gravidanza può aumentare il rischio di ipertensione gravidica e preeclampsia, con conseguente effetto avverso sul flusso placentare e sulla crescita e sullo sviluppo fetale. In previsione di una gravidanza, dunque, è necessario un buon controllo di malattia e delle complicanze per minimizzare questi rischi. Ciononostante, a gravidanza avviata andranno monitorate, in tutte le donne acromegaliche, pressione arteriosa e tolleranza glucidica: in caso di riscontro di alterazioni la gestione deve attenersi alle linee guida in vigore per queste patologie in corso di gravidanza [8, 9].

Parto e allattamento al seno

Il parto naturale è consentito, mentre si predilige il parto cesareo per le portatrici di residuo tumorale voluminoso o che non siano state sottoposte ad asportazione chirurgica. L’allattamento non è controindicato, ma è da evitare in caso di necessità di ripresa della terapia per l’acromegalia dopo la gravidanza: non sono noti, infatti, l’escrezione dei farmaci nel latte e gli effetti sul neonato. Dopo il parto, poiché è frequente la ripresa dell’acromegalia, è importante rivalutare l’attività di malattia, se necessario anche con una RM, da eseguire con tempistiche più o meno urgenti a seconda della severità di malattia e delle dimensioni tumorali e senza gadolinio in caso di allattamento [2, 8, 9].

Conclusioni

In conclusione, la gravidanza nelle donne acromegaliche è una condizione relativamente sicura e decorre perlopiù in assenza di eventi avversi materno-fetali. In vista del concepimento, è auspicabile il raggiungimento di un buon controllo di malattia. In via precauzionale, vista la casistica ancora limitata riguardo a un utilizzo in una fase più avanzata della gravidanza, generalmente la terapia medica viene interrotta alla diagnosi di gravidanza. Tuttavia, se indicato, possono essere utilizzati gli SSA di prima generazione o i DA in quanto, per questi farmaci, non è stato riportato un aumentato numero di aborti e malformazioni fetali. Nel corso della gravidanza è opportuno un regolare monitoraggio clinico per intercettare un eventuale peggioramento dei valori pressori e glucometabolici o l’insorgenza di sintomatologia compressiva. A seconda della massa e della sede tumorale, è consigliabile anche un monitoraggio regolare del campo visivo ed eventualmente la RM, mentre non è necessario il monitoraggio biochimico di GH e IGF-1. Nei rari casi in cui si verifichi una crescita tumorale sintomatica durante la gravidanza, si può tentare inizialmente la ripresa della terapia con DA o con SSA di prima generazione; qualora la terapia medica fosse inefficace, si può ricorrere alla chirurgia TS. (Fig. 2). Nonostante gli outcome materno-fetali complessivamente si confermino positivi, l’approccio alla gravidanza nelle donne acromegaliche non può prescindere da una pianificazione attenta e da una gestione individualizzata.

Fig. 2
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Gestione dell’acromegalia in gravidanza