Introduzione

L’invecchiamento è un evento caratterizzato da un progressivo declino delle funzioni fisiologiche; come tutti i sistemi dell’organismo, anche quello endocrino è coinvolto in tale processo.

La fisiologica riduzione dei livelli di GH, IGF-1 e ormoni sessuali, e l’alterazione dell’assetto glicometabolico sono tra le principali alterazioni endocrine riscontrate nell’anziano e concorrono all’insorgenza di alcune delle più diffuse patologie in età avanzata, come l’osteoporosi, la sarcopenia, l’obesità e le comorbilità associate (diabete mellito di tipo 2 e sindrome metabolica).

Un’adeguata e costante attività fisica rappresenta la base per un invecchiamento in buona salute, rallentando il declino fisico e mentale. Per tale motivo, l’importanza di praticare una regolare attività fisica nel soggetto anziano viene ribadita anche nelle ultime linee guida WHO del 2020, ponendo inoltre particolare attenzione alla differente efficacia delle diverse tipologie di esercizio fisico eseguito.

Principali alterazioni ormonali ed endocrinopatie dell’anziano

A partire dalla terza decade di vita si assiste a una riduzione dei valori dell’ormone della crescita GH e del suo mediatore IGF-1, sino a raggiungere i minimi valori durante l’età avanzata. Questo fenomeno, definito come “somatopausa”, deriva da un’alterazione dei sistemi neuroendocrini implicati nella secrezione del GH, con una prevalenza dell’azione inibitoria della somatostatina sui neuroni secernenti GH-RH, associata alla riduzione dell’azione stimolatoria di tale ormone sull’ipofisi. A ciò si somma un’alterata sensibilità dei neuroni ipotalamici al feedback mediato da GH e IGF-1. Oltre ai meccanismi elencati concorrono anche altri fattori, tra cui il calo degli steroidi sessuali, che riduce l’ampiezza dei picchi di secrezione del GH; l’incremento della massa grassa, che influenza negativamente l’emivita e i picchi secretori di GH; infine, l’esercizio fisico e il sonno, importanti stimoli per la secrezione del GH, risultano spesso carenti e alterati nell’anziano [14].

Nell’uomo sano, tra i 25 e i 75 anni si assiste a un calo progressivo dei valori di testosterone totale di circa il 25% e di testosterone libero di circa il 50%, a causa dell’incremento età-correlato dell’SHBG. Questo fenomeno è determinato dalla riduzione numerica delle cellule di Leydig e dalla concomitante produzione deficitaria di steroidi sessuali. Inoltre, con l’avanzare dell’età, diminuisce la sensibilità delle cellule ipotalamiche al feedback esercitato da LH e testosterone e la pulsatilità del Gn-RH presenta picchi secretori sempre meno frequenti e ampi [1, 3, 5].

Nella donna la menopausa si caratterizza per un progressivo calo estrogenico dovuto all’esaurimento della funzione ovarica. La riduzione numerica e funzionale dei follicoli ovarici determina un calo nella produzione ovarica di inibina ed estradiolo, con attivazione del feedback positivo e aumento dei valori ematici prima di FSH e poi di LH. Tale incremento delle gonadotropine determina un reclutamento degli ultimi follicoli ovarici disponibili, con dei cicli sempre più irregolari sino all’insufficienza ovarica completa. Dopo la menopausa, i valori di estrogeni circolanti sono rappresentati prevalentemente dall’estrone, derivante dalla conversione degli androgeni surrenalici a livello periferico. Tuttavia, a causa della riduzione anche di tali androgeni e del testosterone di origine tecale, i valori di estrone sono comunque nettamente inferiori rispetto a quelli dell’estradiolo in età riproduttiva [1, 3, 6].

Il calo degli ormoni steroidei riguarda anche quelli di derivazione surrenalica; in particolare, il deidroepiandrosterone (DHEA) presenta una progressiva riduzione dopo i trent’anni. Ciò determina un’ulteriore carenza di testosterone ed estrogeni che derivano dalla sua conversione nei tessuti periferici [13]. Al contrario, le alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene determinano, nel soggetto anziano, un incremento del 20–50% del cortisolo circolante nelle 24 ore. Il meccanismo responsabile di tale variazione deriverebbe da una ridotta sensibilità ipotalamo-ipofisaria al feed-back negativo del cortisolo, con conseguente incremento nelle concentrazioni notturne del cortisolo, picco mattutino precoce e riduzione dell’oscillazione circadiana di tale ormone. Inoltre, con l’avanzare dell’età si assiste anche a un aumento dell’attività dell’11-beta-idrossisteroido-deidrogenasi, responsabile della conversione della forma inattiva del cortisolo (cortisone) alla sua forma attiva e tale conversione si associa, per esempio, a livello muscolare a una riduzione della forza [13].

Tra le conseguenze delle alterazioni ormonali sopra elencate ricordiamo la riduzione delle loro note funzioni anaboliche e lipolitiche, in grado di contribuire alle modificazioni della composizione corporea riscontrate in età avanzata (Fig. 1). La riduzione della massa magra e della densità minerale ossea, associata all’aumento della massa grassa, predispongono a loro volta all’insorgenza di patologie come l’osteoporosi, la sarcopenia, l’obesità e le comorbilità associate. Queste patologie, nel soggetto anziano, sono spesso concomitanti e condividono un legame di tipo causa-effetto tanto che, ad esempio, si parla sempre più frequentemente di obesità osteosarcopenica.

Fig. 1
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Variazioni ormonali implicate nelle modificazioni della composizione corporea durante l’invecchiamento. \(GH\), ormone della crescita; IGF1, somatomedine; FSH, follitropina; \(LH\), lutropina; \(E2\), estradiolo; \(TT\), testosterone totale; DHEA, deidroepiandrosterone.

L’aumento della massa grassa nell’anziano ha un’origine multifattoriale, che comprende in parte lo stile di vita (maggiore sedentarietà), in parte deriva da fattori endogeni, tra cui la riduzione di ormoni ad azione anabolizzante e lipolitica. Bisogna, inoltre, sottolineare che l’incremento della massa grassa non si manifesta nell’anziano esclusivamente nella classica forma di sovrappeso/obesità, ma anche come ridistribuzione del tessuto adiposo a livello viscerale, osseo e muscolare. L’accumulo di tessuto adiposo determina l’instaurarsi di uno stato proinfiammatorio cronico, con produzione di citochine specifiche (es. IL-6, IL1 e TNF) e aumento dello stress ossidativo. Queste adipochine predispongono all’insorgenza di insulino-resistenza e intolleranza glucidica, favorite anche dalla progressiva riduzione della massa magra, tessuto fortemente insulino-sensibile e principale utilizzatore del glucosio [3, 7].

La riduzione della massa ossea può presentarsi nell’anziano sotto vari livelli di gravità, dall’osteopenia fino all’osteoporosi, e deriva da un’alterazione dell’equilibrio tra neo-apposizione ossea da parte degli osteoblasti e riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti, entrambi regolati dagli osteociti in risposta al carico e allo stimolo meccanico. I fattori endocrini che concorrono all’alterazione di tale equilibrio durante l’invecchiamento sono molteplici. In primis, la riduzione dei valori ematici di vitamina D e calcio, induce un iperparatiroidismo secondario che determina il rimodellamento osseo. Il calo di estrogeni e testosterone comporta un danno locale dovuto all’incremento dello stress ossidativo con apoptosi degli osteociti e riduzione nella massa ossea trabecolare e corticale; inoltre, con il deficit estrogenico si riduce l’assorbimento intestinale e renale di calcio estrogeno-dipendente. Anche il deficit di GH e IGF-1 nelle sue varie isoforme contenute nella matrice ossea, contribuisce alla riduzione della densità minerale ossea, aumentando il rischio di fratture [3, 7].

La sarcopenia è una patologia muscoloscheletrica progressiva caratterizzata da una riduzione della forza muscolare derivante da un’alterazione quali-quantitativa del muscolo. Infatti, il soggetto sarcopenico presenta classicamente una riduzione della massa muscolare associata al deposito di grasso a questo livello. Da un punto di vista endocrino, il deficit di ormoni ad azione anabolizzante come il testosterone, il DHEA, il GH e IGF-1, riduce la sintesi proteica e la rigenerazione delle fibre muscolari; l’aumento del cortisolo stimola la proteolisi a livello muscolare, con un effetto catabolico sul muscolo. Inoltre, è ormai dimostrato come la sarcopenia si accompagni spesso al diabete mellito di tipo 2 nell’anziano, in quanto la ridotta sensibilità insulinica a livello del tessuto muscolare determina una riduzione della sintesi proteica [79].

Come detto precedentemente il tessuto adiposo, osseo e muscolare sono interconnessi da un cross-talk estremamente dinamico. Il deposito di tessuto adiposo a livello viscerale, muscolare e nel midollo osseo stimola la liberazione di adipochine proinfiammatorie (es. IL-1, IL-6, TNF) responsabili della disregolazione di vie intracellulari implicate nella patogenesi dell’osteoporosi e della sarcopenia. L’interleuchina 6 (IL-6) induce l’attivazione della via del RANKL negli osteoclasti e aumento del riassorbimento osseo [8]. Il rimaneggiamento osseo determina la liberazione in circolo di TGF-beta, il quale aumenta lo stress ossidativo che induce instabilità dei canali rianodinici a livello muscolare scheletrico, perdita di ioni calcio e conseguente debolezza muscolare; inoltre, le specie reattive dell’ossigeno danneggiano il DNA mitocondriale, determinando l’apoptosi delle cellule muscolari. Livelli elevati di TNF-alfa inibiscono alcune vie di segnale intra-cellulare tra cui la PI3K/Akt/mTOR, responsabile dell’attivazione della sintesi proteica nelle fibre muscolari (Fig. 2) [10].

Fig. 2
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Eziopatogenesi e principali complicanze dell’osteoporosi e della sarcopenia nell’anziano. ROS, specie reattive dell’ossigeno.

Il ruolo dell’esercizio fisico per l’invecchiamento in buona salute

Tra i trattamenti di tipo non farmacologico volti a favorire l’invecchiamento in buona salute, l’esercizio fisico presenta un ruolo rilevante. In particolare, sempre più numerosi sono i dati che mostrano un effetto dell’attività fisica sul rallentamento dell’invecchiamento biologico e sulla prevenzione primaria e secondaria delle patologie dell’età avanzata, con risultati differenti anche in relazione alla tipologia di esercizio eseguito. Occorre, pertanto, distinguere l’esercizio fisico in allenamento di tipo aerobico, allenamento di forza, esercizi di equilibrio e flessibilità. L’attività aerobica viene svolta in maniera continua e ritmica e migliora la resistenza cardiovascolare (alcuni esempi sono la corsa, il jogging, il nuoto, ecc.). La sua intensità viene misurata sulla base della percentuale di frequenza cardiaca massimale raggiunta [HRmax] (moderata = 60–80% della HRmax; intensa = 85–95% della HRmax). L’attività di forza migliora la potenza, la resistenza e la dimensione del muscolo e consiste nella contrazione muscolare contro un carico rappresentato da pesi, attrezzi, o dal semplice peso corporeo (es. pesistica, push-up, trazioni, squat, ecc.); in questo tipo di esercizio, l’intensità della forza si calcola come percentuale del carico massimo che può essere sollevato per una singola ripetizione (% of one-repetition maximum, % 1RM). Gli esercizi di equilibrio e flessibilità (es. yoga, pilates, stretching) sono fondamentali per migliorare il grado di stabilità dell’anziano, riducendo il rischio di cadute e infortunio.

L’influenza diretta dell’attività fisica sulle alterazioni ormonali precedentemente analizzate è ancora oggi oggetto di studio e valutazione. Gli studi eseguiti su attività fisica e somatopausa hanno mostrato risultati poco rilevanti; infatti, l’incremento del GH in risposta all’esercizio si ha solo per sforzi aerobici massimali (100% del picco di consumo di O2) e prevalentemente in soggetti giovani. Più significativa sembra essere, invece, la relazione tra esercizio fisico e IGF-1; l’attività fisica di tipo aerobico anche moderata svolta con costanza, agisce come importante stimolo per la produzione locale (autocrina e paracrina) di IGF-1. Inoltre, esiste una particolare isoforma di IGF-1, nota come mechano growth factor (MGF o IGF-1Ec), che viene prodotta in risposta alla contrazione e allungamento muscolare e svolge un’azione di crescita locale, stimolando la proliferazione cellulare e aumentando la forza muscolare. Anche per quanto riguarda gli androgeni, lo stimolo meccanico sembra determinarne un incremento, soprattutto a livello tissutale. Studi recenti hanno dimostrato la presenza di enzimi responsabili dell’androgenesi (es. 17\(\beta \) e 3\(\beta \) idrossi-steroido-deidrogenasi e 5\(\alpha \) reduttasi) a livello muscolare, la cui espressione è regolata positivamente dall’attività di forza nei soggetti anziani sia di sesso maschile che femminile, con un incremento dei livelli di testosterone libero, diidrotestosterone e deidroepiandrosterone [11, 12].

Nonostante, ad oggi, non si conoscano con certezza gli effetti diretti dell’attività fisica sulle singole variazioni ormonali durante l’invecchiamento, risulta ben noto il ruolo dell’esercizio fisico come prevenzione primaria e secondaria delle patologie dell’età avanzata, tra cui l’osteoporosi, la sarcopenia e l’obesità.

Numerose sono le prove che mostrano come l’attività fisica multicomponente (comprensiva di esercizi aerobici, di forza e di flessibilità/equilibrio), svolta con costanza, aumenti la densità minerale ossea (BMD). Dalla review di Pinheiro e collaboratori del 2020, comprendente 12 studi osservazionali e 47 trial, emerge il ruolo rilevante dell’attività fisica nella prevenzione sia primaria che secondaria dell’osteoporosi nelle persone anziane [13]. L’attività fisica agisce da un lato ottimizzando la massa ossea e, dall’altro, migliorando la stabilità posturale che previene il rischio di caduta. Per il raggiungimento del primo obiettivo risulta fondamentale l’allenamento di forza, svolto 3 volte a settimana e strutturato in maniera tale da coinvolgere tutti i distretti muscolari a un’intensità del 70–85% 1RM. Per il massimo beneficio, al rafforzamento muscolare si dovrebbe affiancare anche l’attività di tipo aerobico, che può includere esercizi ad alto impatto (es. corsa o salti) nei pazienti che non presentano rischio di frattura, o a impatto ridotto (es. camminata veloce) nei pazienti con osteoporosi conclamata esposti a un aumentato rischio di eventi acuti. Per il secondo obiettivo, ossia il raggiungimento di un buon grado di stabilità, si consiglia di eseguire esercizi posturali sino a 7 volte a settimana, oppure associare attività come yoga o pilates almeno due volte a settimana [14, 15].

Gli effetti dell’attività aerobica di intensità moderata-alta sulla riduzione della massa grassa, soprattutto viscerale, aumento della lipolisi e sensibilità insulinica sono ampiamente dimostrati; pertanto, questo tipo di attività fisica dovrebbe essere sempre preso in considerazione. Tuttavia, l’impiego dell’attività aerobica ad alto impatto è spesso limitato nelle persone anziane per via delle patologie associate (patologie cardiovascolari, osteoartriti, osteoporosi, ecc.), per cui in questa categoria di pazienti sarebbe indicato associare l’esercizio aerobico a basso impatto a esercizi di rafforzamento muscolare, i quali hanno dimostrato avere risultati simili soprattutto sull’incremento della sensibilità insulinica [15, 16]. Infatti, sia l’esercizio aerobico che quello di resistenza determinano un aumento dell’espressione dei recettori per il glucosio GLUT-4 a livello tissutale migliorando il controllo glicemico [11, 16]. Considerato che l’associazione delle due sembra avere un’efficacia maggiore nella riduzione del grasso viscerale, tutti gli anziani in sovrappeso e con le complicanze associate (diabete mellito di tipo 2, sindrome metabolica), in assenza di controindicazioni, dovrebbero svolgere esercizi di resistenza di intensità moderato-elevata (>70% 1RM) due volte a settimana combinati con attività di tipo aerobico al 60–75% della HRmax per almeno tre volte a settimana [15, 16].

Nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 devono essere considerate anche le complicanze che spesso si associano alla patologia, come l’instabilità posturale causata dalla neuropatia e dai deficit visivi, per cui andrebbe sempre più incoraggiata un’attività fisica personalizzata. In questi casi, associare anche esercizi di equilibrio risulta particolarmente utile [16].

L’attività fisica, associata a un adeguato introito calorico e proteico giornaliero, rappresenta, ad oggi, il principale trattamento per la sarcopenia. Considerando la patogenesi di tale patologia, il tipo di attività fisica più efficace è l’allenamento di forza, in quanto riduce l’infiammazione muscolare e promuove l’anabolismo muscolare incrementando la sintesi proteica. Infatti, l’adattamento al carico determina, anche in età avanzata, delle modifiche a livello neuronale, metabolico e strutturale, in grado di compensare la perdita e l’atrofia muscolare età-correlata.

La frequenza e l’intensità devono essere adattati all’entità della patologia stessa nell’individuo e al suo grado di fitness. In particolare, dallo studio di Hurst e colleghi [17] è stato dimostrato come 2–3 allenamenti di potenziamento muscolare a settimana riescano a garantire un miglioramento della forza muscolare nei soggetti anziani e, per tale motivo, dovrebbero rappresentare lo standard terapeutico. Tuttavia, nei casi in cui si parta da un grado di sarcopenia severa o da una ridotta forza muscolare di base, è indicato partire da una singola sessione a settimana, in maniera tale da garantire un efficace tempo di recupero, per poi aumentare in maniera graduale la frequenza ad almeno 2 volte a settimana. Per quanto riguarda l’intensità, questa dovrebbe sempre essere raggiunta in maniera graduale, partendo da un livello di intensità lieve (esercizi a corpo libero o al 30–60% 1RM) in tutti quei soggetti non allenati o con un grado severo di sarcopenia, e di intensità moderata (50–70% 1RM) per quelli che partono da un buon livello di fitness, per aumentare progressivamente verso un livello di intensità moderato-alto (70–80% 1RM) che consente di ottenere i migliori risultati in termini di forza e massa muscolare [15, 17].

Conclusioni

In conclusione, sulla base di quanto detto, l’attività fisica multicomponente che combina attività aerobica, di resistenza ed esercizi di equilibrio/stabilità, sembra essere la più efficace nel prevenire e trattare le più comuni patologie dell’età avanzata (Tabella 1). Ciò viene, infatti, confermato dalle linee guida WHO del 2020, che raccomandano per gli adulti di età pari o superiore a 65 anni almeno 150 minuti di attività fisica aerobica di intensità moderata o 75 minuti di attività fisica aerobica di intensità vigorosa, associata a esercizi di rafforzamento muscolare e allenamento dell’equilibrio svolti 2–3 volte a settimana a intensità moderata o vigorosa per migliorare la capacità funzionale e ridurre il rischio cadute [18]. Pertanto, nell’ottica di un invecchiamento in buona salute, l’attività fisica dovrebbe rappresentare anche nella popolazione anziana una delle principali strategie preventive e terapeutiche.

Tabella 1 Modalità e tipologia di esercizio fisico in relazione alle patologie dell’età avanzata. % \(1RM\), percentuale del carico massimo che può essere sollevato in una singola ripetizione; % \(HR_{\mathit{max}}\), percentuale di frequenza cardiaca massimale