Introduzione

L’iponatremia rappresenta una sfida per i clinici e per l’economia dei sistemi sanitari, in quanto è il disturbo elettrolitico più frequente nei pazienti ospedalizzati e frequentemente si associa a complicanze che aumentano in modo significativo la durata dei ricoveri e i relativi costi [1]. Le forme acute si manifestano con sintomi e segni neurologici potenzialmente letali per il paziente (encefalopatia iponatremica), ma anche la riduzione cronica dei livelli sierici di sodio (Na+) aumenta la morbilità e la mortalità dei soggetti affetti, peggiorando la prognosi di numerose patologie tra cui lo scompenso cardiaco e il cancro [1].

Indipendentemente dal volume del compartimento extracellulare (sulla base del quale esse vengono classificate in ipovolemiche, euvolemiche e ipervolemiche), le iponatremie ipotoniche (o vere) sono sempre espressione di un eccesso relativo di acqua rispetto al contenuto corporeo totale di Na+ [2]. Nelle forme euvolemiche e ipervolemiche, che sono secondarie a una riduzione vasopressina-dipendente dell’escrezione renale di acqua libera, la restrizione idrica è l’opzione terapeutica di prima scelta ma è spesso inefficace [3]. Gli antagonisti del recettore V2 della vasopressina o vaptani, tramite il loro effetto acquaretico, rappresentano una valida opzione terapeutica nel trattamento delle iponatremie croniche euvolemiche secondarie a sindrome da inappropriata antidiuresi (SIAD) in Europa (e anche delle forme ipervolemiche da scompenso cardiaco congestizio e insufficienza epatica negli USA) [2]. Le limitazioni al loro impiego (anche in termini di costi) e i possibili effetti collaterali (ipercorrezione della sodiemia, epatotossicità) spingono però alla ricerca di nuove opzioni terapeutiche, efficaci e sicure, da poter utilizzare come seconda linea in caso di fallimento della restrizione idrica. La terapia con urea, che agisce inducendo diuresi osmotica e potrebbe, pertanto, rappresentare un’alternativa valida e a basso costo, è infine caratterizzata da una scarsa compliance dei pazienti a causa della palatabilità e dei possibili effetti indesiderati gastrointestinali [3].

I farmaci antidiabetici orali appartenenti alla famiglia degli inibitori del cotrasportatore Na+-glucosio di tipo 2 (SGLT-2i) sono impiegati da relativamente poco tempo nel trattamento del diabete mellito (DM). Essi esercitano il loro effetto ipoglicemizzante attraverso l’aumento dell’escrezione renale di glucosio che, a sua volta, determina diuresi osmotica e incremento dell’escrezione di acqua libera [4]. La riduzione del volume effettivo circolante e la conseguente azione emodinamica di queste molecole sono verosimilmente alla base della protezione cardio- e nefrovascolare osservata nei pazienti diabetici e della riduzione della mortalità nei soggetti non diabetici con scompenso cardiaco e ridotta frazione di eiezione [5, 6], ma ne suggeriscono un possibile impiego anche nei pazienti affetti da iponatremia cronica.

Di seguito analizzeremo le evidenze sperimentali riportate in letteratura sull’effetto dei farmaci SGLT-2i sul bilancio idroelettrolitico e sulle concentrazioni sieriche di Na+, e i possibili meccanismi fisiopatologici alla base di questa loro azione pleiotropica.

Meccanismo d’azione dei farmaci SGLT-2i

I farmaci SGLT-2i bloccano il riassorbimento tubulare del glucosio filtrato dai glomeruli renali, inducendo glicosuria e, conseguentemente, riducendo la glicemia e i valori di emoglobina glicata [4]. Nel rene il riassorbimento del glucosio è accoppiato a quello del Na+. La Na+/K+ ATPasi (pompa Na+/K+ ATP-dipendente), localizzata sulla membrana basolaterale delle cellule dell’epitelio tubulare, genera una concentrazione di Na+ maggiore nel filtrato renale rispetto a quella presente all’interno delle cellule tubulari. A tale gradiente elettrochimico consegue un movimento passivo di Na+ che si sposta dentro le cellule dei tubuli insieme al glucosio, in rapporto stechiometrico 1:1. Il glucosio successivamente lascia la cellula, raggiungendo il torrente circolatorio, attraverso il trasportatore del glucosio di tipo 2 (GLUT2) ubicato anch’esso sul versante basolaterale (Fig. 1) [7]. Nell’organismo sono presenti due cotrasportatori Na+-glucosio: il tipo 1 (SGLT-1) e il tipo 2 (SGLT-2). SGLT-2 è un trasportatore a bassa affinità e alta capacità, espresso quasi esclusivamente nella membrana apicale delle cellule del segmento S1 del tubulo contorto prossimale, dove garantisce circa il 90% del riassorbimento renale del glucosio [7]. Pertanto, l’inibizione di questo cotrasportatore determina una riduzione del riassorbimento di Na+ e glucosio da parte del tubulo prossimale. SGLT-1 è localizzato nel segmento S3 del rene, dove è responsabile del riassorbimento del restante 10% di glucosio ma, a differenza di SGLT-2, è espresso anche a livello dell’intestino tenue e una sua inibizione farmacologica determinerebbe anche diarrea e disidratazione [8]. La quantità di glucosio renale riassorbito attraverso SGLT-1 e SGLT-2 è generalmente equivalente alla quota filtrata da parte del glomerulo. Tuttavia, esiste una soglia, variabile da individuo a individuo e corrispondente a una glicemia di circa 180–200 mg/dL, oltre la quale il sistema viene saturato determinando glicosuria [4]. A livello renale partecipano all’omeostasi idroelettrolitica anche i canali NHE3 (scambiatore Na+/H+ tipo 3), NKCC2 (cotrasportatore Na+/K+/2Cl), NCC (cotrasportatore Na+/Cl) ed ENaC (canale epiteliale del Na+), espressi in modo differenziale nelle diverse porzione del nefrone (Fig. 2).

Fig. 1
figure 1

Trasporto transepiteliale di sodio e glucosio nel tubulo contorto prossimale (tratto S1). SGLT-2, cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2; GLUT2, trasportatore del glucosio di tipo 2; ATPasi, pompa Na+/K+ ATP-dipendente; \(Na^{+}\), sodio; Glc, glucosio

Fig. 2
figure 2

Espressione dei cotrasportatori del sodio nelle diverse porzioni del nefrone. SGLT-2, cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2; NHE3, scambiatore Na+/H+ di tipo 3; NKCC2, cotrasportatore Na+/K+/2Cl; NCC, cotrasportatore Na+/Cl; ENaC, canale epiteliale del Na+

Gli SGLT-2i esercitano un ruolo nefroprotettivo attraverso non solo il miglioramento del compenso glicemico ma anche indipendentemente da esso e dalla riduzione del volume circolante e della pressione arteriosa. Nei pazienti diabetici l’incremento del riassorbimento di glucosio e Na+ da parte del tubulo contorto prossimale riduce il carico dell’elettrolita a livello dell’apparato iuxtaglomerulare, con conseguente attivazione del feedback tubulo-glomerulare, ossia un meccanismo di autoregolazione del flusso ematico renale e della velocità di filtrazione glomerulare dipendente dal flusso stesso attraverso variazioni del calibro dell’arteriola afferente. Questi meccanismi di adattamento, che sono sostenuti dal sistema renina-angiotensina-aldosterone e dalla produzione di transforming growth factor-\(\beta \) (TGF-\(\beta \)) a livello della macula densa, portano però a una progressiva ipertrofia renale e allo sviluppo della nefropatia diabetica. Gli SGLT-2i permettono di ridurre il carico di glucosio filtrato ma determinano anche un incremento del carico di Na+ verso l’apparato iuxtaglomerulare, inibendo così il feedback tubulo-glomerulare [4].

Effetti di SGLT-2i sull’omeostasi idroelettrolitica e sui livelli sierici di Na+: le evidenze sperimentali

Studi pre-clinici in vivo

L’effetto di SGLT-2i su clearance dell’acqua libera (ClH2O), escrezione frazionata di Na+ (FENa) e trasportatori renali di Na+ e acqua sono stati inizialmente analizzati in modelli animali di DM. I ratti affetti da DM sono più frequentemente iponatremici e presentano una maggiore FENa rispetto agli animali sani. Il trattamento per 7 e 14 giorni con dapagliflozin aumenta significativamente il volume urinario, la glicosuria, la ClH2O e la natremia (138,8 ± 2,1 mmol/L \(vs\) 133,2 ± 0,3 mmol/L a 7 giorni, \(p\) <0,05; 138,7 ± 1,0 mmol/L \(vs\) 130,6 ± 1,7 mmol/L a 14 giorni, \(p\) <0,05) rispetto agli animali non trattati, senza modificare la FENa (probabilmente per l’instaurarsi a livello renale di meccanismi compensatori a carico di altri trasportatori del Na+) [9]. Risultati simili sono stati osservati in ratti diabetici trattati per 12 settimane con empagliflozin, il quale determina un incremento di ClH2O, volume urinario ed escrezione di glucosio non solo rispetto ai controlli non trattati, ma anche ad animali a cui sono state somministrate altre terapie antidiabetiche (lixisenatide, voglibosio). I livelli sierici di Na+ mostrano una tendenza all’aumento in corso di terapia con empagliflozin, senza raggiungere però la significatività statistica. Dal punto di vista molecolare, la poliuria è sostenuta da una modulazione dell’espressione renale delle acquaporine (AQP; aumento di AQP7 e diminuzione di AQP2), mentre l’assenza di modifiche a carico della FENa dalla down-regolazione di NHE3, NKCC2 ed ENaC [10].

Uno studio recente ha infine confrontato gli effetti di ipragliflozin e furosemide in ratti maschi non diabetici trattati per 2 o 7 giorni [11]. Al giorno 2, ipragliflozin e furosemide aumentano in modo sovrapponibile il volume urinario. La diuresi osmotica indotta da ipragliflozin, però, determina un aumento dei livelli sierici di Na+ maggiore rispetto alla furosemide e stimola l’introito di liquidi e il riassorbimento renale di acqua libera da soluti attraverso un meccanismo vasopressina-dipendente, permettendo di mantenere invariato il bilancio idrico al giorno 2 e il contenuto corporeo totale di acqua (misurato tramite bioimpedenziometria) e la creatininemia al giorno 7. Al contrario, gli animali trattati con furosemide presentano un ridotto contenuto corporeo di acqua e livelli aumentati di creatinina, a fronte di aumentati valori di attività reninica plasmatica.

Studi clinici

Nel 2017 un piccolo studio pilota, randomizzato controllato in doppio cieco, ha analizzato gli effetti di una singola dose di empagliflozin 25 mg rispetto al placebo in 14 volontari sani in cui è stata indotta una SIAD attraverso la somministrazione di desmopressina [12]. Rispetto ai controlli trattati con placebo, empagliflozin ha determinato tra le 2 e le 8 ore successive all’assunzione un aumento del volume urinario (579,3 ml \(vs\) 367,3 ml, \(p \)= 0,017) e della glicosuria (74,18 ± 22.3 mmol/L \(vs\) 0,12 ± 0,04 mmol/L, \(p\) <0,001). Tuttavia, non sono state osservate differenze statisticamente significative nella natremia e nell’area sotto la curva dei livelli sierici di Na+ tra i due gruppi. Gli autori hanno ipotizzato che questo potesse dipendere dal breve periodo di osservazione (di 6 ore), che determina differenze relativamente piccole nei volumi urinari escreti. Inoltre, in corso di terapia con SGLT-2i si osserva un iniziale ma transitorio aumento della natriuresi, che tende a normalizzarsi dopo ripetute somministrazioni e, pertanto, non induce iponatremia nei pazienti diabetici in trattamento cronico (anche se in scarso controllo glicemico) [13].

Lo stesso gruppo di ricerca ha quindi ampliato i propri studi reclutando 88 pazienti iponatremici ospedalizzati affetti da SIAD e randomizzandoli in doppio cieco al trattamento per 4 giorni con empagliflozin 25 mg die o placebo, in associazione a una restrizione idrica di 1000 cc al giorno. È stato osservato un incremento medio delle concentrazioni sieriche di Na+ statisticamente maggiore nel gruppo trattato con empagliflozin (10 mmol/L \(vs\) 7 mmol/L nel braccio di controllo, \(p\) <0,04), con una percentuale più alta di pazienti con valori finali di sodiemia >130 mmol/L e normonatremia alla dimissione (rispettivamente 87 \(vs\) 68% e 48 \(vs\) 36% per empagliflozin rispetto al placebo). È inoltre interessante notare come i pazienti con valori al baseline più bassi di sodiemia e osmolalità plasmatica abbiano risposto meglio al trattamento con empagliflozin [14]. Questi dati, che suggeriscono un elevato potenziale del farmaco nel trattamento dell’iponatremia da SIAD, presentano però delle limitazioni: 1) solo il 21% dei pazienti a cui è stata posta diagnosi di SIAD è stato sottoposto a tutti i test diagnostici necessari e, pertanto, essa potrebbe essere stata sovrastimata; 2) poiché meno del 50% dei pazienti trattati con empagliflozin era normonatremico alla dimissione, è difficile stabilire la rilevanza clinica di una differenza di soli 3 mmol/L nella sodiemia tra i due gruppi; 3) lo studio non ha valutato la ClH2O; e 4) l’efficacia di empagliflozin deve essere confermata a medio e lungo termine da trial clinici dedicati. Più recentemente, un altro trial randomizzato controllato in doppio cieco e in crossover ha confermato l’efficacia di empagliflozin 25 mg die in pazienti ambulatoriali affetti da SIAD che al termine di 4 settimane di terapia presentavano rispetto ai controlli un aumento della glicosuria (131,7 mmol/L \(vs\) 0,25 mmol/L, \(p\) <0,001) e della natremia (134 mmol/L \(vs\) 130 mmol/L, \(p\) = 0,004). L’aumento dei livelli sierici di Na+ è stato osservato già durante la prima settimana e si è mantenuto durante tutto il periodo di trattamento, con correzione dell’iponatremia nel 36% dei soggetti durante la fase di terapia con empagliflozin rispetto al 14% durante la fase di placebo. Anche in questo caso, però, il campione arruolato nello studio era molto piccolo (14 pazienti) e la ClH2O non è stata valutata [15]. L’efficacia a medio e lungo termine di empagliflozin 25 mg die in associazione all’urea (60 mg/die) nel normalizzare i livelli plasmatici di Na+ è stata descritta in un paziente diabetico affetto da SIAD, dopo fallimento delle altre strategie terapeutiche (compresa l’urea 60 mg die in monoterapia). È interessante notare come il tentativo di sospensione dell’urea dopo la stabilizzazione della sodiemia abbia portato a una recrudescenza dell’iponatremia, che si è corretta dopo la sua reintroduzione in associazione a empagliflozin, suggerendo un effetto sinergico tra i due farmaci [16].

L’effetto dei farmaci SGLT-2i è stato indagato anche in corso di iponatremia ipervolemica. Un’analisi post-hoc dello studio Dapagliflozin And Prevention of Adverse outcomes in Heart Failure (DAPA-HF) ha evidenziato nei pazienti trattati con dapagliflozin una prevalenza di iponatremia a 14 giorni dall’inizio della terapia più alta rispetto al basale (11,3 \(vs\) 9,4%, \(p\) = 0,04). Tuttavia, a 12 mesi la percentuale di pazienti iponatremici nel braccio di trattamento era significativamente inferiore rispetto al placebo (4,6 \(vs\) 6,7%, \(p\) = 0,003). Questa azione bifasica del dapagliflozin sui livelli sierici di Na+ dipende verosimilmente da una combinazione degli effetti natriuretico (prevalente nelle prime 2 settimane) e osmotico (che prevale successivamente) degli SGLT-2i [18]. In uno studio pilota condotto su 40 pazienti affetti da scompenso cardiaco congestizio in fase acuta e trattati per 30 giorni con empagliflozin 10 mg die o placebo, il farmaco non ha invece determinato un aumento della FENa (e dell’osmolalità urinaria), suggerendo l’attivazione di meccanismi compensatori di riassorbimento dell’elettrolita nelle restanti porzioni del tubulo renale e nel dotto collettore, come già osservato in un modello animale [19]. Il trattamento farmacologico non ha però determinato un aumento dei livelli sierici di Na+ e si è associato solo a un minimo incremento dell’osmolalità plasmatica, secondo gli autori probabilmente per la bassa percentuale di pazienti iponatremici presenti nel campione in esame (tra i quali il valore di sodiemia più basso registrato era 129 mmol/L) [17]. Un trial multicentrico randomizzato controllato in doppio cieco attualmente in corso sta valutando gli effetti di empagliflozin somministrato per 30 giorni anche in soggetti affetti da iponatremia e insufficienza epatica o renale (NCT04447911). Le evidenze sperimentali discusse sono riassunte in Tabella 1.

Tabella 1 Evidenze sperimentali sull’effetto dei farmaci SGLT-2i sull’omeostasi del sodio. [\(Na^{+} \)], concentrazioni sieriche di sodio; SGLT-2i, inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2; \(\mathit{ClH}_{2} O\), clearance dell’acqua libera; FENa, escrezione frazionata di sodio; SIAD, sindrome da inappropriata antidiuresi

Conclusioni

Le evidenze sperimentali sull’efficacia dei farmaci SGLT-2i nel trattamento dell’iponatremia sono ancora limitate, ma promettenti. I possibili meccanismi alla base della capacità di questi farmaci di ristabilire l’omeostasi del Na+ e di incrementare i livelli sierici dell’elettrolita nei pazienti affetti da iponatremia cronica sono [20]: 1) l’aumento della glicosuria e l’induzione di diuresi osmotica, che facilita l’escrezione di acqua libera; 2) la down-regolazione dell’espressione di AQP2, che determina una riduzione del riassorbimento renale di acqua e contribuisce ad aumentare l’escrezione di acqua libera indipendentemente dalla glicosuria;3) l’aumento del reuptake di Na+ a livello del tratto distale del nefrone; 4) l’aumento del carico di Na+ in arrivo alla macula densa, che attraverso la produzione di TGF-\(\beta \) determina vasocostrizione dell’arteriola afferente, riduzione della pressione di filtrazione glomerulare e riduzione dell’escrezione di Na+; e 5) la vasodilatazione dell’arteriola efferente, con conseguenti riduzione della pressione di filtrazione glomerulare e riduzione dell’escrezione di Na+. Nonostante il trattamento con SGLT-2i preveda costi non trascurabili, il loro impiego nei soggetti iponatremici potrebbe aprire nuovi scenari, in quanto rispetto all’urea e ai vaptani questi farmaci presentano un profilo di sicurezza ormai consolidato nei pazienti diabetici con comorbilità multiple e in polifarmacoterapia, hanno effetti cardio- e nefroprotettivi a lungo termine, un’ottima tollerabilità e un rischio di ipercorrezione della natremia ben più basso di quello dei vaptani [14].