Sommario
La Sindrome di Hirata è una forma rara di ipoglicemia iperinsulinemica endogena, caratterizzata da elevati livelli di autoanticorpi anti-insulina. La patogenesi prevede una combinazione tra predisposizione genetica ed elementi trigger (farmaci, virus); alcune forme sono idiopatiche. Non sono disponibili indicazioni terapeutiche codificate a causa della rarità della condizione. La dieta ultra-frazionata a basso contenuto di carboidrati, l’uso di immunosoppressori e la plasmaferesi possono essere considerati per favorire il controllo dei sintomi.
Abstract
Hirata’s disease is a rare form of endogenous hyperinsulinaemic hypoglycaemia, characterised by anti-insulin autoantibodies production. The pathogenesis involves a combination of genetic predisposition and trigger elements such as drugs and viruses; some forms are idiopathic. Due to the rarity of the condition, the therapy is still under debate. The ultra-fractionated low carbohydrate diet, the use of immunosuppressants and plasmapheresis can be employed to manage hypoglycaemia and control symptoms.
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Introduzione
La Sindrome Insulinica Autoimmune (IAS) o ipoglicemia autoimmune, è una causa rara di ipoglicemia. Anche conosciuta come sindrome di Hirata, deve il suo nome al medico giapponese Hirata Y., il quale nel 1970 ha descritto per la prima volta un caso di ipoglicemia spontanea con autoimmunità insulinica in uomo di 47 anni. Nello stesso periodo veniva pubblicato sulla rivista Diabetes il report di un paziente norvegese con iperglicemia e profonda ipoglicemia reattiva post-prandiale [1].
La IAS è una patologia autoimmune in cui si verificano crisi ripetute e spontanee di ipoglicemia iperinsulinemica, in presenza di elevati livelli di autoanticorpi anti-insulina (AAI), in pazienti non precedentemente trattati con insulina per via iniettiva [2].
Questa sindrome autoimmune continua a suscitare un crescente interesse nella comunità medica globale a causa della sua relativa rarità e delle sfide nel diagnosticarla e gestirla.
Epidemiologia
Ad oggi sono stati documentati circa 795 casi di IAS, la maggior parte dei quali in Asia. Nello specifico, sono stati descritti circa 350 casi in Giappone e 330 in Cina [2]. La IAS è, infatti, considerata una condizione nota nella popolazione asiatica ed è identificata come la terza causa più frequente di ipoglicemia spontanea in Giappone, dopo l’insulinoma e la neoplasia extra pancreatica [1, 3]. Tuttavia, sempre più casi di IAS vengono segnalati anche in altre etnie, inclusa la popolazione caucasica. In Italia, ad oggi, sono stati riportati in letteratura 12 casi. In totale sono stati individuati circa 70 casi tra Europa occidentale, Sud e Nord America [3]. Nei pazienti caucasici, la malattia colpisce entrambi i sessi in ugual misura generalmente intorno ai 40 anni di età ed è invece rara nell’infanzia.
Patogenesi
La IAS può essere scatenata dall’esposizione a farmaci e virus o può manifestarsi in modo spontaneo, senza alcuna causa apparente [1].
Circa il 50% dei casi di IAS sono stati associati alla precedente assunzione di farmaci, dei quali il 90% contiene gruppi sulfidrilici (o tioli, SH) che per le loro proprietà immunogene stimolano la produzione di AAI [2].
Il meccanismo patogenetico della IAS è legato al potere riducente dei gruppi SH, capaci di provocare la dissociazione dei ponti disolfuro (S-S) che legano i due polipeptidi dell’insulina. Ciò espone l’insulina alle cellule presentati l’antigene, stimolando l’immunità cellulo-mediata e umorale con produzione di autoanticorpi (AAI). Uno studio condotto da Dozio e collaboratori ha fornito ulteriori dettagli sulla patogenesi della IAS, evidenziando che gli anticorpi ivi prodotti hanno un’elevata capacità di legame all’insulina ma una bassa affinità [4]. Ciò porta alla formazione rapida di immunocomplessi che ostacolano la filtrazione renale dell’insulina e l’interazione con i suoi recettori. Questo legame persiste fino a quando l’incremento di insulina indotto da un pasto provoca l’instabilità del complesso antigene(insulina)-autoanticorpo, che si scinde e provoca un rilascio massivo di insulina in circolo, portando a gravi episodi di ipoglicemia, generalmente nel tardo periodo post-prandiale (Figg. 1, 2).
Tra i farmaci più comunemente implicati nella genesi della IAS si ascrivono gli antitiroidei di sintesi, tra cui, in particolare, il metimazolo [5], e l’acido alfa-lipoico [6–9]. Negli ultimi anni sono stati associati alla IAS numerosi altri farmaci, tra i quali il clopidogrel, gli inibitori di pompa protonica, la gliclazide, il captopril, lo ioxoprofene sodico e l’albumina (Tabella 1) [2].
Tra i fattori scatenanti, sono riconosciute anche alcune infezioni virali tra le quali le infezioni dai virus Coxsackie B, rosolia e parotite, epatite C, varicella e morbillo [1]. È stato riportato un caso di IAS anche in un paziente affetto da Sars-Cov-2, che non era stato precedente esposto a farmaci [10]. Infine, un report del 2022 ha segnalato un caso di IAS in vittima di avvelenamento da morso di serpente [11].
La presenza di altre malattie autoimmuni, come il lupus eritematoso sistemico, ed ematologiche, come il mieloma multiplo e le gammopatie monoclonali, sembrerebbe costituire un fattore predisponente, specialmente nei pazienti caucasici [1]. Nei pazienti giapponesi, invece, è stato riportato maggior numero di casi spontanei [3].
È importante sottolineare che una parte della casistica della IAS rimane inspiegata e viene definita idiopatica [2].
Un aplotipo predisponente
Lo sviluppo della IAS è fortemente associato alla presenza dell’aplotipo HLA-DR4 [12]. Nel 1992, il gruppo di ricerca di Hirata ha pubblicato alcuni studi su Lancet che hanno esaminato l’associazione tra IAS e suscettibilità genetica al complesso di geni HLA di classe II. Nei soggetti affetti da IAS, tutti manifestavano l’antigene DR4 mentre solo il 43% dei controlli lo presentava [12, 13]. Inoltre, l’analisi delle sequenze nucleotidiche dei geni DRB1, DQA1 e DQB1 ha dimostrato che tutti i pazienti esibivano gli alleli DRB1*0406, DQA1*0301 e DQB1*0302, presenti solo nel 14% dei controlli [12, 13]. Nella popolazione caucasica, invece, dove è stata osservata una bassa prevalenza del DRB1*0406, sembra essere prevalente l’espressione di HLA-DRB1*0403 [3].
L’associazione con specifici aplotipi HLA suggerisce che la predisposizione genetica svolge un ruolo chiave nello sviluppo della IAS.
La diagnosi
La IAS si manifesta con crisi ipoglicemiche, che si verificano generalmente nel tardo periodo post-prandiale, ma anche a digiuno o occasionalmente [14]. La severità del quadro clinico può variare da forme lievi e transitorie a forme prolungate di ipoglicemia severa. Per la diagnosi di ipoglicemia e per intraprendere l’iter diagnostico deve essere soddisfatta la classica triade di Whipple (segni e/o sintomi di ipoglicemia, bassi livelli di glucosio plasmatico e risoluzione dei sintomi dopo incremento della glicemia) [15]. L’ipoglicemia si può manifestare con sintomi autonomici (palpitazioni, tremori, fame, sudorazione, ansietà, parestesie) e neuroglicopenici (confusione, irritabilità fino a perdita di coscienza). La presentazione e la gravità della sintomatologia possono verificarsi per concentrazioni di glucosio ematico differenti in base allo stato di salute del paziente e alla frequenza delle crisi ipoglicemiche.
Nei pazienti affetti da IAS, i livelli di insulina risultano inappropriatamente molto elevati, spesso al di sopra di 1000 pmol/L [14]. Questo risulta in contrasto con la risposta fisiologica dell’organismo, che in condizioni di ipoglicemia sopprime la secrezione insulinica. Pertanto, il riscontro di ipoglicemia severa associata a iperinsulinemia suggerisce la presenza di forme di ipoglicemia iperinsulinemica.
La valutazione contestuale dei livelli di peptide C e proinsulina aiuta a distinguere tra forme esogene ed endogene di ipoglicemia iperinsulinemica. Bassi livelli di peptide C si associano a ipoglicemia causata dalla somministrazione esogena di insulina. Invece, livelli normali o elevati di peptide C (almeno 0,6 ng/ml) e di proinsulina (almeno 5 pmol/l) in presenza di valori glicemici inferiori a 55 mg/dl, indirizzano la diagnosi differenziale verso le forme endogene di ipoglicemia iperinsulinemica (Fig. 3) [15]. Occorre, inoltre, escludere l’assunzione di sulfaniluree.
In un paziente con documentata ipoglicemia iperinsulinemica endogena è fondamentale la valutazione del titolo anticorpale di AAI, preferibilmente dopo diluizione del campione. La presenza di titolo positivo conferma la diagnosi di IAS [15]. È importante notare che gli anticorpi AAI possono essere presenti anche nei pazienti trattati con insulina per diabete mellito, ma in questi casi il titolo anticorpale è generalmente più basso. Falsi negativi possono verificarsi se la metodica di dosaggio utilizzata identifica solo alcune classi di immunoglobuline, come le IgG, poiché in alcuni casi i pazienti con IAS possono presentare altre classi di anticorpi [14].
Nei pazienti con negatività anticorpale, invece, occorre considerare altre cause di ipoglicemia iperinsulinemica, la prima delle quali è per prevalenza l’insulinoma, in cui, tuttavia, il titolo insulinemico è generalmente meno spiccato [14–16]. Nella diagnosi differenziale rientrano, inoltre, i quadri di nesidioblastosi (noninsulinoma pancreatogenous hypoglycemia syndrome, NIPHS), di ipoglicemia post-bariatrica a seguito di intervento di bypass gastrico Roux-en-Y e l’insulinoresistenza di tipo B [14–16].
Terapia
Nella IAS si è osservata una remissione spontanea delle ipoglicemie nella maggior parte dei casi entro un mese, con una media di 3–6 mesi dalla diagnosi [2, 17]. Rimane ancora incerta la necessità di una terapia farmacologica [14].
Come primo intervento, sembra essere una scelta razionale sospendere il farmaco ritenuto responsabile della sindrome. È importante sottolineare che non sono stati condotti studi per confrontare il tasso di remissione tra pazienti che continuano la terapia e quelli che interrompono il trattamento [14].
Il trattamento è basato in prima istanza su interventi dietetici. La dieta raccomandata è caratterizzata da pasti ultra-frazionati, ossia piccoli pasti consumati frequentemente, e poveri di carboidrati, soprattutto monosaccaridi. Questa strategia dietetica mira a ridurre le iperglicemie post-prandiali e, di conseguenza, lo stimolo alla secrezione insulinica, che può portare a crisi ipoglicemiche [14, 17].
L’uso di farmaci inibitori dell’alpha-glucosidasi intestinale, come l’acarbosio, rallenta l’assorbimento intestinale di glucosio, riducendo l’aumento repentino della glicemia post-prandiale e, di conseguenza, limitando la stimolazione pancreatica, con risultati variabili nel ridurre gli episodi di ipoglicemia [2]. In modo simile, un elemento importante della terapia dietetica potrebbe essere l’inclusione nell’alimentazione di amido di mais crudo, un polimero del glucosio assorbito lentamente dall’intestino, con lo scopo di mantenere i livelli di glicemia più stabili dopo i pasti, riducendo il rischio di ipoglicemie [14].
Nei pazienti obesi, il calo di peso ottenuto con la dieta ha un impatto positivo sull’insulino-resistenza, contribuendo a ridurre i picchi iperinsulinemici post-prandiali e gli episodi di ipoglicemia.
Nei pazienti con IAS che presentano frequenti e severi episodi ipoglicemici, è auspicabile il controllo glicemico, il quale può essere ottimizzato tramite l’uso del flash glucose monitoring, che permetterebbe la tempestiva gestione delle ipoglicemie [3].
Per i pazienti che non rispondono adeguatamente alle misure dietetiche, può essere considerato l’uso di glucocorticoidi ad alte dosi (prednisone per via orale 30–60 mg al dì) [2, 17]. È riportato che i glucocorticoidi agiscano riducendo il numero di siti di legame del recettore dell’insulina, dimostrando efficacia nel ridurre la frequenza e la severità degli episodi di ipoglicemia, oltre che nell’abbassare il titolo anticorpale [2]. Il dosaggio dovrebbe essere adattato alla frequenza degli episodi ipoglicemici e ai livelli di insulina e autoanticorpi e i pazienti dovrebbero essere monitorati per l’eventuale comparsa di tossicità.
Tuttavia, occorre sottolineare che, anche se i sintomi di ipoglicemia possono scomparire dopo alcune settimane o mesi, la positività anticorpale può persistere fino a 36 mesi a causa della lunga emivita delle immunoglobuline (3–4 settimane) [1, 2].
Se il trattamento steroideo fallisce o si verifica una recidiva, possono essere considerate altre terapie immunosoppressive, come l’azatioprina o l’anticorpo monoclonale anti-CD20 rituximab, che si è dimostrato efficace nel ridurre il titolo anticorpale [3]. È stato anche documentato l’utilizzo della plasmaferesi, da sola o in associazione ai glucocorticoidi. Essa ha l’obiettivo di ridurre rapidamente il titolo anticorpale e, di conseguenza, contenere le ipoglicemie [14, 17].
In caso di ipoglicemia severa può essere necessaria la somministrazione di terapia parenterale con soluzione glucosata, specialmente di notte, al fine di prevenire le fluttuazioni glicemiche notturne [14]. Tuttavia, è importante iniziare quanto prima i trattamenti dietetici e/o farmacologici al fine di favorire il progressivo svezzamento del paziente, con l’obiettivo di ostacolare la persistenza della patogenesi della malattia.
La recidiva di malattia dopo completa risoluzione dei sintomi è poco probabile (inferiore al 5% secondo uno studio giapponese), ma può verificarsi anche a distanza di 1 anno. Pertanto, la tempistica di follow-up deve essere individualizzata [14].
Conclusione
La sindrome insulinica autoimmune rappresenta una forma rara di ipoglicemia, soprattutto nella popolazione di razza caucasica. Tuttavia, riconoscere correttamente questa condizione è fondamentale per garantire un trattamento adeguato e prevenire la necessità di esami diagnostici invasivi non necessari. In accordo con le linee guida della Endocrine Society, di fronte a episodi di ipoglicemia iperinsulinemica endogena, è sempre raccomandato eseguire il dosaggio degli anticorpi anti-insulina. Questo approccio consente di identificare tempestivamente la presenza di IAS e guidare il percorso diagnostico e terapeutico, ottimizzando la gestione clinica e migliorando la qualità di vita dei pazienti colpiti da questa rara sindrome.
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Verrienti, M., Daniele, A., Lupo, S. et al. La Sindrome Insulinica Autoimmune (Sindrome di Hirata): dalla clinica al trattamento. L'Endocrinologo 25, 139–144 (2024). https://doi.org/10.1007/s40619-024-01430-x
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