Introduzione

Gli integratori alimentari sono largamente utilizzati in tutto il mondo occidentale [1]. L’Italia vanta il più grande mercato in Europa, oltre un quarto del suo totale, con la previsione di sfiorare i 5 miliardi di euro di vendite nel 2025 [2].

Le motivazioni all’acquisto, nella maggior parte dei casi, sono la ricerca del benessere psico-fisico o la risposta a specifiche esigenze di salute. Tra le motivazioni più frequenti che portano all’uso di integratori si annoverano: l’aumento della massa muscolare, la perdita di peso e la prevenzione degli effetti legati all’invecchiamento. Al primo posto nelle scelte dei consumatori italiani ci sono gli integratori di vitamine e di minerali, seguiti da probiotici e integratori energetici e quelli destinati agli sportivi a base di vitamine e sali minerali; seguono gli aminoacidi e le proteine, categoria, questa, che vede un netto predominio maschile (con un rapporto 2/1) [1].

I canali d’acquisto preferiti sono le farmacie/parafarmacie, la grande distribuzione (super- e iper-mercati), l’e-commerce (AcNielsen). Anche se quest’ultimo ha uno spazio relativamente piccolo nel mercato italiano (solo il 29% degli Italiani compra o è disposto ad acquistare online gli integratori alimentari) [3], il web riveste un ruolo particolarmente importante nel nostro paese per la ricerca di informazioni su questi prodotti, sia da parte dei consumatori sia da parte dei medici [4]. Solo un quarto degli integratori viene assunto su indicazioni di un professionista della salute, mentre il “passa parola” determina la maggior parte dei consumi.

Gli integratori: definizione

“L’integrazione è l’atto di integrare, di rendere intero, pieno, perfetto ciò che è incompleto o insufficiente a un determinato scopo, aggiungendo quanto è necessario o supplendo al difetto con mezzi opportuni” [5].

È da notare che integrazione e supplementazione sono sostanzialmente sinonimi. Secondo il vocabolario Treccani, il supplemento è “ciò che serve a supplire, a sostituire una cosa mancante: quel rimbombo [...] delle [...] varie campane [...] pareva, per dir così, la voce di que’ gesti, e il supplimento delle parole che non potevano arrivar lassù (“I promessi sposi”, A. Manzoni)”.

Un integratore (o supplemento) in ambito medico è, quindi, un prodotto destinato a integrare la dieta e fornire sostanze nutritive che mancano o non sono assunte in quantità sufficienti con la sola alimentazione, eventualmente anche in relazione a un aumentato fabbisogno fisiologico o associato a un quadro patologico (aumentati fabbisogno o perdite da insufficienza renale, malattie neoplastiche, patologie gastroenteriche, ecc.) o a trattamento farmacologico (carenza di vitamina B1 o Se da terapia diuretica, di Fe, Ca o vitamina B12 da inibitori di pompa protonica, ecc.).

Il concetto di integrazione alimentare presuppone, pertanto, che ci sia un fabbisogno di una determinata sostanza, che questo fabbisogno non sia o non possa essere adeguatamente coperto dall’alimentazione e che questa assunzione vada a coprire il fabbisogno carente.

In realtà il concetto di integrazione, forzando la lingua italiana e creando non poca confusione tra gli operatori e i consumatori, è stato esteso a sostanze estranee al nostro organismo (ad esempio la curcumina), a sostanze di cui non abbiamo un reale fabbisogno in condizioni fisiologiche (ad esempio la carnitina), a dosaggi non più di integrazione, ma farmacologici (ad esempio compresse di vitamina C da un grammo).

Esistono quindi, sugli stessi scaffali delle farmacie (o dei supermercati!) diversi prodotti definiti come integratori e che possiamo distinguere in:

- integratori ad azione fisiologica: che vanno a bilanciare una carenza alimentare con un dosaggio fisiologico di uno o più nutrienti;

- integratori ad azione farmacologica: che hanno una concentrazione sopra-fisiologica/farmacologica del nutriente e che sono destinati a trattare o prevenire una specifica condizione di malattia;

- integratori che forniscono sostanze xenobiotiche (molecole bioattive ad attività antiossidante, antinfiammatoria, ecc.).

Questa confusione nel definire con lo stesso termine sostanze con caratteristiche completamente diverse o che hanno obiettivi assolutamente differenti, unita al concetto (sbagliato) che gli integratori siano innocui per definizione, sta creando non pochi problemi.

Ciò rende opportuno considerare alcuni aspetti laddove si ritenga opportuno procedere a un’integrazione nutrizionale.

Farmaco o nutriente?

Un farmaco è una sostanza utilizzata per trattare, curare o prevenire una malattia. I farmaci sono regolamentati e devono passare attraverso un rigoroso processo di test e approvazione prima di poter essere commercializzati e venduti al pubblico.

I nutrienti, invece, sono sostanze che si trovano normalmente negli alimenti e sono essenziali per il corretto funzionamento dell’organismo. Includono macronutrienti (carboidrati, proteine/aminoacidi, acidi grassi), micronutrienti (vitamine, sali minerali) e sostanze bioattive (antiossidanti, ecc.) di cui il corpo ha bisogno (a dosaggi fisiologici) per crescere, favorire il fisiologico turnover di molecole/strutture e mantenersi in buona salute.

I due concetti indicano obiettivi totalmente diversi e anche quando convergono sulla stessa sostanza (la vitamina D o gli acidi grassi omega-3, ad esempio) indicano finalità completamente diverse. La vitamina C, nella quantità di 85 mg/die nelle donne adulte e 105 mg/die nei maschi adulti [6], è in grado di coprire il fabbisogno fisiologico dell’organismo. A 200–500 mg/die svolge (forse) un’azione immunomodulante che nulla ha di fisiologico, ma può essere considerata di tipo farmacologico con tutto ciò che ne consegue, in termini anche di tossicità.

Sia l’integrazione, sia l’azione farmacologica andrebbero prescritte secondo un processo decisionale correttamente strutturato che tenga conto:

- nel caso dell’integrazione, di un reale carenza del nutriente (insufficiente apporto attraverso l’alimentazione, deficit iatrogeno anche da dietoterapie squilibrate, condizioni cliniche specifiche) e dei dosaggi plasmatici atti a denotarne l’oggettiva carenza;

- nel caso dell’azione farmacologica, delle evidenze scientifiche (in genere scarse [7]) a supporto dell’effetto che si vuole ottenere, del monitoraggio plasmatico della sostanza che non deve mai comunque superare i livelli massimi previsti.

In merito a quest’ultimo punto, ad esempio, lo studio VITAL ha mostrato che né la vitamina D né l’integrazione di olio di pesce o acidi grassi omega-3 estratti, hanno ridotto significativamente l’incidenza delle malattie cardiovascolari (esprimendo anche qualche dubbio sull’efficacia nel ridurre il rischio di fratture scheletriche in soggetti con una normale concentrazione di vitamina D e normale densità minerale ossea) [8]. Al contrario, le prove attuali supportano i benefici di molteplici modelli alimentari, in particolare la dieta mediterranea, nella prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari [7, 9].

Gli studi condotti sull’efficacia della vitamina E nella prevenzione di malattie cardiovascolari o del Se nella prevenzione di malattie neoplastiche hanno dato risultati contrastanti, mentre nessun effetto hanno dimostrato le vitamine B6 e B12 e l’acido folico (assunte singolarmente o in combinazione) nella prevenzione del declino cognitivo [10].

Una revisione sistematica della letteratura relativa all’utilità della supplementazione di Ca sul metabolismo dell’osso ha trovato, oltre a un’eterogeneità nei protocolli di studio, un modesto effetto positivo sul contenuto minerale osseo o sulla densità minerale ossea nei bambini e nelle donne in post-menopausa, prove non consistenti sugli effetti sulla salute delle ossa nelle donne in premenopausa o negli uomini, prove scarse e incoerenti che l’integrazione di Ca riduca l’incidenza di fratture [11].

È da notare che, spesso, chi fa uso di integratori, dopo averli assunti dichiara di sentirsi meglio rispetto a prima. Uno studio condotto su oltre ventimila adulti per confrontare gli esiti auto-riferiti sulla salute e clinicamente misurabili tra consumatori e non-consumatori di integratori negli Stati Uniti ha evidenziato come il miglioramento dello stato di salute dichiarato non corrispondesse a un reale miglioramento clinicamente misurabile ma, almeno in parte, a un probabile effetto placebo legato alle elevate aspettative che i consumatori avevano nei confronti degli integratori [12].

Biodisponibilità

Un concetto che viene spesso dimenticato è quello relativo alla biodisponibilità dei nutrienti: il fatto che la concentrazione di un nutriente sia elevata in un alimento (il calcio negli alimenti d’origine vegetale, ad esempio [13]) o in un integratore non vuol dire che quell’alimento sia realmente una fonte adeguata di quel nutriente per il nostro organismo.

Il concetto di biodisponibilità si riferisce alla quota di elementi ingerita, effettivamente assorbita, trasportata al sito di azione e utilizzata (o tossicologicamente).

I fattori che possono influenzare la biodisponibilità di un nutriente possono essere schematicamente raggruppati in:

- intrinseci o fisiologici (specie animale e genotipo; età e sesso; microflora intestinale ed eventuali infezioni intestinali; stati fisiologici particolari quali crescita, gravidanza, allattamento; abitudini alimentari e stato di nutrizione; stress ambientale e stato di salute; ligandi endogeni);

- estrinseci o alimentari (forma chimica del minerale come, ad esempio, lo stato di ossidazione; solubilità del complesso minerale; presenza di chelanti negli alimenti; quantità relativa di altri minerali, con meccanismi di antagonismo competitivo o sinergia).

Nel momento in cui si ritiene opportuno aumentare l’apporto di un determinato nutriente è quindi necessario che ciò avvenga con alimenti o prodotti che ne assicurino un’adeguata biodisponibilità. Un classico esempio è quello del ferro presente negli alimenti d’origine vegetale che è in una forma scarsamente assorbibile, oltre a essere soggetto a reazione di complessazione con altri composti presenti in quegli alimenti. Al contrario, il ferro presente in alimenti di origine animale è solitamente presente come ferro eme-maggiormente biodisponibile [13].

Questo vale per ogni genere di integratore, come possiamo vedere ad esempio per il magnesio, la cui biodisponibilità varia in base alla modalità di somministrazione. Ciò impone a categorie diverse di soggetti (anziani o pazienti con quadri di malassorbimento, ad esempio) differenti modalità di assunzione dell’integratore di Mg per ottenere un reale ripristino delle concentrazioni fisiologiche [14].

Potenziale tossicità degli integratori

Altro concetto spesso dimenticato è quello relativo alla potenziale tossicità dei nutrienti e, quindi, degli integratori. Il concetto di tossicità è connesso a ogni sostanza come già detto da Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto Paracelsus (1493–1541) all’inizio del ’500: “Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit”.

Non a caso, nei Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti e Energia per la popolazione italiana (LARN) [6] viene definito per ogni nutriente il livello massimo tollerabile di assunzione (tolerable upper intake level) e diverse istituzioni hanno iniziato a mettere in guardia contro l’uso non controllato di integratori [15, 16].

Da notare che, a differenza dei farmaci, il dosaggio dei nutrienti che assumiamo è dato dalla sommatoria di quanto introduciamo con la dieta (inclusi gli alimenti fortificati), di eventuali eccipienti nei farmaci (aspartame, fruttosio, sodio, sorbitolo, ad esempio) e dell’eventuale integrazione.

Un uso non controllato di integratori (soprattutto se somministrati a dosaggi farmacologici) può pertanto comportare rischi (più o meno gravi) per la salute, conseguenti a effetti farmacodinamici per possibili sovradosaggi (perché spesso si ritiene tale prodotto privo di effetti collaterali), alla possibile interazione con i farmaci e a fenomeni di “accumulo” [17].

Inoltre, poiché gli integratori alimentari possono essere immessi sul mercato senza il supporto di studi clinici, vi è una scarsità di studi sistematici sugli effetti avversi. Le segnalazioni dell’insorgenza di sintomi che compaiono dopo l’assunzione di un integratore spesso forniscono il primo indizio che ci può essere un nesso causale. Tuttavia, è quasi impossibile dimostrare la causalità da un singolo caso clinico. Il legame può essere rafforzato se i sintomi scompaiono con la cessazione dell’assunzione e riappaiono se l’integratore viene nuovamente ingerito. In caso contrario, un accumulo di casi nel tempo o la comparsa di un gruppo di casi può, alla fine, stabilire che l’assunzione di un integratore può provocare effetti avversi. Infine, è raro che i pazienti rivelino l’uso di integratori ai propri medici, anche perché questi sembrano poco interessati a raccogliere questa informazione [18].

Anche se l’etimologia della parola porterebbe a escludere qualsiasi potenziale effetto dannoso, anche l’eccessivo apporto di vitamine (termine composto dal latino “vita” e “amina”: “amina di vita”, “amina vitale”) può generare effetti tossici quando sono superati i livelli massimi tollerabili indicati nei LARN [6]. La tossicità è rara per le vitamine idrosolubili anche se si sono avute alcune segnalazioni di effetti collaterali da assunzione, ad esempio, di vitamina B6 (fotosensibilità e neurotossicità per dosaggi superiori a 500 mg/die e polineuropatia sensitiva in soggetti anziani), di vitamina B2 e di niacina (cataratta) e di vitamina C (precipitazione urinaria di ossalato di Ca, formazione di calcoli renali e nefropatia dovuta all’aumento dell’escrezione di ossalato) [10, 19].

Più frequenti sono gli effetti collaterali segnalati per le vitamine liposolubili [10, 17]:

- dosaggi di vitamina E (alfa-tocoferolo) superiori a 800–1200 mg/die possono causare emorragie (azione antiaggregante) e sintomatologia gastroenterica;

- l’assunzione continuativa di vitamina A o di carotenoidi è stata associata a ridotta densità minerale ossea e aumentata probabilità di fratture, ad aumentato rischio di tumori del polmone (Retinol Efficacy Trial, ATBC study) in maschi fumatori, di tumori della prostata (ABTC study) soprattutto in associazione all’assunzione di bevande alcoliche. Si è inoltre osservato un aumento dell’incidenza di malformazioni congenite nel nascituro da donne che in gravidanza assumevano integratori di vitamina A;

- un’intossicazione da vitamina D può dipendere da aumentata sensibilità (es. mutazioni con perdita di funzione del CYP24A1 o ipercalcemia infantile idiopatica) o da un apporto cronico superiore a 4.000 UI/die negli adulti [20]. I sintomi di tossicità della vitamina D sono mediati da alti livelli di calcio circolanti e comprendono ipercalcemia, ipercalciuria, vertigini e insufficienza renale [21, 22]. Iniziano a essere pubblicati anche casi di intossicazione da vitamina D [23] che in alcuni non sembrano dipendere da una situazione di ipervitaminosi [24].

La tossicità può generarsi anche per un’eccessiva assunzione di sali minerali. Anche i minerali assunti come integratori possono essere tossici quando si superiamo i livelli massimi tollerabili. Ad esempio, il magnesio può causare diarrea a dosi superiori a 400 mg/die; il fosforo può causare diarrea a dosi superiori a 750 mg/giorno e lieve nausea e vomito a dosi inferiori; il ferro può causare stipsi, nausea e vomito, ridotto assorbimento di zinco e emocromatosi secondaria (soprattutto se associato a consumo di alcol); un eccesso di zinco può causare nausea e vomito, ridotto assorbimento del rame e conseguenti neutropenia e anemia sideroblastica; e il selenio a dosi superiori a 0,91 mg/die può causare capelli e unghie fragili, neuropatie periferiche e disturbi gastrointestinali [25, 26].

Oltre che ai nutrienti contenuti negli integratori, effetti collaterali sono stati attribuiti anche ad altre componenti:

- è in corso un dibattito in merito alla potenziale sicurezza dell’isolato proteico di soia. Ciò è correlato principalmente alla presenza di composti debolmente estrogenici: gli isoflavoni genisteina e daidzeina (che sono tra le 100 sostanze fitochimiche che rimangono legate all’isolato proteico) possono raggiungere livelli potenzialmente estrogenici aumentando il rischio di infertilità, “demascolinizzazione”, tumori sensibili agli estrogeni come il cancro al seno e all’endometrio [27];

- è stato coniato il termine di “paradosso antiossidante” per riferirsi all’osservazione che i radicali dell’ossigeno e altre specie reattive dell’ossigeno sono coinvolte in diverse malattie umane, ma la somministrazione di grandi dosi di integratori alimentari antiossidanti a soggetti umani ha, nella maggior parte degli studi, dimostrato poco o nessun effetto preventivo o terapeutico. Esiste un’ampia letteratura sugli effetti della somministrazione di alte dosi (farmacologiche piuttosto che nutrizionali) di antiossidanti alimentari (solitamente carotenoidi, ascorbato o vitamina E) sullo sviluppo del cancro. In definitiva, l’uso di integratori di antiossidanti può avere un senso solo se è presente una carenza negli apporti alimentari o se c’è da contrastare un significativo documentato stress ossidativo [28];

- si sospetta che i metaboliti dell’epigallocatechingallato, la molecola attiva nell’estratto di tè verde, in genere considerato responsabile delle proprietà antiossidanti del tè verde, aumentino lo stress ossidativo e siano associati a danno epatico. È, d’altro canto, tutt’altro che chiaro se l’integrazione di questa sostanza abbia veri benefici per la salute data la mancanza di ampi studi clinici [29];

- i supplementi di caffeina o altre molecole stimolanti (spesso presenti nei comuni cosiddetti energy drink) possono indurre effetti avversi sul sistema nervoso autonomo (tachicardia, palpitazioni) o come ansia e problemi gastro-intestinali (reflusso gastroesofageo, ipersecrezione gastrica) [30]. Tra gli esempi, ogni giorno più numerosi, a conferma di tale eventualità, si possono citare i prodotti a base di efedra, spesso indicata con la denominazione cinese Ma Huang, contenente efedrina e gli alcaloidi ad essa correlati. Altrettanto diffusi sono gli integratori a base di guaranà, noce di cola e tè verde, contenenti caffeina [31].

Evidenze significative di effetti tossici da integrazione alimentare sono evidenti, in particolar modo, nel mondo sportivo o in chi utilizza supplementi per ottenere una perdita di peso [32]. Le revisioni della letteratura stimano che la percentuale di danni al fegato dovuti agli integratori alimentari sia attualmente di circa il 20% [33, 34]. Gli integratori per il bodybuilding e la perdita di peso sono responsabili di quasi la metà di queste lesioni. Negli Stati Uniti, il 25% degli accessi al pronto soccorso per eventi avversi correlati agli integratori alimentari (sintomi psichiatrici, tachicardia, sintomi del tratto gastrointestinale superiore, epatite e iperattività autonomica con tremori, ansia, insonnia e aumento della sudorazione) è dovuto a prodotti per la perdita di peso (spesso contenenti estratto di Ephedra o dimetilamina). Ciò è attribuibile, almeno in parte, al fatto che molti integratori (soprattutto quelli considerati utili per la perdita di peso, il potenziamento muscolare, l’aumento del desiderio e della libido) sono disponibili soprattutto nella vendita on-line e contengono sostanze (singole o in combinazione) il cui consumo, non a caso, non è regolamentato solo in alcuni paesi.

A complicare ulteriormente la faccenda, con sempre maggiore frequenza, si scoprono esempi di integratori in cui sono presenti significative concentrazioni di precursori di steroidi anabolizzanti, cannabinoidi e agenti stimolanti. Quanto sopra riportato vale per diverse categorie di integratori: formulazioni di aminoacidi ramificati, prodotti per la disfunzione erettile o per il dimagrimento. Queste contaminazioni possono essere di due tipi principali: cross-contaminazione (adulterazione non intenzionale durante il processo di produzione del prodotto) e contaminazione intenzionale.

Interazioni farmacologiche

I nutrienti possono interagire con i farmaci con effetti sulla farmacocinetica (interferenza con l’assorbimento, la biodisponibilità o il metabolismo dei farmaci) e la farmacodinamica (a livello di organi bersaglio e siti di azione con meccanismi di azione diversi, sinergici o antagonisti).

Uno dei meccanismi più diffusi alla base delle interazioni è l’inibizione degli isoenzimi del citocromo P450 (CYP3A4, CYP2C9) con aumento della concentrazione ematica dei farmaci che sono loro substrati (tra i più noti, calcioantagonisti, midazolam, ciclosporina, simvastatina, eritromicina, warfarin, fluoxetina, diclofenac, glibenclamide, losartan). Un altro meccanismo è legato all’inibizione delle proteine di trasporto appartenenti alle classi ABC e SLC.

La vitamina D può interagire con gli isoenzini del citocromo P-450 3A4 (CYP3A4) e va valutata l’eventuale interferenza con atorvastanina, colestiramina, digossina, calcio-antagonisti (diltiazem e varapamile), idroclorotiazide e farmaci anticonvulsanti (fenobarbitale e fenitoina) o antipsoriasici (calcipotriolo) [35].

La piperina (contenuta nel pepe nero) inibisce sia la P-glicoproteina che il CYP3A4, mentre la curcumina, contenuta nel rizoma della Curcuma longa, inibisce l’attività del trasportatore ABCG2/BCRP1.

Alcuni nutrienti quali l’arginina e gli acidi grassi omega-3 possono interagire con l’azione farmacologica delle terapie antipertensive, anticoagulanti e ipoglicemizzanti.

Di seguito alcuni esempi di interazioni potenzialmente pericolose tra nutrienti/sostanze presenti negli integratori e farmaci con effetti potenzialmente pericolosi [3639]:

- l’aglio (Allium sativum) riduce l’aggregazione piastrinica;

- il biancospino (Cratae gusoxi acantha) può potenziare la tossicità della digitale e l’effetto degli anti-ipertensivi;

- il ginseng siberiano (Eleutherococcus senticosus) riduce la concentrazione ematica di digossina;

- l’iperico (Hypericumperforatum), noto anche come Erba di S. Giovanni, riduce la ciclosporinemia;

- il ginseng americano (Panaxquinque folium) potenzia l’effetto degli ipoglicemizzanti orali;

- lo zenzero (Zingiber officinalis) riduce l’eliminazione e aumenta la biodisponibilità e l’emivita del metronidazolo;

- la liquirizia in pazienti in terapia con idroclorotiazide, a causa dei suoi effetti simil-aldosterone, può antagonizzare l’effetto diuretico e quello ipotensivo e aumentare il rischio di ipopotassiemia;

- ginkgo biloba, mirtillo, camomilla, fieno greco, cardo mariano e menta piperita sono associati al rischio di sanguinamento nei pazienti che assumono anticoagulanti.

Quando e come integrare

In determinate condizioni, alcune categorie di persone possono essere soggette a rischio di carenze nutrizionali [40] quali, ad esempio, le donne in gravidanza [41] (l’acido folico è necessario per prevenire i difetti del tubo neurale nel bambino in via di sviluppo), le persone anziane con un difficile accesso al cibo (per motivazioni socio-economiche o per disabilità), i soggetti dipendenti da alcol [42] o da altre sostanze, i soggetti che scelgono un regime alimentare in cui vengono eliminati interi gruppi alimentari (vegetariani o vegani) [1], i pazienti in cui le caratteristiche fisiopatologiche del quadro clinico impediscono l’assunzione/corretto utilizzo di nutrienti (es. sindrome dell’intestino corto), impongono un regime alimentare restrittivo in alcuni nutrienti (es. insufficienza renale) o generano un aumentato fabbisogno (es. stati infiammatori acuti o cronici) [43].

In ogni caso, l’integrazione deve seguire un percorso di valutazione dello stato di nutrizione che definisca il reale apporto di quel nutriente attraverso l’alimentazione, la sua concentrazione nel nostro organismo, la possibilità di aumentare eventualmente l’apporto attraverso una diversa modulazione del comportamento alimentare. Nel follow-up va poi valutata l’efficacia dell’integrazione (es. effetto della supplementazione di Fe sui livelli di Hb) anche ai fini di una eventuale diversa modulazione della stessa.

Considerazioni finali

Un’indagine condotta dal National Health Institute statunitense [10] ha messo in evidenza come una parte degli utilizzatori di integratori (ad esempio, lattanti, bambini di età compresa tra 12 e 24 mesi, persone anziane con un successful ageing) tendono anche ad avere, dalla loro alimentazione, un apporto di micronutrienti più elevato rispetto ai non utilizzatori. Paradossalmente, questi soggetti, che evidentemente avranno meno necessità di un’integrazione di nutrienti, sono quelli a maggior rischio di superare i livelli di assunzione massimi tollerabili. Questo dato, associato all’osservazione che nei soggetti con un buono stato di nutrizione le evidenze di un reale beneficio di una qualsiasi integrazione di nutrienti sono decisamente scarse, imporrebbe un percorso prescrittivo attento al reale rapporto costo-beneficio [4446].

D’altro canto, c’è da considerare che in altri soggetti l’uso di integratori possa predisporre gli individui ad acquisire/mantenere comportamenti alimentari scorretti: può suggerire di fare affidamento sugli integratori per soddisfare i bisogni nutrizionali piuttosto che di adottare una dieta equilibrata e uno stile di vita sano in grado di assicurare tutti i nutrienti di cui abbiamo bisogno, senza necessità di ricorrere agli integratori alimentari [7].

Infine, se l’integrazione è indicata, va mantenuta per tutto il tempo necessario al recupero di un corretto stato di nutrizione e/o di un corretto ed equilibrato comportamento alimentare. Al contrario, l’aderenza all’uso di un integratore è molto scarsa e l’interruzione avviene quasi sempre per caso. In un lavoro condotto con i medici di famiglia [47] abbiamo verificato come l’adesione all’integrazione con acido folico nelle donne in (pre)gravidanza fosse decisamente scarsa malgrado le significative evidenze sulla sua utilità e le indicazioni date dai ginecologi e dai medici di famiglia.

In definitiva, riprendendo il detto popolare, comune a diverse tradizioni regionali (vedi nota), “quello che non strozza ingrassa?”, abbiamo visto come questo non sia valido, nel caso degli integratori alimentari. Gli aspetti legati al dosaggio, alla biodisponibilità, alla tossicità e alla compliance al trattamento impongono un approccio corretto e non semplicistico a questa categoria di prodotti che, se correttamente utilizzati, possono essere di notevole utilità nella pratica clinica [48].