Introduzione

La recidiva della Malattia di Cushing (MC) dopo chirurgia transnasosfenoidale è un’eventualità non rara (prevalenza 5–21%), che può verificarsi nella metà dei casi nei primi 15–50 mesi dopo l’intervento, ma anche dopo decenni. I principali fattori di rischio per la comparsa di recidiva sono elencati nella Tabella 1 [1]. La mancata risposta di ACTH e cortisolo al test con desmopressina, insieme alla presenza di ridotti valori di cortisolo basale post intervento, sembrano invece in grado di predire la remissione a lungo termine dopo una prima chirurgia. I criteri diagnostici per identificare la presenza di recidiva sono prevalentemente biochimici: generalmente il primo test a positivizzarsi è il cortisolo salivare a mezzanotte, seguito dal test di soppressione a basse dosi (LDDS); il cortisolo libero urinario sembra, invece, il parametro meno sensibile.

Tabella 1 Principali fattori di rischio per la comparsa di recidiva

Preliminarmente alla scelta dell’opzione terapeutica più appropriata è richiesta la ripetizione di una risonanza magnetica (MRI) ad alta risoluzione. Non è noto, invece, se l’alterazione delle strutture venose post chirurgia possa ridurre l’utilità del cateterismo dei seni petrosi inferiori nell’identificazione della lesione.

Opzioni terapeutiche

Le principali opzioni terapeutiche in caso di recidiva postchirurgica sono elencate nella Tabella 2 e di seguito commentate anche in relazione alle possibilità di successo [2].

Tabella 2 Vantaggi e svantaggi delle principali opzioni terapeutiche

Reintervento

Il reintervento [3] è generalmente la prima opzione terapeutica, soprattutto in presenza di un imaging positivo. L’intervento deve essere eseguito in un centro di eccellenza (dove si effettuino almeno 25 interventi/anno). Il rischio di complicanze è maggiore rispetto alla prima chirurgia, così come il rischio di ipopituitarismo, con un tasso di remissione medio del 64% (38–90%).

Radioterapia e radiochirurgia

La radioterapia convenzionale o la radiochirurgia stereotassica rappresentano una valida alternativa terapeutica, con un tempo medio di azione di 8 mesi [4]. In attesa che la radioterapia abbia effetto, deve essere avviata una terapia medica. Il tasso di successo è correlato alle dimensioni e alla localizzazione del tumore e, anche in questo caso, all’esperienza del centro. Gli effetti collaterali gravi sono rari e vanno dalla neuropatia ottica alla comparsa di tumore radioindotto. Dato il rischio di insorgenza di ipopituitarismo e la latenza nella risposta, è indispensabile una sorveglianza endocrinologica regolare.

Terapia medica

La terapia medica trova applicazione sia nel breve che nel lungo termine, soprattutto nei pazienti non candidabili a chirurgia. I farmaci attualmente in commercio in Italia possono avere come bersaglio l’ipofisi (pasireotide, pasireotide LAR o carbergolina), il surrene (inibitori della steroidogenesi come metopirone, ketoconazolo, mitotane e, più recentemente, osilodrostat). La terapia con mitotane, farmaco adrenolitico poco maneggevole, viene riservata ai casi di estrema gravità. In fase di studio sono, invece, nuove molecole come levoketoconazolo e relacorilant, rispettivamente enantiomero del ketoconazolo con potenziali minori effetti collaterali a livello epatico e antagonista selettivo del recettore dei gliucocorticoidi. L’efficacia è molto variabile, maggiore per gli inibitori della steroidoigenesi che per pasireotide o carbergolina, efficaci nel 40% circa dei pazienti. Pasireotide ha, tuttavia, un effetto anche nella riduzione del volume tumorale, mentre carbergolina a lungo termine può presentare un fenomeno di escape. Le diverse terapie possono essere usate da sole o in combinazione. Il vantaggio della terapia medica è che ha una più rapida modalità di azione rispetto alla terapia chirurgica/radioterapia, a fronte di un minor rischio di iposurrenalismo. Gli effetti collaterali sono farmaco-specifici (Tabella 3).

Tabella 3 Effetti collaterali della terapia medica

Surrenectomia bilaterale

La surrenectomia bilaterale trova spazio nelle situazioni di ipercortisolismo non controllato o in caso di comparsa di effetti collaterali della terapia medica. È una terapia efficace al 100%; migliora le comorbilità della malattia e la qualità di vita. Il motivo per cui viene riservata come ultima opzione è il rischio di insorgenza di Sindrome di Nelson (prevalenza 8–29%) e la certezza di insorgenza di iposurrenalismo, con la necessità di una terapia sostitutiva a vita e il rischio di insorgenza di crisi iposurrenaliche.

Nei pazienti con ipercortisolismo lieve, senza segni clinici di MC, può essere consigliabile eseguire solo una sorveglianza biochimica, tenendo in considerazione, però, il fatto che anche queste forme sono correlate a un aumentato rischio cardiovascolare.

Conclusioni

Nella recidiva della MC, la terapia deve essere personalizzata e gestita da un team specializzato. Mentre si procede con le indagini biochimiche e radiologiche, è importante perseguire il controllo dell’ipercortisolismo per evitare il peggioramento del quadro clinico e delle comorbidità. La scelta della terapia deve essere basata sul grado di ipercortisolismo, sulle comorbilità preesistenti, sul residuo tumorale. Se la terapia è ben tollerata, potenzialmente potrebbe essere proseguita a vita, anche se nei pazienti più giovani andrebbe perseguita una cura definitiva. In questo scenario il quadro radiologico deve essere rivalutato nel tempo, poiché un adenoma potrebbe diventare visibile e permettere un successivo intervento.