Sommario
L’insufficienza ovarica prematura è caratterizzata da un esaurimento dell’attività ovarica prima dei 40 anni, con conseguente ipoestrogenismo, amenorrea e infertilità e interessa l’1% delle donne. L’importanza clinica di questa condizione è notevolmente aumentata nel corso degli ultimi decenni per diversi motivi. Una diagnosi tempestiva, una terapia sostitutiva e un management adeguato sono quindi fondamentali. La terapia estrogenica sostitutiva, condotta con regime terapeutico ottimale, ha molteplici obiettivi, tra cui il trattamento dei sintomi da ipoestrogenismo e la riduzione delle complicanze a lungo termine.
Abstract
Premature ovarian insufficiency (POI) is characterised by a depletion of ovarian activity before the age of 40, resulting in hypoestrogenism, amenorrhoea and infertility and affects 1% of women. The clinical relevance of this condition has increased considerably over the past decades. A prompt diagnosis and appropriate management are critical. Optimal oestrogen replacement therapy, conducted with an appropriate treatment regimen, aims to alleviate the symptoms of hypoestrogenism and reduce long-term complications, hence it is crucial in reducing mortality and morbidity and improving quality of life.
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Introduzione
L’insufficienza ovarica primaria (POI) è caratterizzata da un esaurimento dell’attività ovarica prima dei 40 anni, con conseguente ipoestrogenismo, amenorrea e infertilità [1]. È una condizione caratterizzata da una forte suscettibilità genetica, che si presenta fino al 30% dei casi in forma familiare, la cui espressione è modulata da diversi fattori ambientali [2, 3]. Si tratta di un disordine eterogeneo, che può essere acquisito o congenito (Tabella 1), benché nel 70–90% dei casi rimane idiopatico [4]. La rilevanza clinica di questa patologia è aumentata negli ultimi decenni per: 1) l’allungamento dell’aspettativa di vita e della durata dell’ipoestrogenismo; 2) il sempre più frequente posticipo del primo concepimento oltre i 30 anni di età; e 3) l’aumento delle giovani donne sopravvissute a un cancro avuto in giovane età. Pertanto, una diagnosi tempestiva, una terapia sostitutiva e un management adeguato sono fondamentali per la qualità di vita delle pazienti, per la riduzione delle complicanze e per garantire, quando possibile, una chance di preservazione della fertilità.
Presentazione clinica e iter diagnostico
La POI interessa circa l’1% delle donne sotto i 40 anni, con un’incidenza esponenzialmente crescente nelle diverse decadi [2]. Può presentarsi clinicamente come amenorrea primaria con variabile grado di sviluppo puberale oppure come amenorrea secondaria (eventualmente anticipata da irregolarità mestruali), infertilità e sintomi da ipoestrogenismo, generalmente più marcati rispetto a quelli tipici del climaterio, specie nelle forme acquisite a insorgenza repentina. Inoltre, può anche associarsi a un quadro sindromico in base all’eziologia sottostante (Tabella 1).
La POI determina un ipogonadismo ipergonadotropo; pertanto, sono stati raccomandati i seguenti criteri diagnostici: oligo/amenorrea per almeno 4 mesi, e un livello elevato di FSH >25 IU/l in due occasioni a distanza di più di 4 settimane [5]. La riserva ovarica può essere valutata ecograficamente con la conta dei follicoli antrali (AFC) e tramite la determinazione dell’ormone anti-mulleriano (AMH) nel siero. Le ovaie risultano generalmente compatte e di dimensione ridotte e fino nel 50% dei casi di amenorrea primaria si può riscontrare una disgenesia gonadica con ovaie “a banderella”. L’AMH risulta basso/indosabile e, sebbene non ci siano ancora cut-off definiti per la diagnosi, risulta il marcatore attuale più sensibile di riserva ovarica [4]. Con la combinazione di questi esami è possibile in qualche caso evidenziare una certa riserva ovarica, utile per il concepimento e/o la crioconservazione.
Una volta confermata la diagnosi di POI, è importante effettuare indagini atte a stabilire l’eziopatogenesi (Fig. 1). Dopo aver escluso le possibili cause acquisite tramite un’accurata anamnesi, vanno in primis ricercate cause autoimmuni e genetiche.
Tutte le donne che vanno incontro a POI prima dei 30 anni dovrebbero essere sottoposte alla valutazione del cariotipo per escludere la diagnosi di sindrome di Turner. Va, inoltre, valutata la presenza di una pre-mutazione del gene FMR1 (associato a sindrome dell’X fragile nei maschi), in particolare in presenza di familiarità maschile per ritardo mentale [2–4]. La valutazione degli altri geni candidati coinvolti nella POI può essere effettuata mediante Next Generation Sequencing, con la possibilità di identificare difetti oligogenici, sempre più in grado di spiegare forme di POI finora considerate “idiopatiche” [2–4]. L’eventuale identificazione del difetto genetico alla base della POI consente una gestione mirata delle eventuali condizioni sindromiche associate e di predire il rischio di POI nelle giovani femmine della stessa famiglia, permettendo di programmare la propria gravidanza in età giovanile o di provvedere alla criopreservazione degli oociti.
Gestione clinica e management delle complicanze
La POI ha un impatto multisistemico con profonde implicazioni fisiche ed emotive; come tale, la sua gestione dovrebbe essere effettuata con la collaborazione di più professionisti.
La POI rappresenta un fattore di rischio indipendente per la cardiopatia ischemica e la malattia vascolare coronarica ed è stato ben documentato che le pazienti non trattate abbiano un tasso di mortalità più elevato. Infatti, l’ipoestrogenismo esercita diversi effetti deleteri su molti fattori di rischio, tra cui il profilo lipidico, l’insulino-resistenza, l’obesità centripeta, l’infiammazione cronica, l’ipertensione, la vasocostrizione, la disfunzione endoteliale e la disfunzione del sistema nervoso autonomo [4].
Le donne con POI hanno una densità minerale ossea (BMD) significativamente più bassa e un rischio maggiore di osteoporosi, a causa di un’insufficiente acquisizione del picco di massa ossea (nei soggetti con amenorrea primaria o insorgenza precoce), aumento del riassorbimento osseo associato alla carenza di estrogeni o alla presenza di comorbilità e fattori di rischio in relazione all’eziologia specifica.
Inoltre, le pazienti con uno stato ipoestrogenico di lunga durata sono a maggior rischio di deterioramento cognitivo, ictus e malattia di malattia di Parkinson.
Infine, va tenuto conto dell’importante aspetto psicologico e psicosessuale, considerando anche il rischio aumentato di disfunzioni sessuali.
Considerato l’impatto cardiometabolico e osseo ben caratterizzato della POI, la gestione ottimale di questa condizione dovrebbe prevedere una valutazione basale dell’insulino-resistenza, del profilo lipidico e della densitometria ossea (DXA). Il monitoraggio di questi parametri dovrebbe essere in funzione dalla storia personale e familiare, sebbene una valutazione annuale dei marcatori di rischio cardiovascolare potrebbe essere opportuna, nonostante attualmente manchino prove sul rapporto costo-efficacia. La frequenza della densitometria ossea dovrebbe essere valutata in base alla presenza di altri fattori di rischio per osteoporosi, della densità minerale ossea (BMD) al baseline e della sua variazione con il tempo [4].
È particolarmente importante l’educazione a una dieta ben bilanciata con un’adeguata attività fisica, al fine di mantenere un peso adeguato, evitando l’abitudine al fumo e il consumo eccessivo di alcool.
Terapia ormonale sostitutiva
La terapia estrogenica sostitutiva ha, quindi, molteplici obiettivi: indurre lo sviluppo di caratteristiche sessuali secondarie (compresa la crescita uterina) nelle ragazze prepuberi con amenorrea primaria [6], alleviare i tipici sintomi vasomotori, i problemi urogenitali dovuti all’atrofia vulvovaginale e vescicale, i problemi umorali/cognitivi, la riduzione dei livelli di energia e i dolori muscolo-scheletrici e, infine, ridurre le complicanze a lungo termine, come le malattie cardiovascolari e l’osteoporosi. Per ottimizzare il successo del trattamento, la scelta del regime terapeutico è di cruciale importanza.
Tra le formulazioni disponibili, le preparazioni ormonali bioidentiche, a base di 17\(\beta \)-estradiolo, sono preferibili in quanto più fisiologiche, sicure ed efficaci rispetto a quelle a base di etinil-estradiolo ed estrogeni equini coniugati [7], soprattutto se somministrate per via transdermica. Il principale vantaggio della somministrazione transdermica è quello di bypassare l’effetto di primo passaggio epatico, riducendo l’esposizione del fegato a dosi sovrafisiologiche di estrogeni e il conseguente aumento di fattori pro-coagulanti, SHBG, trigliceridi e marcatori di infiammazione. Infatti, evidenze sempre più numerose suggeriscono che la somministrazione transdermica si associ a un minore rischio tromboembolico e cardiovascolare e a un minore impatto metabolico [8–10], in particolare nelle donne obese che presentano, di base, un profilo di rischio aumentato.
Il trattamento a base di 17\(\beta \)-estradiolo deve essere continuo, per evitare periodi di ipoestrogenismo [11]. Purtroppo, non esistono prodotti specificamente concepiti per il trattamento a lungo termine di giovani donne con insufficienza ovarica; pertanto, si utilizzano comunemente le formulazioni commercializzate per il trattamento dei disturbi climaterici nelle donne in post-menopausa o le associazioni estro-progestiniche a scopo contraccettivo (COC). Le dosi raccomandate sono generalmente superiori a quelle impiegate nella terapia sostitutiva post-menopausale (Tabella 2) [4], con il razionale di ripristinare dei valori estrogenici tipici delle giovani donne, in quanto è stato suggerito anche un effetto dose-risposta degli estrogeni riguardo i benefici cardiovascolari e ossei [12, 13]. Tuttavia, sono disponibili ancora pochi studi sulla posologia ottimale nella POI che, in ogni caso, deve essere individualizzata, bilanciando attentamente benefici, rischi ed effetti collaterali. Può, inoltre, essere necessario iniziare con dosi minori per testare la tolleranza e aumentare la dose fino a raggiungere la posologia ottimale. Il monitoraggio dei livelli di estrogeni può essere utile per valutare l’adeguatezza della terapia, avendo come target i valori medi tipici delle donne in età fertile (300–400 pmol/l) [14].
L’aggiunta del progestinico è necessaria nelle donne con utero per prevenire l’iperplasia endometriale e ridurre al minimo i sanguinamenti irregolari. Il progesterone naturale micronizzato, assunto per via orale o vaginale, ha dimostrato una maggiore sicurezza rispetto ai progestinici sintetici tradizionali (quali il medrossiprogesterone acetato), per quanto riguarda il rischio di cancro al seno, l’impatto metabolico e gli eventi tromboembolici [15, 16] e, pertanto, risulta essere la prima scelta consigliata dalle più recenti linee guida. Il diidrogesterone, comunemente utilizzato nelle preparazioni orali in associazione fissa, presenta vantaggi metabolici e mammari simili.
I progestinici possono essere impiegati in regime combinato sequenziale o continuo (Fig. 2). Nel primo, il progestinico viene aggiunto all’estrogeno nella seconda fase di ogni ciclo (per 12–14 giorni) e, se la dose di estrogeno è sufficiente a far ispessire la mucosa endometriale, si hanno dei flussi simil-mestruali indotti alla sospensione del progestinico. Lo schema combinato continuo, con assunzione continuativa dell’estrogeno e del progestinico contemporaneamente, determina una pressoché totale atrofia della mucosa endo-uterina, così che dopo alcuni mesi di perdite ematiche irregolari si giunge nella maggior parte dei casi alla scomparsa dei flussi. È opportuno, quindi, optare per un regime combinato sequenziale qualora la donna programmi una gravidanza o se si prevede un trattamento di fertilità con donazione di ovociti nel prossimo futuro.
Nel caso si utilizzino dosi più elevate di estrogeni, può essere necessario, in base alla clinica, adeguare la posologia di progestinico utilizzando dosi maggiori (Tabella 3).
Infine, può essere utilizzato (in combinazione con estrogeni transdermici o orali), soprattutto se è necessaria una contraccezione o in caso di sanguinamento vaginale irregolare, un sistema intrauterino (IUD) medicato al levonorgestrel che fornisce una duratura protezione endometriale, con il vantaggio di determinare concentrazioni sistemiche di progestinico trascurabili e, quindi, minori effetti collaterali rispetto alla terapia sistemica [5].
L’utilizzo del COC, ancora molto diffuso, offre sicuramente il vantaggio di una maggiore accettazione da parte delle pazienti. Tuttavia, un numero sempre maggiore di dati dimostra come il suo impiego abbia un impatto meno favorevole dal punto di vista osseo e cardio-vascolare, oltre che sullo sviluppo uterino. Andrebbero pertanto preferiti regimi più fisiologici e, in ogni caso, evitate le formulazioni contenenti estrogeni sintetici [7, 12, 17, 18]. Tuttavia, anche l’impiego di preparazioni a base di estradiolo valerato come terapia sostituiva nella POI è off-label e richiede ulteriori ricerche. Va però considerato l’utilizzo dei COC nel caso in cui la paziente presenti verosimilmente una riserva ovarica residua e desideri una contraccezione; successivamente, si può passare all’ERT quando il rischio di una gravidanza indesiderata è altamente improbabile, in genere >2 anni dopo la diagnosi [4].
Le linee guida [5, 19] raccomandano che la terapia sostitutiva continui almeno fino all’età media della menopausa (51 anni). Successivamente, occorre attentamente valutare il rapporto rischio-beneficio e la sintomatologia individuale.
La terapia estro-progestinica è indicata in tutte le donne con insufficienza ovarica prematura, salvo i casi in cui esistano controindicazioni specifiche. Un’anamnesi personale di cancro al seno controindica l’utilizzo della terapia ormonale sostitutiva [4, 5, 20]. Tuttavia, va sottolineato che il rischio di cancro al seno con l’uso a lungo termine di terapia estro-progestinica nella POI non è superiore a quello della popolazione generale corrispondente per età [11]. Per quanto concerne altri tipi di tumore (i cui trattamenti possono determinare un’insufficienza ovarica precoce) sulla base delle evidenze raccolte finora, la sostituzione ormonale scelta in modo adeguato risulta indicata in buona parte delle condizioni ma potenzialmente dannosa in alcune neoplasie ormono-dipendenti (ad esempio, il meningioma o il carcinoma gastrico ER+/PR+). In alcuni tumori o nei loro sottogruppi, il rischio della TOS potrebbe superare i potenziali benefici ed è necessario un accurato processo decisionale individualizzato (ad esempio, alcuni tumori ovarici) [20].
Lo screening per il rischio tromboembolico dovrebbe essere effettuato solo nelle pazienti con un’anamnesi personale o familiare positiva, considerando che un rischio aumentato non controindica in maniera assoluta la terapia estrogenica ma richiede maggiore cautela [21]. Le donne con un’anamnesi di pregressa trombosi o disturbo trombofilico devono essere valutate da uno specialista ematologo prima di iniziare la TOS. L’estradiolo transdermico è la via di somministrazione preferita per le donne a maggior rischio tromboembolico [5].
Alcune condizioni cliniche, in cui esiste una controindicazione relativa per le terapie contraccettive o sostitutive post-menopausali, come l’emicrania, l’ipertensione o l’obesità, non costituiscono controindicazioni per la TOS nella menopausa prematura. Anche in questi casi è preferibile la somministrazione transdermica [4, 5].
Non sono necessari esami di routine per il monitoraggio della TOS, ma possono essere richiesti esami specifici sulla base del quadro clinico. Non è utile monitorare l’FSH, in quanto spesso non si normalizza. È raccomandato un follow-up regolare per verificare la compliance, la soddisfazione, gli effetti collaterali e l’eventuale necessità di modificare il regime o la via di somministrazione [11].
Terapie complementari e alternative
Se i sintomi genitourinari persistono nonostante la TOS sistemica, è possibile somministrare in aggiunta estrogeni vaginali a basso dosaggio o prasterone. Inoltre, alcune donne con POI possono trarre beneficio dalla sostituzione degli androgeni, in quanto è noto che queste abbiano livelli di androgeni più bassi rispetto ai controlli di pari età, con un possibile effetto negativo sul desiderio e la funzione sessuale e sulla performance fisica. Attualmente, l’unica indicazione per l’utilizzo del testosterone nelle donne è il disordine da desiderio sessuale ipoattivo in post-menopausa [22]. Tuttavia, persiste la mancanza di opzioni terapeutiche autorizzate in grado di erogare facilmente la dose fisiologica richiesta di 5 mg/die di testosterone.
Le opzioni farmacologiche non ormonali (paroxetina, venlafaxina, gabapentin, ossibutinina e clonidina) sono indicate per l’attenuazione dei sintomi vasomotori nei casi in cui la TOS è controindicata [23]. Al fine di attenuare i sintomi genito-urinari possono essere utilizzati idratanti e lubrificanti vaginali. I bisfosfonati dovrebbero essere evitati in questa popolazione giovane in considerazione del potenziale desiderio di gravidanza e dell’eventuale necessità di un uso a lungo termine, con associata riduzione del turnover osseo. Tuttavia, i bisfosfonati possono essere necessari se la TOS è controindicata o se la BMD non migliora nonostante una terapia ormonale ottimale [4]. Sebbene l’integrazione di routine con il calcio non sia necessaria, a meno che non sia dimostrata una carenza alimentare, l’integrazione con colecalciferolo può essere consigliata al fine di ridurre il rischio di osteoporosi.
Preservazione della fertilità
Un’attività ovarica residua può essere presente circa il 25% delle pazienti e le gravidanze spontanee possono verificarsi fino al 5% delle donne con POI [24], nella maggior parte dei casi entro 1 anno dalla diagnosi. Purtroppo, la criopreservazione degli ovociti non è sempre un’opzione praticabile. Quando possibile, deve essere sempre proposta prima dell’insorgenza dell’insufficienza ovarica, se causata per esempio da terapie gonadotossiche o se nota una predisposizione genetica. In caso di diagnosi precoce di un’alterazione genetica correlata alla POI, è infatti necessario fornire quanto prima un’accurata consulenza genetica alla paziente e alla sua famiglia e una valutazione per la conservazione della fertilità [25]. Al fine di proporre la preservazione della fertilità, un aspetto cruciale aspetto consiste nell’identificare le pazienti che possono avere follicoli residui nelle ovaie. Oltre alla misurazione dell’AMH e all’esame ecografico della riserva ovarica (AFC), la conoscenza dei processi molecolari causativi del difetto può essere utile in questa prospettiva [25]. Indipendentemente dalla causa, nelle donne con POI conclamata si perde l’opportunità di preservare la fertilità. In questo caso, le recenti linee guida riportano ancora la donazione di ovociti come l’unica opzione realistica per una gravidanza [4, 5], in quanto non esistono trattamenti comprovati che aumentino la percentuale di gravidanze da ovociti autologhi.
Inoltre, sono ora disponibili diversi dati positivi sulla crioconservazione del tessuto ovarico (OTC) e nuove tecniche innovative come la maturazione in vitro degli ovociti e l’attivazione in vitro iniziano a essere esplorate con successo e sperabilmente potranno aprire in futuro nuove opzioni terapeutiche per queste pazienti [25].
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Proposto da R.M. Ruggeri.
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Federici, S., Bonomi, M. & Persani, L. Management clinico e terapia sostitutiva dell’insufficienza ovarica primaria. L'Endocrinologo 24, 62–68 (2023). https://doi.org/10.1007/s40619-023-01227-4
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