Vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experientia fallax, judicium difficile

La vita è breve, l’arte è lunga, l’occasione è fugace, l’esperienza è fallace, il giudizio è difficile.

Aforismi, 1, 1, Ippocrate di Kos, V sec. a.C.

Introduzione

Le parole del primo aforisma del padre della medicina occidentale, Ippocrate di Kos, sono rivolte al medico-filosofo impegnato a indagare i principi della natura alla base del mistero della malattia, in un contesto di conoscenze frammentarie e insicure. Esse vogliono ricordarci quanto la comprensione degli eventi biologici debba tenere conto della relazione tra il poco tempo a disposizione per l’analisi (il tempo della vita di ciascuno) e la complessità del contesto che si deve interpretare (la vastità della conoscenza biomedica richiesta), tanto più in considerazione della provvisorietà del nostro approccio empirico. In questo ambito enigmatico, intriso di componenti metafisiche, si collocano le teorie e le osservazioni che hanno segnato le origini della scienza biomedica; pur tuttavia, sempre di più alla nostra valutazione contemporanea, esse rivelano straordinarie anticipazioni di quanto diverrà evidenza scientifica a partire dall’affermazione del metodo sperimentale, ipotetico-deduttivo, di Galileo Galilei, nel XVII secolo. Peraltro, come già autorevolmente affermato da Karl Popper, uno dei massimi filosofi della scienza del XX secolo: “I concetti e le idee metafisiche sono da considerarsi, anche nelle loro forme più arcaiche, un modo per porre ordine nell’immagine che l’Uomo ha del mondo e in alcuni casi sono state in grado di generare predizioni di successo [...], ogni buona traduzione non banale di un testo deve essere una ricostruzione teoretica” [1].

Prime teorie ed evidenze sull’asse ipotalamo-ipofisi

Il ruolo del cervello e del terzo ventricolo nella regolazione dell’equilibrio energetico

Caso esemplare di paradigma scientifico antico, ricco di componenti metafisiche ma provvido di anticipazioni moderne nel settore del controllo endocrino-metabolico, è quello del cervello come regolatore delle funzioni automatiche e integrate, che oggi definiremmo “vegetative”, quali lo stato di coscienza, la nutrizione, le trasformazioni alimentari (il metabolismo), la termoregolazione. Nella tradizione greca arcaica del VI–V secolo a.C., originante sia dalle idee dei medici-ricercatori ionici (dal greco antico  = fisiologi) come Alcmeone di Crotone, Anassagora e Diogene di Apollonia, sia da quelle della Scuola di Kos (V–IV sec. a.C.) come Ippocrate e Prassagora, il cervello era considerato la sede della coscienza (oltre che delle emozioni e delle attività psichiche superiori). Per Ippocrate, in particolare, l’incapacità del cervello di agire come condotto di trasferimento ai polmoni dell’aria inspirata inibiva la coscienza, un aspetto da lui osservato a seguito dell’insufficienza ventilatoria in corso di epilessia, considerata malattia del cervello: “l’aria [...] quando entra [...] nel cervello [...] procura l’attività mentale e il movimento [...], quando il flegma inibisce alla vene l’accoglimento dell’aria il malato è reso afono e incosciente [...], il cervello è invero il veicolo della coscienza” (Male Sacro, 10 e 19) [2]. Dunque, Ippocrate aveva intuito che il cervello era essenziale affinché un principio energetico (l’aria) fosse utilizzabile dal corpo per conservare la vigilanza e la reattività agli stimoli ambientali (stato di coscienza) (Fig. 1a).

Fig. 1
figure 1

a Ritratto di Ippocrate (moneta romana, II sec. d.C., British Museum, Londra); b ritratto di Aristotele, attribuito a Lisippo (IV sec. a.C., Kunsthistoriche Museum, Vienna); c ritratto di Galeno, incisione del XVI sec.; d frontespizio della pubblicazione originale di Claude Bernard del 1878, suo ritratto e prima introduzione dei concetti di ambiente interno ed esterno e conservazione dell’equilibrio chimico-fisico dell’interstizio cellulare; e ritratto di Walter Cannon e frontespizio della sua pubblicazione originale del 1929, in cui viene definito, per la prima volta in modo completo, il concetto di omeostasi (l’introduzione del termine è del 1926)

Tuttavia, si deve ad Aristotele di Stagira (IV sec. a.C.) la prima idea compiuta che il cervello fosse in grado di assicurare la sopravvivenza controllando la termoregolazione e, attraverso questa, la nutrizione (Fig. 1b). Nel Libro \(2^{\circ}\), capitolo 7, paragrafo 652b del suo De Partibus Animalium egli scrive: “La presenza del cervello negli animali è in funzione della conservazione dell’intero organismo [...]. Tra tutti i corpi quelli caldi sono i migliori per soddisfare le funzioni dell’anima; nutrizione e mutazioni sono funzioni dell’anima [...], il cervello regola [letteralmente, “tempera”] il calore e lo stato di ebollizione del [sangue nel] cuore” [3]. Aristotele, quindi, suppose che il cervello, mantenendo costanti (ossia temperando) l’energia termica corporea (“calore del sangue”) e le “trasformazioni” energetiche (“ebollizione del cuore”), oggi definibili come “metabolismo”, influenzasse il comportamento alimentare e motorio (“nutrizione e mutamento”), primariamente negli animali a sangue caldo o omeotermi (“i corpi quelli caldi”). In effetti, oggi sappiamo che negli omeotermi, come l’uomo, termoregolazione, nutrizione e attività motorie ad essi finalizzate sono strettamente coordinati a livello cerebrale, in modo da svincolare il metabolismo dalle oscillazioni della temperatura ambiente [4].

Questo concetto del cervello come regolatore dell’introito alimentare (nutrienti) in funzione dello stato energetico (calore somatico) è strettamente legato all’idea che Aristotele aveva della sede di produzione dell’energia corporea, il cuore e il fegato, organi considerati elettivi per la generazione del principio vitale dalla Scuola biologica italica del V sec. a.C. (Empedocle, Filistione da Crotone che studiò il sistema vascolare). Dal cuore e dal fegato l’energia, derivata dalla trasformazione (dal greco antico  = metabolè) degli alimenti in calore, entrava nel sangue, divenendo responsabile della temperatura basale. Il cervello, allora, agiva come uno “scambiatore di calore”, raffreddando il sangue carico di energia, per mantenere un equilibrio termico tra le differenti parti del corpo, alcune fredde (come il polmone) e altre calde (come l’apparato digerente). Pertanto, il convincimento aristotelico che l’energia calorica del sangue fosse indice delle trasformazioni alimentari (metaboliche) precorre di 2200 anni l’evidenza del metabolismo basale, fornita sperimentalmente nell’uomo solo nel 1895 da Adolf Magnus-Levy tramite calorimetria indiretta in corso di iper- e ipotiroidismo [5]. Si conclude che l’associazione proposta da Aristotele tra cervello e funzioni vegetative (termoregolazione, comportamento alimentare inclusa la motricità, metabolismo) per mantenere l’integrità somatica può considerarsi il più antico antecedente del concetto moderno di regolazione centrale dell’equilibrio energetico, che si svilupperà solo tra la fine del XIX e la metà del XX secolo, a partire dai principi di “invarianza dell’ambiente interno” (fixitè du milieu interieur) e “omeostasi”, elaborati su base sperimentale da Claude Bernard e Walter Cannon (Fig. 1d, e) [6].

L’idea aristotelica della regolazione centrale dell’energia somatica fu ripresa e ampliata nel II secolo d.C. da Galeno di Pergamo, medico della casa imperiale romana, da Marco Aurelio, a Commodo, a Settimio Severo (Fig. 1c). Nelle Esercitazioni Anatomiche (, dal termine greco antico originale, divenute poi in latino Anatomicae Administrationes) e nell’Uso delle Parti (, dal termine greco antico originale, divenuto poi in latino De Usu Partium) egli fornisce la più antica descrizione dell’anatomia e della supposta funzione della regione del \(3^{\circ}\) ventricolo cerebrale, corrispondente all’ipotalamo [7]. Galeno trasse le sue descrizioni e teorie principalmente da studi dissettivi e vivisezioni su mammiferi, e le estese all’uomo per analogia con le evidenze raccolte dalla Scuola medica di Alessandria d’Egitto (III sec. a.C.), soprattutto le osservazioni di Erasistrato di Ceo, che era stato allievo di Metrodoro, terzo marito della figlia (Fitia) di Aristotele [8]. Erasistrato, che aveva verosimilmente eseguito vivisezioni su condannati alla pena capitale (come riporta nel I sec. d.C. Aulo Cornelio Celso, nel Proemio del suo De Medicina), descrisse nell’uomo l’esistenza di uno stretto spazio (corrispondente al \(3^{\circ}\) ventricolo) tra i ventricoli laterali e il quarto ventricolo: “Il cervello [...] ha un ventricolo situato longitudinalmente su ciascun lato. Questi due ventricoli sono connessi da un passaggio e si uniscono dove i due emisferi cerebrali si congiungono (spazio del \(3^{\circ}\) ventricolo). Da qui conducono dentro il cervelletto, dove è presente un altro piccolo ventricolo”, ossia il \(4^{\circ}\) ventricolo (De placitis Hippocratis et Platonis VII, 3). Il \(4^{\circ}\) ventricolo era stato studiato in dettaglio, nello stesso periodo, da Erofilo di Calcedonia, allievo di Prassagora a Kos, poi passato alla Scuola di Alessandria e al cui nome è riferita la forma a “punta di pennino” del profilo della parte inferiore di questo pavimento ventricolare, detta calamo o penna di Erofilo (calamus scriptorius). Il ruolo del \(4^{\circ}\) ventricolo nella regolazione neuroendocrina verrà sottolineato, per la prima volta, solo nel XIX secolo da Claude Bernard, che osservò come la lesione del suo pavimento (c.d. piqûre = puntura) produceva transitoria (24 ore) iperglicemia e glicosuria nel coniglio (c.d. piqûre diabète = diabete da puntura) [9, 10]. Questa lesione, venendo prodotta in corrispondenza del triangolo ventricolare bulbare (la porzione inferiore del pavimento del \(4^{\circ}\) ventricolo), dove sono situati sia i nuclei vegetativi viscerosensitivi (nucleo del tratto solitario) e visceromotori (nucleo motore dorsale o cardiopneumoenterico) del nervo vago, sia i fasci reticolari discendenti (reticolo-spinali e longitudinale dorsale) per il controllo ipotalamico e troncoencefalico dell’efferenza simpatica spinale al fegato, è verosimile fosse in grado di bloccare l’inibizione tonica vagale della glicogenolisi epatica, favorendo l’ipertono simpatico iperglicemizzante e, forse, anche inibire il controllo tonico vagale del rilascio di insulina pancreatica (al tempo ignota), riducendone la secrezione e, quindi, deprimendo l’utilizzazione periferica del glucosio circolante (Fig. 2a–c).

Fig. 2
figure 2

a Frontespizio del lavoro originale di Claude Bernard dal quale sono tratte le due immagini successive, dove in (b) è mostrata la procedura di lesione del pavimento del \(4^{\circ}\) ventricolo ipotalamico nel coniglio, per produrre la condizione di “diabete da puntura” e in (c) l’area del pavimento ventricolare, vista dall’altro, interessata dalla lesione (croce rossa), corrispondente alla zona dell’ala bianca interna. Bernard riportò il medesimo risultato anche ledendo più lateralmente e in basso, a livello dell’ala cinerea, convinto che in questo modo avrebbe interrotto il nervo vago, la cui origine apparente è di poco inferiore; d disegno tratto dal De Homine di Cartesio (1662), che mostra il tragitto dei raggi luminosi attraverso il globo oculare e la retina, da cui si dipartono i nervi che proiettano al \(3^{\circ}\) ventricolo, stimolando l’epifisi a rilasciare lo spirito vitale per il movimento dei muscoli striati articolari; e immagine tratta da un manoscritto anonimo dell’XI sec., ritenuta la più antica rappresentazione della funzione del cervello, schematizzato nel quadrante superiore sinistro (freccia). Nell’ingrandimento in (f) si apprezzano le parole latine phantasia, intellectus, memorata, rispettivamente a indicare le facoltà contenute nelle 3 celle ventricolari del cervello, che comprendono i ventricoli anteriori, medio e posteriore; g disegno tratto da un’edizione del 1347 del De Generatione Embryonis di Avicenna. Si noti che i cinque sensi, indicati da linee a partenza dal collo e dal volto, sono connessi al sensus communis e alla phantasia, situati nella cella cerebrale anteriore (ventricoli laterali), mentre in quella media (\(3^{\circ}\) ventricolo) sono localizzate l’imaginativa e la cogitativa seu estimativa, e nella cella posteriore (\(4^{\circ}\) ventricolo) la memorativa

Galeno riconobbe meglio di Erasistrato la presenza di un ventricolo mediano (\(3^{\circ}\) ventricolo ipotalamico), distinto da due ventricoli anteriori e uno posteriore (\(4^{\circ}\) ventricolo), in base alla sua associazione con la ghiandola pineale o “piccola pigna” (, dal termine greco antico), mai descritta prima di lui con tale nome: “la parte coperta da questo corpicciolo (la pineale) non è di tipo usuale ma è un terzo ventricolo” (Anat. Adm. IX, 4). Questa relazione anatomica assumerà importanza solo nel XVII secolo, quando Cartesio ipotizzò che lo stimolo luminoso, attraverso la retina e il chiasma ottico, potesse giungere al \(3^{\circ}\) ventricolo e da qui stimolare l’epifisi a rilasciare lo spirito animale (ossia il corrispondente dell’impulso nervoso) nei nervi motori somatici destinati ai muscoli degli arti, per produrre il movimento (Fig. 2d). Effettivamente, oggi sappiamo che lo stimolo ottico raggiunge il \(3^{\circ}\) ventricolo, attraverso il fascio retino-ipotalamico, diretto al nucleo soprachiasmatico, che funge da principale oscillatore interno per la regolazione circadiana della secrezione ipotalamo-ipofisaria. Tuttavia, è anche provato che lo stimolo ottico può influenzare, attraverso l’epifisi, l’attività muscolare periferica. Infatti, attraverso collaterali dei tratti ottici dirette alla lamina quadrigemina (tubercoli superiori), l’impulso visivo discende nel midollo cervicale, dove attiva neuroni visceromotori simpatici (nucleo di Takahashi e colonna di Clarke). Dal midollo cervicale gli impulsi sono ri-proiettati: 1) sia al ganglio cervicale superiore e, tramite fibre ortosimpatiche periarteriose per la vascolarizzazione dell’epitalamo, all’epifisi (via riflessa per la secrezione di melatonina); 2) sia ai fasci spino-reticolari ascendenti e ai tubercoli quadrigemini superiori che, a loro volta, influenzano il nucleo abenulare laterale dell’epifisi, deputato al controllo dei centri motori extrapiramidali del tronco cerebrale (sostanza nera, nuclei reticolari del rafe). Oggi sappiamo che, se i centri extrapiramidali troncoencefalici non vengono inibiti dall’abenula laterale per mancanza di stimolo fotico (come nell’inversione giorno-notte del jet lag), si produce irrequietezza motoria nelle fasi di addormentamento e sonno. In sintesi, Cartesio fornì una visione semplificata e incompleta, ma non funzionalmente contraddittoria, del rapporto tra \(3^{\circ}\) ventricolo ed epifisi.

Galeno, invece, suggerì che il \(3^{\circ}\) ventricolo drenasse attraverso l’infundibolo e l’ipofisi le impurità derivate dalla trasformazione dell’“energia corporea” (il pneuma o spirito vitale) in “sensazione ed impulso” (il pneuma psichico o spirito animale), responsabili dell’attività psichica (l’anima razionale). Questa trasformazione energetica (oggi diremmo questo processo metabolico) si svolgeva nella rete vascolare attorno all’ipofisi (la rete mirabilis), una struttura già descritta 500 anni prima da Erofilo che, come Galeno, aveva probabilmente dissecato solo animali [8], e che corrisponde anatomicamente ai plessi anastomotici artero-capillari circuminfundibolare e prechiasmatico di carnivori, cetacei, edentati e ungulati [11]. Nel De Usu Partium Galeno afferma: “il pneuma vitale, attraversando le arterie, viene utilizzato come materiale per generare il pneuma psichico nell’encefalo [...] l’anima razionale ha sede nell’encefalo (II, 13) [...] Una grande quantità di pneuma in fase di trasformazione fluisce di continuo attraverso il plesso retiforme [la “rete mirabilis”] [...] una volta che la trasformazione è giunta a compimento, il pneuma si riversa nei ventricoli dell’encefalo (II, 15) [...] per quanto attiene, poi, i due condotti che raggiungono le narici [canali del corpo dell’osso sfenoide ritenuti in connessione con l’osso palatino] [...] essi si estendono sino al palato ed uno di questi origina nel ventricolo mediano [...] nel momento in cui si congiungono sono accolti in uno spazio stretto e ripido [l’infundibolo ipotalamico] [...] che si porta sino alla ghiandola [l’ipofisi] [...] e per quanto attiene la funzione della ghiandola che segue all’imbuto essa chiaramente filtra i residui” (II, 7–9). Pertanto, Galeno adombrò, per la prima volta nella storia, la funzione “secretiva” del complesso \(3^{\circ}\) ventricolo (ipotalamo)-ipofisi e suggerì che questa “secrezione”, da lui chiamata flegma o pituita, una sorta di muco (da cui il termine “ghiandola pituitaria” per l’ipofisi) eliminato attraverso le fosse nasali, fosse il risultato del “metabolismo” (trasformazione) intravascolare (plesso ipotalamo-ipofisario) del principio energetico circolante (spirito vitale). Una tale costruzione teorica è sorprendentemente (quanto inconsapevolmente) prelusiva dei moderni concetti di secrezione neuroendocrina tuberoinfundibolare e circolazione portale ipotalamo-ipofisaria, che si svilupperanno solo 1700 anni più tardi, nel XX secolo [6, 11]. Inoltre, anche la supposta secrezione cerebro-nasale è stata di recente confermata; nei Mammiferi, infatti, gli antigeni infiammatori possono transitare dagli spazi subaracnoidei alla sottomucosa del naso e viceversa, attraverso il liquor cerebrospinale (come quello contenuto nei ventricoli) che scorre continuamente entro le guaine perineurali del nervo olfattivo e, da qui, raggiungere il circolo linfatico generale. Mediante questo sistema di circolazione umorale, molto simile a quello ipotizzato da Galeno per la “pituita”, è possibile comprendere come le condizioni infettive sistemiche attivino acutamente la risposta immunoendocrina centrale, pur in presenza di barriera emato-encefalica [12].

La particolare attenzione di Galeno al complesso ipotalamo-ipofisi dipende dalla grande importanza che egli ascriveva ai ventricoli cerebrali per il mantenimento dello stato di coscienza (in questo avvicinandosi all’idea di Ippocrate sul cervello nel suo complesso) e, in particolare al ventricolo medio, la cui lesione traumatica o chirurgica nell’uomo egli aveva notato indurre perdita di vigilanza, motricità e somatoestesi (stato di sopore o , dal termine greco antico, da cui deriva anche l’etimologia delle arterie soporifere o carotidi, poi stupor, in latino) (De Loci Affectis), che oggi sappiamo dovute a interruzione delle vie reticolari ascendenti (attivanti la veglia), della capsula interna (vie discendenti motorie piramidali ed extrapiramidali) e delle fibre spino-talamiche (sensitive e contenute nel lemnisco laterale), che corrono tutte nella o adiacenti alla porzione esterna della parete ventricolare, dove si trova anche la massa del talamo. Da questa visione galenica, cui contribuirà anche l’affermazione che l’attività psichica consta di 3 proprietà distinte (immaginazione/fantasia, razionalità/giudizio, memoria), deriverà la ripartizione medioevale delle facoltà superiori ai ventricoli (Fig. 2e, f).

Tale ripartizione inizia nel periodo bizantino (IV sec. d.C.) con il medico Posidonio, che avrebbe descritto gli effetti delle lesioni ventricolari, associando a ciascun ventricolo l’alterazione di una delle 3 proprietà galeniche, poi si sviluppa ad opera dei padri della Chiesa (Nemesio, Aurelio Agostino d’Ippona – S. Agostino), interessati al ruolo dell’anima immortale nel comportamento umano (cosa che Galeno, invece, da pragmatico materialista, rifiuta a più riprese di affrontare, non ritenendolo un aspetto di interesse per il medico che deve curare la malattia organica) e raggiunge il suo apice nel IX–X sec. d.C., con il persiano Avicenna (Ibn Sina), che a proposito del \(3^{\circ}\) ventricolo afferma: “La facoltà dell’immaginazione sensibile [astrazione] [...] è localizzata nel ventricolo mediano [...] la facoltà estimativa [istinto] nella sua estremità posteriore” (Kitab al-najat o libro della Salvezza, II, 4) (Fig. 2g).

Il ruolo dei ventricoli cerebrali e, in particolare, del mediano assumerà nel Medioevo un valore del tutto unico e originale per la storia del controllo neuroendocrino ad opera dell’anatomico medioevale Mondino dei Liuzzi (XIII sec.). Nella sua Anothomia, il testo più diffuso e utilizzato nelle Scuole di medicina dell’Europa del XIV–XV sec., pubblicato a Bologna intorno al 1316, si legge: “Una volta compiute queste cose, ti appare il ventricolo di mezzo che è come una via ed un passaggio dall’anteriore al posteriore; in questo è collocata la facoltà riflessiva [virtus cogitativa] e la ragione [merito], perché questa facoltà opera componendo la fantasia [phantasiam] e i ricordi [memorata], in modo da separare dalle sensazioni [sensatis] le cose non percepite dai sensi [non sensata] [...] Il controllo di tutto l’animale [regimen totius animalis] consiste nel comprendere le cose presenti, ricordare quelle passate e prevedere quelle future; per questo [il ventricolo mediano] deve essere nel mezzo di queste facoltà [harum virtutum] che riguardano la comprensione e la memoria” (De anothomia cerebri). Mondino, quindi, offre un’interpretazione della funzione del \(3^{\circ}\) ventricolo basata sulla capacità di “integrare” le attività collocate nei ventricoli anteriori (phantasiam/sensatis = ideazione/somatoestesi) e posteriore (memorata = memoria) con quelle vegetative (non sensata = stati vegetativi/emozionali), tipiche del ventricolo mediano. Il risultato è la regolazione del comportamento di sopravvivenza (regimen totius animalis).

In sintesi, combinando in modo del tutto originale la visione energetica di Aristotele (regimen totius animalis) con quella psico-funzionale di Galeno (harum virtutum) assunta in termini di “topografia ventricolare” attraverso Avicenna, Mondino assegna il ruolo di regolatore dell’equilibrio vitale (cioè di regolatore omeostatico) al \(3^{\circ}\) ventricolo, in grado di armonizzare le attività sensitivo/sensoriali e motorie (attività dello stato di coscienza) con quelle automatiche e involontarie (attività dello stato di incoscienza), al fine di conservare l’integrità corporea. A questa interpretazione Mondino ricollega, poi, la funzione di filtro dell’ipofisi, secondo il pieno dettame galenico. Ne deriva che Mondino fornisce il più antico antecedente del concetto moderno di integrazione ipotalamica, che si affermerà in modo compiuto solo nella seconda metà del Novecento, con il lavoro dell’anatomico olandese Walle J.H. Nauta e di quello britannico H.G.J.M. Kuypers [6]. L’attualità dell’interpretazione di Mondino sulla capacità del ventricolo medio di integrare le attività basilari per la sopravvivenza è confermata anche dalle parole del neurologo portoghese Antonio Damasio, che ha di recente definito la funzione omeostatica del cervello come la capacità di: “apprezzare le circostanze esterne, rifinire le risposte motorie, predire la conseguenze degli atti” [13].

Il ruolo dei nervi e dei vasi nella regolazione centrale delle ghiandole endocrine e, in particolare, della tiroide

Le considerazioni di Galeno e, nel Medioevo, di Mondino su quanto oggi sappiamo essere il complesso ipotalamo-ipofisi, risultano particolarmente suggestive alla luce di due aspetti assai poco noti delle loro teorie, relativi al rapporto tra nervi, vasi e “ghiandole”. Galeno, infatti, riteneva correttamente (in linea con Erofilo ed Erasistrato) che i nervi fossero canali per il trasporto dell’impulso cerebrale (lo spirito animale) alle strutture del corpo, dopo passaggio attraverso il midollo spinale, considerato una sorta di “cervello differito”, o estensione periferica dell’encefalo. Su questo punto era in pieno disaccordo con Prassagora, allievo e successore di Ippocrate a Kos, che, come Aristotele, non era mai riuscito a differenziare i nervi periferici da vasi, tendini e legamenti. Inoltre, Galeno riteneva che le strutture da lui chiamate “ghiandole” o “carne lassa” (, dal greco antico, poi glandula in latino), spesso disposte lungo il decorso dei nervi e dei vasi e oggi in gran parte riferibili ai linfonodi, ricevessero un impulso nervoso per il rilascio ai tessuti circostanti di sostanze lubrificanti: “Per quanto attiene la natura delle ghiandole, quelle deputate alla produzione di secrezioni utili all’animale ricevono nervi insieme ad arterie e vene ben visibili” (De Usu Partium, XVI). Questa affermazione sarà provata, su basi anatomiche, solo 1700 anni più tardi, nel 1888 da W. Tonkoff, dimostrando che i linfonodi ricevono un’innervazione vegetativa [14] e, su basi fisiologiche, nel 1926 da S. Metal’nikov e V. Chorine, che per primi osserveranno che le reazioni immuni possono essere condizionate alla stregua dei classici riflessi di Pavlov, implicando un coinvolgimento del cervello nella risposta immunitaria [15]. Oggi sappiamo che l’innervazione vegetativa agli organi linfatici, inclusi i linfonodi, svolge un ruolo primario nella risposta immunoendocrina, specie nelle condizioni di stress e obesità, che comportano iperattivazione del simpatico e coordinazione della secrezione cortico- e medullo surrenalica con la reattività immunitaria periferica [16, 17]. La più recente evidenza di questo si è avuta durante l’epidemia di COVID-19, caratterizzata da blocco, parziale o totale, della risposta immunitaria e surrenalica.

In questo contesto è rilevante il fatto che Galeno abbia utilizzato il termine “carne lassa” per descrivere, nelle Esercitazioni Anatomiche, anche l’ipofisi (IX, 8), il pancreas (XIII, 1) il surrene, il testicolo e l’ovaio (XIII, 3), il timo (XIII, 7). Similmente, nella regione del collo egli identificò una “carne lassa della laringe”, in stretta associazione con i nervi laringei ricorrenti (XIII, 7), da lui scoperti quali controllori della fonazione negli animali e identificati in prossimità della cartilagine denominata “scudo” (, dal termine greco antico). Galeno riferisce anche che l’accidentale sezione chirurgica di questi nervi, in due bambini operati (non da lui) per rimozione di “struma” (massa adenomatosa/gozzo), condusse ad afonia e disfonia permanente (De Loci Affectis I, 46) (Fig. 3). Inoltre, questa “ghiandola” era ricca in vasi arteriosi e venosi, ad origine i primi dall’arteria carotide (comune), di cui lui aveva anche osservato la relazione tra ramo interno, catena del simpatico cervicale e gangli cervicali superiore e medio, e i secondi dalla vena giugulare interna, questi ultimi in grado di produrre sanguinamento profuso se lesi durante la vivisezione del collo (Anat. Adm. XIII). Infine, Galeno riteneva che questa “ghiandola” fosse in grado di “filtrare” il sangue circolante (De Voce) e di secernere liquido, in modo esocrino, per rendere umida la laringe [6].

Fig. 3
figure 3

Frontespizio di un’edizione del 1549 del De Loci Affectis (Sulle Parti Malate) di Galeno (II sec. d.C.), con il passo latino e la relativa traduzione italiana, riguardante la relazione tra tiroide (qui intesa come “gozzo”) e nervi ricorrenti. La conferma che il trattamento chirurgico di cui si parla riguarda il gozzo tiroideo e non altre forme di “struma”, come quello delle linfoghiandole (specificato da Celso, nel De Medicina, I sec. d.C.), è fornita da Galeno nel De Methodo Medendi (Sul Metodo di Cura), dove consiglia di non effettuare la rimozione dello “struma” del collo ma di trattarlo con l’assunzione di spugna marina secca (contenente iodio), una terapia che sarebbe stata già praticata in Cina sino dal XXVIII sec. a.C.

È quindi evidente che Galeno individuò ciò che noi oggi sappiamo essere la tiroide e fu il primo a introdurre l’idea che la secrezione ghiandolare, in particolare quella tiroidea, potesse essere influenzata dal cervello attraverso i nervi periferici. Questo concetto fu inconsapevolmente ripreso agli inizi del Novecento da Walter Cannon, quando dichiarò di avere ottenuto nel gatto una condizione di ipertiroidismo a seguito di anastomosi chirurgica del tronco simpatico cervicale con il nervo frenico (anche se poi tali esperimenti non furono mai più replicati) [6]. Tuttavia, alla fine del XX secolo si è potuto dimostrare nei mammiferi che sia le fibre ortosimpatiche del plesso cervicale che quelle parasimpatiche vagali sono in grado di controllare biosintesi e rilascio degli ormoni tiroidei e, contemporaneamente, il flusso vascolare ghiandolare, assumendo un ruolo chiave per determinare, nell’unità di tempo, la quantità ormonale che entra in circolo [18].

Similmente a Galeno, anche Mondino identificò nel collo una struttura ghiandolare, che suppose dotata sia di funzione lubrificante locale (secondo il dettato galenico, che includeva anche un possibile ruolo di supporto strutturale alla laringe) sia “termoregolativo”: “eliminate quelle strutture [le vene giugulari esterne], troverai le due ghiandole [invenies duas amigdalas], una da ogni lato, che sono masse ghiandolari [carnes glandose] fatte nella forma e sagoma di due mandorle, la cui funzione è di umidificare la trachea [...] queste ghiandole sono poste inferiormente alla cartilagine tiroide [...] la terza funzione è di essere lo schermo [scutum, ossia oggetto riflettente] delle vene ed arterie apoplettiche [...] che portano lo spirito vitale” (De anathomia venarum guidez). Nell’accezione di Mondino, pertanto, la tiroide non solo aveva capacità secretiva (oggi diremmo di tipo esocrino) ma era anche deputata a interagire con il principio energetico arterioso del galenismo (lo spirito vitale), ad origine dal “metabolismo” epatico dell’energia corporea (lo spirito naturale), in certo modo corrispettivo del “calore del sangue” aristotelico, dovuto al “metabolismo” epatico e cardiaco degli alimenti. In sintesi, Mondino suppose (su base teorica e senza prove sperimentali) che la tiroide svolgesse una regolazione termica sul sangue circolante anticipando, in modo sorprendente, l’evidenza moderna dell’azione regolativa dell’ormone tiroideo sulla termogenesi, sia obbligatoria che facoltativa nell’uomo [19]. Complessivamente, è oggi possibile affermare che le idee di Aristotele, Galeno e Mondino sulla connessone tra cervello, nervi e ghiandole, in particolare la tiroide, forniscono il più antico esempio di teoria della funzione ipotalamo-ipofisaria connessa a nutrizione, termoregolazione e attività tiroidea (Fig. 4) [6].

Fig. 4
figure 4

Diagramma di flusso che riassume le assunzioni teoriche di Aristotele, Galeno e Mondino dei Liuzzi sulle interazioni tra cervello, ipofisi e tiroide. I tre modelli rappresentano lo sviluppo progressivo di un unico schema fisiologico, che conduce a reazioni endocrine, vegetative e comportamentali simultanee, in risposta a variazioni nell’introito alimentare e termico del corpo, per mantenere costante l’equilibrio energetico (omeostasi energetica) e, dunque, assicurare la sopravvivenza

Conclusione e prodromi per gli sviluppi nei secoli successivi

Alcune delle fondamentali teorie ed evidenze moderne sulla funzione omeostatica e neuroendocrina dell’asse ipotalamo-ipofisi appaiono, all’occhio biomedico contemporaneo, riflesso di idee e osservazioni già presenti nell’antichità, configurando un paradosso alla teoria delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Khun, in realtà solo apparente in quanto derivato da una visione di realismo ingenuo. Infatti, l’inconsistenza di tali ipotesi con la conoscenza attuale nasce da un’erronea re-interpretazione ex post dei documenti storico-scientifici, fallacia ben nota nell’analisi medico-legale. La loro forza, invece, risiede nell’influenza subliminale che è plausibile abbiano esercitato sulla costruzione del credito che noi assegniamo ai fondamenti fisiopatologici moderni della funzione ipotalamo-ipofisaria. Questo è anche il convincimento di uno dei padri della neuroendocrinologia moderna, Seymor Reichlin. Lo sviluppo dell’indagine diretta sull’uomo, che esploderà con l’Umanesimo rinascimentale, porterà successive conferme, avanzamenti e proiezioni conoscitive in questo ambito, sino ai giorni nostri, di cui sarà oggetto la seconda parte di questo contributo, di prossima pubblicazione.