Introduzione

L’ipotiroidismo primario è molto frequente nella popolazione generale (fino a 10–15% nelle sue forme più lievi o subcliniche) e per questo motivo diverse società scientifiche raccomandano il suo screening in popolazioni a rischio tramite la misurazione del TSH circolante.

Il TSH è il parametro più solido e accurato per il depistaggio delle disfunzioni tiroidee primarie, tale da giustificare la diffusione della strategia del “TSH riflesso”, e la sua elevazione nel sangue è generalmente associata all’ipotiroidismo di origine autoimmune o tiroidite di Hashimoto.

Tuttavia, esistono altre cause meno frequenti di elevazione del TSH che il clinico deve essere in grado di riconoscere per evitare errori nel trattamento dei pazienti affetti. Questa rassegna si prefigge di illustrare alcune di queste forme di elevazione del TSH al fine di promuoverne il riconoscimento da parte del clinico e fornire elementi per un loro trattamento.

Interferenze analitiche

Un’importante causa di elevazione del TSH è quella delle interferenze analitiche. Da uno studio condotto su 150 casi pubblicati negli ultimi 30 anni risulta che le interferenze inerenti gli esami di funzionalità tiroidea hanno un rilevante impatto sulla pratica clinica [1], determinando spesso inappropriati trattamenti con levotiroxina e farmaci anti-tiroidei, test ormonali e strumentali non necessari, ritardi diagnostici e terapeutici. In merito all’elevazione del TSH, le interferenze non sono un’evenienza rara. Infatti, una quota importante di pazienti che presentano esami compatibili con ipotiroidismo subclinico, stimata fino al 17%, ha in realtà dei valori di TSH falsamente elevati [2]. In Tabella 1 sono riportate le principali interferenze che possono riguardare il TSH e gli ormoni tiroidei.

Tabella 1 Principali interferenze e loro possibili effetti sui test di funzionalità tiroidea. Anti-TSHR, anticorpi anti-recettore del TSH; anti-TPO, anticorpi anti-tireoperossidasi; anti-TG, anticorpi anti-tireoglobulina

Tra le cause di interferenza abbiamo gli anticorpi eterofili, che possono determinare sia una sovrastima che una sottostima non solo del TSH, ma anche di FT3 e FT4 [3]. Il tipo di interferenza dipende dal saggio utilizzato e dal bersaglio con cui interagisce l’anticorpo eterofilo; questo, infatti, può legare sia l’analita da misurare, sia gli anticorpi presenti nel saggio stesso. Questi anticorpi possono essere presenti nel plasma del paziente, con una prevalenza stimata che arriva fino al 6% della popolazione generale [4]. Gli anticorpi eterofili vengono comunemente classificati in tre categorie: anticorpi anti-animal, tra cui i più frequenti sono gli anti-mouse, prodotti dal sistema immunitario del paziente in risposta alla somministrazione di anticorpi a scopo diagnostico o terapeutico; fattore reumatoide, un’immunoglobulina della classe IgM presente nel siero del 70% dei soggetti affetti da artrite reumatoide e nel 5–10% della popolazione generale; infine, nella terza categoria troviamo tutti gli anticorpi eterofili con antigene sconosciuto [5]. Nel sospetto di interferenza da anticorpi eterofili, la prima cosa da fare è ripetere il test con un altro saggio, anche se sappiamo che questa può ripresentarsi con saggi diversi. Se permane il dubbio di interferenza, si può ricorrere al test di diluizione: la positività è documentata da mancanza di linearità e parallelismo, ma si riscontra solo nel 60% dei campioni affetti. Altra possibilità è l’analisi del campione dopo incubazione con anticorpi bloccanti: il test è positivo se c’è una discrepanza tra i risultati ottenuti prima e dopo l’incubazione, con una sensibilità di circa il 70–80%. Avendo queste analisi una sensibilità non molto elevata, molti autori suggeriscono di eseguirle entrambe per aumentare la possibilità di individuare l’interferenza [6].

Un altro tipo di interferenza che può determinare una sovrastima del TSH è quella da macro-TSH, un’entità simile alla più nota macro-prolattina. Alla base di questa interferenza ci sono degli anticorpi che legano il TSH formando delle macromolecole di peso molecolare superiore a 200 kDa, che, non potendo passare il filtro glomerulare, si accumulano nel siero. Similmente alla macro-prolattina, anche il macro-TSH non ha attività biologica [7]. La prevalenza di macro-TSH tra i pazienti che presentano esami compatibili con ipotiroidismo subclinico è di circa 0,5–1,6% [8]. Il sospetto di macro-TSH deve insorgere di fronte a valori di TSH elevati e discordanti rispetto ai livelli di ormoni tiroidei e al quadro clinico del paziente [9]. Bisogna considerare che non sempre il macro-TSH si presenta con valori molto elevati di tireotropina, sono diversi i casi riportati in letteratura con livelli di TSH borderline-alti o solo lievemente aumentati [7]. In questi casi capita spesso che il sospetto insorga dopo aver già istituito una terapia sostitutiva, nel momento in cui i livelli di tireotropina non si normalizzano nonostante l’incremento posologico della levotiroxina. Nel sospetto di macro-TSH, gli esami più frequentemente eseguiti sono il test di diluizione e quello di precipitazione con polietilenglicole (PEG); la positività è data dopo diluizione da un over-recovery con assenza di linearità, mentre dopo trattamento con PEG da un basso recupero [10]. In realtà, l’esame più accurato sarebbe la cromatografia per gel-filtrazione, ma questo risulta molto più costoso e non è disponibile in molti centri. Quest’ultimo test è in grado di individuare anche quei rari casi in cui l’anticorpo responsabile dell’interferenza da macro-TSH non appartiene alla classe delle IgG, ma a quella delle IgA, condizione in cui spesso il test di precipitazione con PEG dà falsi negativi [11].

Per concludere, il sospetto di un’interferenza analitica deve insorgere di fronte a valori di TSH non concordanti con i livelli di ormoni tiroidei e col quadro clinico del paziente. In presenza di alterazioni ormonali subcliniche, magari associate a qualche sintomo aspecifico, queste possono essere difficili da individuare e possono rappresentare una sfida diagnostica [3]. Spesso il primo passo da compiere è quello di ripetere il test utilizzando un altro saggio. Se il sospetto di interferenza si conferma, bisognerebbe ricorrere a un test di secondo livello, idealmente confrontandosi col medico di laboratorio di riferimento.

Resistenza al TSH

La resistenza al TSH è una patologia genetica causata da mutazioni che alterano l’adeguata trasmissione del segnale stimolatorio del TSH all’interno della cellula tiroidea. Il difetto può teoricamente riguardare ogni passaggio della cascata del segnale che origina dal legame del TSH al suo recettore; oggi conosciamo molte mutazioni con perdita di funzione del recettore del TSH (TSHR) alla base di questa condizione [12].

È una malattia con ampia variabilità di espressione clinica (vedi Tabella 2), da severo ipotiroidismo congenito con displasia tiroidea a lieve ipertireotropinemia in assenza di segni e sintomi di ipotiroidismo [13]. Le forme severe sono dovute a mutazioni bialleliche del TSHR e seguono una trasmissione autosomica recessiva; le definiamo forme di resistenza completa al TSH. Sono caratterizzate da severo ipotiroidismo associato a una ghiandola ipoplasica e la diagnosi viene fatta, generalmente, al momento dello screening neonatale. Questi casi entrano in diagnosi differenziale con le altre cause di disgenesia tiroidea; nello specifico, andrebbe sospettata una resistenza completa al TSH di fronte a un ipotiroidismo congenito severo con ghiandola ipoplasica ma eutopica, condizione che si verifica in meno del 10% degli ipotiroidismi congeniti in Italia [12]. Le forme mild sono dovute a mutazioni monoalleliche del TSHR e seguono un’ereditarietà di tipo autosomico dominante. Le definiamo forme di resistenza parziale al TSH; abbiamo un TSH più alto della norma che riesce a compensare la ridotta responsività della tiroide. Si presentano con quadro ecografico di tiroide normale, ormoni liberi nella norma e assenza di clinica da ipotiroidismo [12, 14, 15]. Più spesso queste forme lievi vengono individuate più avanti e possono essere confuse con un ipotiroidismo subclinico associato ad autoimmunità tiroidea. Per questo gli esperti consigliano di sospettare una resistenza al TSH in tutti i casi di valori elevati di tireotropina in assenza di elementi biochimici ed ecografici compatibili con autoimmunità. Nella popolazione italiana si stima che tra i giovani con ipertireotropinemia in assenza di autoimmunità tiroidea la prevalenza di mutazioni con perdita di funzione del TSHR sia tra il 10 e il 20% [12].

Tabella 2 Classificazione delle forme di resistenza al TSH in base al grado di refrattarietà tiroidea allo stimolo del TSH

I livelli di TSH possono variare anche in modo significativo tra soggetti con la stessa mutazione o tra membri della stessa famiglia. Inoltre, nel tempo si possono riscontrare variazioni intraindividuali. Di conseguenza, è probabile che esistano fattori ambientali (ad esempio apporto iodico, insulti tiroidei acquisiti) o altri geni modificatori non ancora noti che influenzano i livelli di TSH in questi soggetti [12].

La resistenza al TSH può presentarsi nel contesto di una più generalizzata resistenza ormonale, sindrome definita pseudoipoparatiroidismo di tipo primo. È causata dalla mutazione con perdita di funzione del gene GNAS1, che codifica per la subunità \(\alpha \) della proteina Gs. Generalmente si ha una lieve forma di resistenza al TSH, ma può dare bassi livelli di ormoni tiroidei nel periodo neonatale [16, 17].

Le forme di ipotiroidismo congenito dovute a resistenza completa al TSH vanno trattate con levotiroxina; la terapia sostitutiva va cominciata il prima possibile per evitare i tipici danni neurologici [18]. Per le forme di resistenza parziale associata a varianti eterozigoti del TSHR, invece, il trattamento sostitutivo può essere evitato, in quanto l’elevazione del TSH appare in grado di superare la refrattarietà parziale allo stimolo funzionale e creare una condizione di compenso. Alcuni lavori hanno documentato che bambini e adolescenti con forme parziali di resistenza al TSH, nonostante livelli di tireotropina superiori alla norma, erano clinicamente eutiroidei e non hanno mostrato alcun difetto di sviluppo somatico e neurologico nonostante l’assenza di terapia sostitutiva [19]. Anche i loro parametri metabolici legati all’azione degli ormoni tiroidei sono risultati nella norma [20]. Le diagnosi di questi pazienti sono state nella maggior parte dei casi incidentali, eseguendo test di funzione tiroidea nel contesto di controlli generali e non per il sospetto di una patologia tiroidea. Inoltre, i genitori portatori eterozigoti delle varianti del TSHR mai trattati con tiroxina hanno normali livelli di FT4, un normale volume tiroideo senza lesioni nodulari e in assenza di possibili lesioni ipofisarie da ridotto feedback, e presentano un adeguato livello di istruzione e professionale [19]. Tutto questo depone per un reale compenso della funzione tiroidea che rende dispensabile il trattamento sostitutivo, ma i pazienti devono essere seguiti periodicamente perché qualunque insulto tiroideo, ad esempio la comparsa di autoimmunità, potrebbe determinare un’evoluzione più rapida e grave verso l’ipotiroidismo clinico [21].

Ipotiroidismo da consumo

Un’altra rara condizione che può determinare aumentati livelli di TSH è l’ipotiroidismo da consumo. Si tratta di una rara sindrome paraneoplastica dovuta a un’overespressione della desiodasi di tipo 3 (D3) da parte del tessuto tumorale, con conseguente aumento del catabolismo degli ormoni tiroidei [22]. Nella maggior parte dei casi, oltre all’elevazione della tireotropina troveremo bassi livelli di ormoni tiroidei e una refrattarietà alla terapia sostitutiva con TSH che rimane elevato.

Mentre l’espressione della D3 è alta nei tessuti fetali e nella placenta, dove svolge un ruolo fondamentale nella protezione del feto da un eventuale eccesso di ormoni tiroidei, la sua espressione viene successivamente ristretta a pochi tessuti, principalmente nel sistema nervoso centrale, nella pelle e in alcune ghiandole endocrine [23]. Tuttavia, nella vita adulta la sua espressione aumenta in alcune condizioni patologiche, come l’infiammazione, la rigenerazione epatica, l’ipertrofia cardiaca, l’infarto miocardico e alcuni tumori [24]. L’espressione di D3 è stata documentata in diversi tumori, tra cui oligodendrogliomi, astrocitomi, gliosarcomi, glioblastomi multiformi, TSHomi, carcinomi a cellule basali, adenomi e carcinomi del colon; inoltre, è stato ipotizzato che la sua espressione nei tumori possa facilitare la proliferazione cellulare [25]. I primi casi descritti di ipotiroidismo da consumo riguardavano neonati con emangiomi epatici; sono stati poi descritti casi associati a emangiomi cutanei e paratiroidei. Gli emangiomi infantili sono lesioni tumorali benigne di origine vascolare che colpiscono il 4–5% dei bambini di razza caucasica. Nella maggior parte dei casi la storia naturale di queste lesioni prevede una fase di proliferazione rapida nel primo anno di vita, seguita da un lento declino nei successivi 5–7 anni, fino a una completa e spontanea involuzione della massa.

La prima linea di trattamento per queste lesioni è costituita dai farmaci betabloccanti (propranololo). Altre opzioni terapeutiche comprendono i corticosteroidi per via sistemica, trattamenti locali (timololo, imiquimod, corticosteroidi, laser) e la chirurgia [26]. La terapia con propranololo o, in seconda linea, con steroidi, è fondamentale non solo per controllare la crescita della neoplasia, ma anche per correggere l’eventuale ipotiroidismo da consumo [27]. Il propranololo, betabloccante non selettivo approvato dalla FDA nel 2014 per gli emangiomi infantili, agisce a livello dell’emangioma con diversi meccanismi d’azione. Provoca vasocostrizione, riducendo il flusso vascolare alla massa [28], e inibisce l’espressione di HIF-1alfa, VEGF e metalloproteasi, fattori fondamentali per la crescita della lesione. Inoltre, è in grado di inibire la D3, riducendo il catabolismo degli ormoni tiroidei [29].

La diagnosi di ipotiroidismo da consumo è possibile con la conferma immunoistochimica dell’elevata espressione di D3 nella lesione, anche se non sempre è possibile ottenerla. In alternativa, può essere utile il riscontro di alti livelli sierici di reverse T3.

È importante sottolineare che questa sindrome paraneoplastica non è una condizione esclusivamente pediatrica. Sono stati descritti casi di emangiomi epatici associati a ipotiroidismo da consumo anche in soggetti adulti. Inoltre, esistono casi documentati correlati a GIST [30] e a tumori fibrosi maligni [31].

Ricordiamo, infine, che i farmaci inibitori di tirosin-chinasi (TKI), approvati per il trattamento di diverse neoplasie, possono incrementare l’espressione della D3. In alcuni casi quindi, all’eziopatogenesi dell’ipotiroidismo da consumo può contribuire un TKI utilizzato per trattare la neoplasia stessa, come documentato per il Sunitinib nel GIST [32].

Ipotiroidismo refrattario

Parliamo di ipotiroidismo refrattario quando il TSH rimane elevato nonostante l’incremento della levotiroxina a dosi sovrafisiologiche. Di fronte a un ipotiroidismo refrattario, la prima cosa da escludere è la scarsa compliance alla terapia, o la concomitante assunzione di farmaci o cibi vicini alla levotiroxina che possono ridurne l’assorbimento, come ad esempio gli inibitori di pompa protonica. Una volta confermata un’adeguata compliance e una corretta assunzione della levotiroxina, bisogna prendere in considerazione eventuali cause di ridotto assorbimento [33]. La Tabella 3 mostra le possibili cause di ipotiroidismo refrattario. Notiamo che tra le cause di malassorbimento non abbiamo solo quelle intestinali (ricordiamo che la levotiroxina è assorbita a livello dell’intestino tenue), ma anche condizioni che riducono l’acidità gastrica, perché l’assorbimento della levotiroxina richiede la disintegrazione e la dissoluzione del principio attivo a livello gastrico, affinché questo sia poi disponibile per l’assorbimento a livello del digiuno e dell’ileo [34]. Tra le indagini consigliate per escludere cause di malassorbimento sta trovando applicazione sempre più diffusa il test di assorbimento con tiroxina. Diversi protocolli sono utilizzati a questo scopo; nel nostro centro viene somministrato 1 mg di levotiroxina con misurazione di TSH e FT4 fino a 6 ore dopo la somministrazione. Altri test utili sono l’urea breath test, anticorpi anti-transglutaminasi, anti-cellule parietali gastriche e anti-fattore intrinseco per escludere, rispettivamente, l’infezione da Helicobacter pylori, la malattia celiaca e la gastrite atrofica autoimmune. La risoluzione della patologia gastrica o intestinale generalmente permette di ripristinare un normale assorbimento della levotiroxina. Consideriamo che, nel caso di ridotto assorbimento dovuto a patologie gastriche, sono consigliabili formulazioni liquide, che sono meno dipendenti dalla fase gastrica dell’assorbimento [34].

Tabella 3 Cause comuni di ipotiroidismo refrattario. RETH, Resistance to Exogenous Thyroxine

Un’altra rara condizione di ipotiroidismo che non risponde alla terapia sostitutiva è l’ipotiroidismo refrattario alla tiroxina esogena, meglio noto con l’acronimo di RETH (Resistance to exogenous thyroxine), condizione caratterizzata da mancata normalizzazione dei livelli di TSH in pazienti ipotiroidei, nonostante una corretta sostituzione con levotiroxina. In questi soggetti, la normalizzazione dei livelli di TSH avviene con un sovradosaggio di levotiroxina e conseguente tireotossicosi iatrogena a livello di diversi tessuti [35]. La spiegazione di questi casi è tuttora non disponibile, in quanto sono state escluse varianti di geni codificanti per recettori degli ormoni tiroidei e desiodasi [36]. Si ritiene possibile un’alterazione post-traduzionale della desiodasi di tipo 2 (D2) a livello ipotalamo-ipofisario o mutazioni di altri geni coinvolti nella conversione di T4 in T3. Ricordiamo che D2 ha un ruolo essenziale nel controllo della produzione di TRH e TSH, in quanto la T3 che deriva dalla conversione da lei operata sopprime la sintesi del TRH a livello dei nuclei paraventricolari ipotalamici e del TSH nelle cellule tireotrope ipofisarie [37]. Nello stato di eutiroidismo iper-tireotropinemico si hanno bassi rapporti T3/rT3 e T3/T4 e alto rapporto rT3/T4, quadro compatibile con difetto di conversione di T4 in T3. Questo pattern di rapporti ormonali non è presente invece nella resistenza agli ormoni tiroidei beta (RTH-\(\beta \)) (nella RETH il rapporto TSH/FT4 è nettamente superiore; T3 è normale in RETH mentre elevato in RTH-\(\beta \); inoltre, il rapporto T3/T4, che è basso nella RETH, è normale nella RTH-\(\beta \)). I rapporti ormonali, specialmente T3/rT3 basso, possono rappresentare dei buoni marcatori biochimici per individuare questa condizione. In questi pazienti una lieve ipertireotropinemia può essere accettabile per evitare una tireotossicosi iatrogena. Alternativamente, può essere presa in considerazione una terapia sostitutiva con T4+T3 [35].