Introduzione

La sindrome di Cushing (SC) endogena rappresenta una rara malattia endocrina caratterizzata da una condizione di ipercortisolismo associata a un tipico fenotipo clinico e a numerose complicanze sistemiche quali obesità viscerale, diabete mellito, dislipidemia, malattie cardiovascolari quali ipertensione arteriosa, infarto del miocardio e tromboembolismo, alterazioni del metabolismo osseo e muscolare, aumentata suscettibilità alle infezioni, disfunzioni gonadiche e sessuali e complicanze neuropsichiatriche. Ne deriva una severa compromissione della qualità di vita e un aumentato tasso di mortalità [1].

L’ipercortisolismo endogeno è ascrivibile in circa il 70% dei casi a un tumore ipofisario secernente l’ormone adenocorticotropo ACTH (malattia di Cushing, MC), in circa il 20% dei casi a un tumore surrenalico o iperplasia surrenalica bilaterale secernente cortisolo (SC surrenalica) e in circa il 10% dei casi a un tumore extra-ipofisario secernente ACTH o, raramente, l’ormone di rilascio della corticotropina (CRH) (SC ectopica) [2].

La terapia chirurgica è ad oggi il trattamento di prima linea per tutte le forme di SC. La terapia medica trova indicazione nei pazienti non candidabili alla chirurgia o per i quali quest’ultima sia stata rifiutata o non sia stata risolutiva, come terapia adiuvante post-radioterapia nei casi di MC, o prima della chirurgia nei casi di ipercortisolismo severo [3, 4].

Terapie farmacologiche ad oggi disponibili

Le strategie terapeutiche ad oggi disponibili prevedono l’impiego di farmaci attivi sia a livello centrale che a livello periferico, utilizzati singolarmente o in associazione in considerazione del contesto clinico e della tipologia di paziente (Fig. 1).

Fig. 1
figure 1

Farmaci con attività centrale o periferica attualmente disponibili o sperimentali per il trattamento della SC. SSTR, recettori della somatostatina; MGMT, O-6-Metilguanina-DNA Metiltransferasi; D2DR, recettore della dopamina di tipo 2; CTLA-4, antigene linfocitario T citotossico 4; PD-1, proteina checkpoint; RAR, recettore dell’acido retinoico; RXR, recettore del retinoide X; EGFR, recettore del fattore di crescita epidermico; BRAF, oncogene B-RAF; CDK2, chinasi ciclina dipendente 2; HSP90, heat shock protein 90; AVPr1b, recettore dell’arginina-vasopressina 1b; ACAT1, enzima colesterolo aciltransferasi 1; GC, glucocorticoidi; GR, recettore dei glucocorticoidi. Immagine creata con BioRender.com

Nell’ambito dei farmaci di cui attualmente si dispone possiamo distinguere molecole ad azione centrale, dirette all’ipofisi, quali gli analoghi della somatostatina e gli agonisti della dopamina (pasireotide e cabergolina), molecole ad azione periferica come gli inibitori della steroidogenesi surrenalica (ketoconazolo emetirapone, storicamente utilizzati e levoketoconazolo e osilodrostat, recentemente disponibili), e i bloccanti dei recettori dei GC (GR) (mifepristone). Nell’ultimo decennio nuove molecole con diversi bersagli terapeutici sono in sperimentazione ampliando, quindi, le future prospettive terapeutiche per il trattamento della SC [2, 3].

Terapie farmacologiche ad azione centrale

Le terapie farmacologiche ad azione centrale hanno l’obiettivo di inibire la secrezione di ACTH e, conseguentemente, quella di cortisolo. I target ipofisari principali sono rappresentati dal recettore della somatostatina (SS) di tipo 5 (SSTR5) e della dopamina di tipo 2 (DRD2), particolarmente espressi nei tumori ipofisari corticotropi [5].

Il pasireotide (PAS) è un analogo della SS, con attività multi-recettoriale, con alta affinità per il SSTR5. È stato approvato nel 2012 dalla European Medical Agency (EMA) e nel 2014 dalla Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento della MC dopo fallimento della chirurgia ipofisaria o in pazienti non candidati alla terapia chirurgica ipofisaria e che necessitano di terapia medica. È disponibile in formulazione iniettabile sottocute in duplice somministrazione giornaliera. Lo studio clinico di fase III ha dimostrato che il PAS sottocute a dosi di 1200–1800 μg/die normalizzava i livelli medi di cortisolo libero urinario/24h (CLU) dopo 6 mesi di trattamento nel 15 e 26% dei pazienti trattati, rispettivamente [2, 69]. Lo studio clinico di fase III ha dimostrato che il PAS a lento rilascio (LAR) con formulazione iniettiva intramuscolo a dosi di 10 o 30 mg al mese normalizzava i livelli medi di CLU dopo 7 mesi di trattamento nel 41,9 e 40,8% dei pazienti trattati, rispettivamente [2]. La riduzione del cortisolo sembrava accompagnarsi a un miglioramento del quadro clinico, dei livelli pressori, del profilo metabolico, nonché della qualità della vita (QoL). Inoltre, il PAS si è dimostrato efficace nel ridurre il volume del tumore ipofisario nel 37,7–100% dei casi dopo 6–12 mesi di terapia [7, 10]. Il principale e più frequente effetto collaterale del PAS è l’iperglicemia, osservata in 73–76,7% dei casi, che merita un attento monitoraggio e un tempestivo trattamento; tra gli altri effetti collaterali riportati vanno principalmente annoverati anche disturbi gastrointestinali, quali diarrea, nausea e dolori addominali, colelitiasi, aumento transitorio degli indici epatici, cefalea, astenia, ipocortisolismo e allungamento del QT [9].

La carbergolina (CAB) è un agonista dopaminergico con alta affinità per il recettore DRD2. Il suo utilizzo è off-label nel trattamento della MC. È somministrata per via orale. In accordo a una recente metanalisi, che include sei studi pubblicati dal 2009 al 2017, la CAB normalizza i livelli medi di CLU a dosi 0,5–7 mg/week dopo 1–105 mesi di trattamento nel 34% (20–40%) dei pazienti trattati [11, 12]. La riduzione del cortisolo sembra accompagnarsi a un miglioramento dei livelli pressori e del metabolismo glucidico. Inoltre, il trattamento con CAB si è dimostrato efficace nel ridurre il volume del tumore ipofisario in circa il 50% dei casi [2, 3, 13]. La CAB ha un buon profilo di sicurezza; i principali effetti collaterali più frequentemente riportati sono ipotensione arteriosa, astenia, spossatezza e nausea.

Tra i farmaci ad azione centrale, vanno annoverati anche farmaci utilizzati in particolari condizioni cliniche quali i tumori ipofisari aggressivi non responsivi alle terapie mediche di prima linea.

L’agente alchilante temozolomide, regolatore negativo dell’enzima O-6-metilguanina DNA metiltransferasi (MGMT), coinvolto nella riparazione del DNA, trova indicazione per via orale nei casi di tumore ipofisario aggressivo non responsivo a terapie convenzionali o di carcinoma ipofisario [2]. Il temozolomide è in grado di controllare la crescita tumorale nel 70% dei pazienti con tumore ipofisario aggressivo. I principali effetti collaterali riportati sono lo sviluppo di citopenie, fatica, nausea e vomito [2].

In pazienti con tumori ipofisari aggressivi in peggioramento dopo l’intervento chirurgico e terapia radiante, è attualmente in valutazione l’efficacia dell’inibitore dell’antigene linfocitario T citotossico 4 (CTLA-4) ipilimumab e della proteina checkpoint che regola la morte cellulare programmata (PD-1) nivolumab in uno studio di fase II (clinicaltrials.gov NCT04042753). In un caso di tumore ipofisario corticotropo aggressivo con mancata responsività al temozolomide, anche in associazione a capecitabine, la terapia con ipilimumab e nivolumab off-label ha indotto regressione del tumore sellare del 59% e riduzione dei livelli di ACTH del 90% [14].

Terapie farmacologiche ad azione periferica

Gli inibitori della steroidogenesi surrenalica bloccano uno o più enzimi della via biosintetica degli steroidi riducendo, quindi, direttamente la secrezione di cortisolo. Tra gli inibitori della steroidogenesi surrenalica storicamente disponibili, nonché approvati dall’EMA per il trattamento della SC, ad uso orale, vanno annoverati il ketoconazolo, agente imidazolico antifungino inibitore di diversi enzimi, tra cui la 20,22 desmolasi, la 17\(\alpha \)-idrossilasi, la 11\(\beta \)-idrossilasi e la 18-idrossilasi, e il metirapone, derivato piridinico inibitore prevalentemente della 11\(\beta \)-idrossilasi ma anche della 18-idrossilasi. Il ketoconazolo a dosi di 200–1200 mg/die normalizza i livelli medi di CLU nel 64,3% (44,7–92,9%) dei pazienti trattati. La riduzione del cortisolo sembra accompagnarsi a un miglioramento del quadro clinico, dei livelli pressori, del profilo metabolico, irsutismo e cicli mestruali nelle donne, miopatia, stato osseo e sintomi psichiatrici. Il principale e più frequente effetto collaterale del ketoconazolo è l’epatotossicità, osservata in 10,7–18,7% dei casi, che merita un attento monitoraggio e un tempestivo trattamento; tra gli altri effetti collaterali riportati vanno principalmente annoverati anche disturbi gastrointestinali, ipocortisolismo, rush cutanei, ginecomastia nei maschi, potenziale segno di ipogonadismo [9]. Il metirapone a dosi di 500–6000 mg/die normalizza i livelli medi di CLU nel 43–71% dei pazienti trattati. La riduzione del cortisolo sembra accompagnarsi a un miglioramento del quadro clinico, dei livelli pressori, del profilo metabolico, miopatia e sintomi psichiatrici. Il principale e più frequente effetto collaterale del metirapone è l’iperandrogenismo nelle donne, osservato in 4,5–71,4% dei casi, vertigini, ipocortisolismo, nausea, artralgia, edema e ipokaliemia [9].

Il levoketoconazolo, stereoisomero cis-2S,4R del ketoconazolo racemico, è un nuovo inibitore orale della steroidogenesi surrenalica con un’attività inibitoria enzimatica simile al ketoconazolo con azione sulla 20,22 desmolasi, 17\(\alpha \)-idrossilasi, 21-idrossilasi, 11\(\beta \)-idrossilasi e 18-idrossilasi, approvato dall’FDA per il trattamento della SC dopo fallimento chirurgico o in pazienti non candidati alla terapia chirurgica [9, 15]. Come riportato in alcuni modelli sperimentali, il levoketoconazolo ha mostrato una maggiore attività inibitoria degli enzimi della steroidogenesi surrenalica e una minore attività verso l’inibizione degli enzimi epatici rispetto al ketoconazolo, con un buon profilo di sicurezza e una minore epatotossicità [15]. Uno studio in vitro, condotto su una linea cellulare di carcinoma surrenalico umano, HAC15, ha dimostrato che il levoketoconazolo è più potente del ketoconazolo nell’inibire la sintesi di cortisolo [16]. Il levoketoconazolo, a dosi di 300–1200 mg/die, normalizza i livelli medi di CLU nel 30,8–36,2% dei pazienti trattati alla fine della fase di mantenimento di 6 mesi di trattamento. La riduzione del cortisolo sembra accompagnarsi a un miglioramento del quadro clinico, del profilo metabolico, dell’irsutismo, della QoL, e dello stato depressivo. Il principale e più frequente effetto collaterale del levoketoconazolo è la nausea, osservata nel 31,9% dei casi; tra gli altri effetti collaterali riportati, vanno principalmente annoverati anche cefalea, edema, aumento transitorio degli indici epatici, allungamento del QT e ipocortisolismo [17].

Di più recente commercializzazione, l’osilodrostat (LCI699), potente inibitore degli enzimi surrenalici 18-idrossilasi e 11\(\beta \)-idrossilasi, è stato ufficialmente autorizzato dall’EMA per il trattamento della SC e dalla FDA per il trattamento il trattamento della MC dopo fallimento della chirurgia ipofisaria o in pazienti non candidati alla terapia chirurgica ipofisaria. È somministrato per via orale e data la maggiore potenza e l’emivita più lunga rispetto agli inibitori storicamente disponibili ketoconazolo e metirapone, la somministrazione è bis in die.

L’osilodrostat a dosi di 4–60 mg/die normalizza i livelli medi di CLU nel 52,6–67,9% dei pazienti trattati con una risposta completa mantenuta nell’86,1% dei pazienti trattati con osilodrostat rispetto al 29,4% dei pazienti trattati con placebo. Inoltre, considerando i pazienti con tumore ipofisario misurabile, è stato osservato un aumento e una diminuzione del volume tumorale nel 30,3–37,5% e nel 28,8–32,8% dei pazienti rispettivamente dopo 24–48 settimane di trattamento con osilodrostat. La riduzione del cortisolo sembra accompagnarsi a un miglioramento dei livelli pressori, del profilo metabolico, della QoL e dello stato depressivo. Il principale e più frequente effetto collaterale dell’osilodrostat è la nausea, osservata nel 41,6% dei casi, tra gli altri effetti collaterali riportati vanno principalmente annoverati anche cefalea, astenia, acne, irsutismo e ipertricosi nelle donne, ipocortisolismo, ipokaliemia, ipertensione arteriosa, e allungamento del QT [18].

Tra i farmaci ad azione periferica, vanno annoverati anche farmaci utilizzati in particolari condizioni cliniche, quali l’ipercortisolismo severo in contesti ospedalieri e il carcinoma surrenalico.

L’etomidato, sedativo somministrato per via endovenosa e limitato alle unità di terapia intensiva, inibisce la 11\(\beta \)-idrossilasi, la 17\(\alpha \)-idrossilasi e, in misura minore, la 20,22-desmolasi con utilizzo off-label per il trattamento della SC severa; il mitotano, analogo dell’insetticida diclorodifeniltricloetano, inibitore della steroidogenesi surrenalica con azione su 20,22-desmolasi, 11\(\beta \)-idrossilasi, 18-idrossilasi e 3\(\beta \)-idrossisteroide deidrogenasi, è indicato come terapia adiuvante nel carcinoma corticosurrenalico [2].

La Fig. 2 riporta le specifiche vie di inibizione dei vari inibitori della steroidogenesi surrenalica disponibili e in sperimentazione.

Fig. 2
figure 2

Specifiche vie di inibizione dei vari inibitori della steroidogenesi surrenalica disponibili e in sperimentazione. 3\(\beta\)-HSD, 3\(\beta \)-idrossisteroide deidrogenasi; 21-OH, 21-idrossilasi; 11\(\beta\)-OH, 11\(\beta \)-idrossilasi; 18-OH, 18-idrossilasi; 17\(\alpha\)-OH, 17\(\alpha \)-idrossilasi; 17\(\alpha\)-OH, Pregnenolone (17\(\alpha \)-idrossipregnenolone); 17\(\alpha\)-OH, Progesterone (17\(\alpha \)-idrossiprogesterone); DHEA, deidroepiandrosterone. Immagine creata con BioRender.com

Antagonisti del recettore dei glucocorticoidi

Gli antagonisti del GR agiscono compromettendo il legame cortisolo-GR, quindi non mirano a normalizzare la secrezione di cortisolo ma a bloccare i suoi effetti periferici. Il mifepristone, antagonista del recettore progestinico che a dosi elevate blocca i GR, approvato dall’FDA per il trattamento della SC con diabete mellito di tipo 2 o intolleranza al glucosio che hanno fallito la chirurgia o che non sono candidabili ad essa [9]. Il mifepristone, somministrato per via orale a dosi di 300–1200 mg/die induce un miglioramento clinico nel 38,1–60% dei pazienti, in termini di profilo pressorio e metabolismo glucidico, rispettivamente e nell’87% dei pazienti induce un miglioramento del profilo metabolico. I principali e più frequenti effetti collaterali del mifepristone sono la nausea e l’astenia osservata nel 48% dei casi; tra gli altri effetti collaterali riportati vanno principalmente annoverati anche cefalea, ipokaliemia, edema, ipertensione, ispessimento endometriale e anomalo sanguinamento uterino [19].

Prospettive future della terapia medica nella Sindrome di Cushing

Negli ultimi anni nuove molecole sono state oggetto di studi preclinici e clinici al fine di individuare nuovi possibili target terapeutici che inibiscano le vie di segnale intracellulare coinvolte nell’ipersecrezione di ACTH e cortisolo o impediscano l’azione del cortisolo nei tessuti bersaglio periferici.

Terapie farmacologiche sperimentali ad azione centrale

Ligandi chimerici somatostatina-dopamina

Sulla base dell’espressione recettoriale dei tumori ipofisari sono stati sviluppati ligandi chimerici SS-dopamina con un’elevata affinità di legame con SSTR2, SSTR5 e DRD2. Il ligando chimerico di prima generazione, BIM-23A760, ha dimostrato la sua efficacia nell’inibire la secrezione di ACTH stimolata dal CRH dopo solo 4 ore di trattamento in colture primarie umane di adenoma ipofisario corticotropo [2]. Purtroppo, in uno studio di fase IIb è emerso che il BIM-23A760 in vivo produce un metabolita con potente attività dopaminergica che, accumulandosi in circolo, interferisce e compromette la stessa attività del BIM-23A760; pertanto, la sperimentazione sta proseguendo cambiando la struttura della molecola [20]. Sulla base di queste evidenze, è stato sviluppato un ligando chimerico di nuova generazione, BIM-065, con maggiore potenza, efficacia e sicurezza. Un recente studio ha dimostrato che il BIM-065 è in grado di ridurre la secrezione di ACTH, la vitalità cellullare e indurre apoptosi in colture primarie umane di adenoma ipofisario corticotropo e nel modello murino di cellule corticotrope, AtT20 [21]. Questi dati suggeriscono che i ligandi chimerici potrebbero rappresentare un nuovo approccio terapeutico, sebbene ulteriori studi siano necessari al fine di ottenere composti efficaci e sicuri che, pur mantenendo potenti attività inibitorie, non generino metaboliti interferenti.

Acido retinoico

L’acido retinoico (AR) è un prodotto del metabolismo del retinolo, ligando naturale del suo recettore RAR e del recettore del retinoide X (RXR), appartenente alla superfamiglia dei recettori ormonali/nucleari degli steroidi comprendenti diversi recettori idrofobici con cui spesso RAR eterodimerizza, che sono presenti nell’ipotalamo e nell’ipofisi, dove modulano l’attivazione del GR. Studi in vitro sul modello murino di cellule corticotrope, AtT20, hanno dimostrato che AR inibisce: 1) la trascrizione della POMC e la secrezione di ACTH modulando fattori di trascrizione come la proteina attivatrice 1 (AP-1) e i recettori nucleari Nur77/Nurr1; e 2) la proliferazione cellulare attraverso l’induzione della proteina morfogenica ossea 4 (BMP-4) e l’attivazione della proteina pro-apoptotica caspasi 3. Studi in vivo su modelli murini e canini hanno osservato che l’AR è in grado di ridurre la secrezione di ACTH e cortisolo, e il rapporto cortisolo/creatinina urinario, rispettivamente; mentre una riduzione delle dimensioni del tumore è stata osservata in entrambi i modelli. In uno studio prospettico, multicentrico, l’AR ha normalizzato il CLU nel 25–43% dei pazienti con MC a 6 e 12 mesi di trattamento con una dose orale iniziale di 10 mg, fino a 80 mg, una volta al giorno con un significativo miglioramento della pressione arteriosa, della glicemia, dell’emoglobina glicosilata, peso corporeo, e circonferenza vita [3, 22].

Gefitinib e vemurafenib

L’ubiquitinazione è un processo post-traduzionale reversibile durante il quale le molecole di ubiquitina (Ub) legano le proteine che, una volta ubiquitinate, vengono indirizzate alla degradazione lisosomiale. Gli enzimi deubiquitinasi (DUB), al contrario, possono rimuovere le molecole di Ub coniugate evitando, in questo modo, che le proteine vadano incontro al processo di degradazione. La deubiquitinasi USP8 ha come bersaglio diverse proteine e la sua attività è regolata dalla fosforilazione e dall’associazione con la proteina 14-3-3 in specifiche sequenze. Uno dei bersagli di USP8 è il recettore per il fattore di crescita epidermico (EGFR), altamente espresso nei tumori corticotropi. L’attivazione dell’EGFR da parte del ligando EGF induce l’espressione della POMC e secrezione di ACTH, come dimostrato in esperimenti in vitro in modelli canini e murini e in colture primarie di tumori corticotropi umani. Il 35–62% dei tumori ipofisari corticotropi presenta mutazioni somatiche del gene USP8. Tali mutazioni, che codificano per i siti di fosforilazione e di legame della proteina, si riscontrano principalmente nell’esone 14 e il 77,6% di queste in Ser718 e Pro720 [23]. USP8 mutata non è più in grado di legarsi alla proteina 14-3-3. La compromissione di tale legame si traduce in una maggiore deubiquitinazione dell’EGFR con conseguente iperespressione a livello della membrana plasmatica e iperattivazione del segnale intracellulare che induce un aumento dell’attività delle proteine mitogen-activated protein kinase (MAPK), trascrizione della POMC e successiva produzione di ACTH [3, 24]. L’esposizione a gefitinib, inibitore della tirosin-chinasi EGFR, in modelli murini atimici xenotrapiantati con cellule di adenoma corticotropo, AtT20, è in grado di bloccare gli effetti indotti dall’EGF sull’espressione della POMC e sulla secrezione di ACTH e corticosterone, e di ridurre le dimensioni del tumore [2, 25].

Recenti studi, inoltre, hanno dimostrato l’esistenza di mutazioni somatiche nei geni dell’ubiquitina proteasi 48 (USP48) e della B-Raf serin/treonin proteina chinasi (BRAF) in presenza del fenotipo wild-type USP8 in pazienti con MC. In dettaglio, il gene USP48 codifica una proteina deubiquitinante, che agisce attivando il fattore nucleare kappa-light-chain-enhancer delle cellule B attivate (NF-\(\kappa\!\)B) il quale si lega direttamente al promotore della POMC bloccandone la trascrizione con conseguente riduzione dei livelli di ACTH. Le mutazioni puntiformi missenso gain-of-function più frequenti a carico del gene USP48 sono la M415I e la M415V. Tali mutazioni inibiscono l’attività di NF-\(\kappa\!\)B causando iperespressione della POMC rispetto al fenotipo USP48 wild-type.

Il gene BRAF viene definito un gene hotspot in quanto risulta mutato in molti tipi di cancro, tra cui il melanoma e il craniofaringioma. La mutazione più frequente in BRAF, la V600E, causa un’attivazione costitutiva della chinasi BRAF, dell’attività delle MAPK cAMP-dipendente e dell’attivazione di diversi regolatori di trascrizione, quali Nur77, c-jun, and c-fos, con conseguente aumento della trascrizione della POMC e secrezione di ACTH. Studi in vitro in un modello murino di cellule corticotrope, AtT20, con mutazione V600E in BRAF hanno dimostrato che il trattamento con vemurafenib anche a basse dosi è sufficiente a riduzione la secrezione di ACTH rispetto al fenotipo BRAF wild-type. Queste evidenze suggeriscono il possibile uso del vemurafenib nel trattamento della MC in presenza di una mutazione missenso in BRAF.

A differenza delle mutazioni USP8, quella identifica in BRAF V600E e USP48 M415I e la M415V non sono state individuate in altri tipi di tumori ipofisari [26].

Roscovitina

Le chinasi dipendenti dalla ciclina CDK sono delle serin/treonin protein chinasi che permettono una normale progressione del ciclo cellulare mediante una sequenziale attivazione/inattivazione delle CDK. Le CDK legano specifiche subunità regolatrici, dette cicline, creando quindi complessi regolatori CDK/cicline attivi [9]. I complessi CDK/cicline hanno un ruolo importante nella progressione del ciclo cellulare in quanto regolano il passaggio da una fase all’altra del ciclo cellulare; in particolar modo, regolano le fasi di proliferazione, differenziamento e senescenza cellulare. Per questo motivo i complessi CDK/ciclina, sono stati considerati potenziali bersagli per il trattamento di diverse patologie tumorali per le quali sono stati sviluppati inibitori delle CDK. Tra di essi, la roscovitina, o seliciclib, è un agente antitumorale orale, inibitore di seconda-generazione del complesso CDK2/ciclina E [9], il cui utilizzo in vitro in colture primarie umane di tumore corticotropo ha dimostrato inibire la trascrizione della POMC con conseguente ridotta espressione di ACTH [27]. Inoltre, in modelli di zebrafish la roscovitina è risultata efficace nell’inibire la crescita delle cellule corticotrope che iperesprimevano il gene trasformante tumore ipofisario (PTTG), in grado di sviluppare processi neoplastici con parziale resistenza ai GC; mentre in topi nudi xenotrapiantati con cellule murine corticotrope, AtT20, la roscovitina è risultata efficace nel ridurre l’espressione di ACTH, la concentrazione sierica di corticosterone e la crescita tumorale [28].

Attualmente non sono riportati i risultati degli studi clinici di fase II (clinicaltrials.gov NCT02160730, esplorativo, e NCT03774446, multicentrico) mirati a valutare l’efficacia della somministrazione orale di seliciclib bis in die per 4 giorni ogni settimana per un totale di 4 settimane, nel normalizzare il CLU in pazienti con MC, di nuova diagnosi, persistente o ricorrente.

Silibinina

I GC sono noti per sopprimere la trascrizione della POMC e la secrezione di ACTH. La Heat Shock Protein 90 (HSP90) è essenziale per il corretto legame ligando-GR. I tumori ipofisari corticotropi iperesprimono HSP90 rispetto all’ipofisi sana. L’eccessiva espressione e il continuo legame di HSP90 ai GR inibisce l’attività trascrizionale dei GC riducendone il legame al DNA, con conseguente parziale resistenza ai GC dei tumori corticotropi. Pertanto, gli inibitori di HSP90, impedendo il legame HSP90-GR, ripristinano la sensibilità ai GC. La silibinina (Legalon), composto ottenuto dalla pianta del cardo mariano (Silybum marianum), è un inibitore C-terminale di HSP90 con un buon profilo di sicurezza [2, 3]. Diversi studi hanno dimostrato che gli inibitori di HSP90 sopprimono l’espressione della POMC, la secrezione di ACTH, e la proliferazione cellulare in modelli in vitro e in vivo di MC. Inoltre, la silibinina è in grado di ridurre il volume tumorale, le concentrazioni plasmatiche di ACTH e corticosterone, e migliorare i segni clinici dell’ipercortisolismo in un modello murino [29, 30]. Sebbene i risultati ottenuti siano promettenti, ad oggi non ci sono studi clinici per valutare l’efficacia di questo farmaco in soggetti affetti da MC.

ALD1613

L’ACTH può essere considerato uno degli attori principali nella MC, in quanto regola la secrezione surrenalica dei GC. Bloccare l’azione dell’ACTH è proprio il ruolo che svolge l’anticorpo monoclonale neutralizzante ad alta affinità per l’ACTH, ALD1613. Questo farmaco è in grado di bloccare l’azione dell’ACTH attraverso il legame ai cinque recettori della melancortina, inibire l’accumulo di adenosina monofosfato ciclico (cAMP) indotto dall’ACTH nel modello murino di cellule corticotrope, AtT20, ridurre in maniera dose-dipendente i livelli plasmatici di corticosterone in un modello murino, e ridurre stabilmente i livelli di cortisolo in primati non umani (scimmie Cynomolgus). I risultati di questo studio potrebbero porre le basi per ulteriori studi nella valutazione dell’efficacia dell’anticorpo monoclonale nel trattamento della SC [2, 31].

Nelivaptan

Il recettore dell’arginina-vasopressina (AVPr) di tipo 3, noto come AVPr1b, è altamente espresso nei tumori corticotropi e media la risposta della secrezione di ACTH alla desmopressina, analogo del neuropeptide endogeno arginina-vasopressina (AVP). Il nelivaptan o antagonista del AVPr1b agisce bloccando la secrezione di ACTH indotta dalla desmopressina in colture primarie umane di adenoma corticotropo, suggerendo che gli antagonisti dell’AVPr1b sono potenziali strumenti terapeutici per il trattamento della MC [2, 32]. Sebbene questo farmaco sia stato studiato in diversi clinical trial nel trattamento della depressione o altre condizioni cliniche legate allo stress mostrando un buona efficacia e tollerabilità [33], ad oggi non ci sono studi clinici in atto che valutino il suo effetto nel trattamento della MC.

Terapie sperimentali ad azione diretta al surrene

Nevanimibe, o ATR-101, è un nuovo farmaco orale ad azione diretta al surrene per il trattamento della SC, del carcinoma corticosurrenalico e dell’iperplasia surrenalica congenita. A differenza degli altri farmaci disponibili ad azione diretta sul surrene, ATR-101 esercita la sua azione sull’enzima transmembrana colesterolo aciltransferasi 1 (ACAT1), coinvolto nel metabolismo del colesterolo. ACAT1 catalizza la sintesi degli esteri del colesterolo dal colesterolo libero e dagli acidi grassi, proteggendo le cellule dalla tossicità degli eccessivi livelli intracellulari di colesterolo libero e inducendo lo stoccaggio dei prodotti degli esteri del colesterolo in specifiche gocce citosoliche. L’inibizione di questo enzima porta a una diminuzione della formazione di steroidi surrenalici e, a dosi più elevate, provoca un accumulo di colesterolo libero che porta a stress delle cellule surrenali e all’apoptosi [34]. Studi in vitro su linee cellulari surrenaliche e in vivo su un modello canino hanno dimostrato che l’ATR-101 induce degenerazione e/o necrosi nella zona fascicolata e reticolare del surrene, con conseguente IS. La degenerazione/necrosi sembra essere associata a una diminuzione del numero di mitocondri associata a un aumento delle specie reattive dell’ossigeno e riduzione dei livelli di adenosina trifosfato (ATP), e a un aumento della dimensione dei lisosomi, degli autolisosomi e delle goccioline lipidiche [3, 9]. Studi su modelli animali con SC e MC hanno dimostrato una significativa riduzione dei livelli di cortisolo stimolati dall’ACTH dopo trattamento con ATR-101.

Gli eventi avversi più comunemente registrati sono: vomito, diarrea, aumento dei livelli di ALT, dei livelli di fosfatasi alcalina (ALP), una lieve diminuzione dell’ematocrito e dell’albumina sierica che, tuttavia, sono rimasti nel range di normalità per tutta la durata dello studio.

Uno studio clinico di fase I multicentrico (clinicaltrials.gov: NCT01898715) in adulti con carcinoma corticosurrenalico in stadio avanzato in cui la chirurgia era stata fallimentare, e/o la chemioterapia e la terapia medica con mitotano erano state rifiutate o fallimentare, ha valutato la sicurezza e la farmacocinetica di ATR-101. Questo studio non ha mostrato i risultati attesi, in quanto circa il 50% dei pazienti arruolati ha mostrato una progressione della malattia, mentre sul profilo della sicurezza sono stati evidenziati disturbi gastrointestinali causati da un dosaggio troppo elevato (24 compresse/giorno).

Non sono attualmente disponibili dati sul trattamento con ATR-101 in pazienti con MC o SC. Nel 2017 uno studio di fase II, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, multicentrico (clinicaltrials.gov: NCT03053271) è stato condotto per valutare l’efficacia e la sicurezza del trattamento con ATR-101 in pazienti con SC. Lo studio è stato chiuso nell’agosto 2019 a causa del lento arruolamento. Non sono attualmente disponibili risultati preliminari, né definitivi, pertanto non è possibile trarre suggerimenti sul suo utilizzo in ambito clinico.

Antagonisti del recettore dei glucocorticoidi

Relacorilant (CORT125134) è un antagonista selettivo del GR che a differenza del mifeprisptone non lega il recettore del progesterone.

Lo studio clinico di fase II (clinicaltirlas.gov NCT02804750) ha valutato l’efficacia e la sicurezza di relacorilant in pazienti con SC divisi in due gruppi. A un gruppo è stato somministrato il farmaco a basso dosaggio (100–200 mg/die) per 12 settimane e all’altro il farmaco a elevato dosaggio (250–400 mg/die) per 16 settimane, con aumento delle dosi di 50 mg ogni 4 settimane. Il gruppo trattato con elevato dosaggio ha mostrato una risposta migliore rispetto al gruppo trattato a basso dosaggio. In particolare, il 63,3 e il 50% dei pazienti mostrava rispettivamente una riduzione della pressione sanguigna sistolica e diastolica e un miglioramento dell’iperglicemia, rispetto al 41,7 e 15,4% osservato nel gruppo a basso dosaggio. Attualmente è in corso uno studio clinico di fase III, lo studio GRACE, multicentrico, in doppio cieco, controllato con placebo, randomizzato (clinicaltrials.gov: NCT03697109), per valutare l’efficacia e la sicurezza del trattamento con relacorilant in pazienti con SC per un periodo di 38 settimane [9]. Relacorilant è rapidamente assorbito e ha un’emivita di circa 12–14 ore. Il farmaco ha mostrato un buon profilo di sicurezza, e gli eventi avversi più comuni sono stati disturbi muscolo-scheletrici e gastrointestinali [9].

Conclusioni

Ad oggi la terapia di prima linea della SC è chirurgica; tuttavia, la terapia medica ha acquisito un ruolo fondamentale. Attualmente disponiamo, infatti, di diversi farmaci caratterizzati da diversi meccanismi di azione e target con indicazione per il trattamento della SC e numerose molecole sono in fase di sperimentazione. Le terapie attualmente disponibili possono essere utilizzate singolarmente o in combinazione. La terapia medica ha acquisito un importante ruolo in diversi step del trattamento della SC: prima della chirurgia come trattamento preoperatorio, specialmente in pazienti con ipercortisolismo severo; come trattamento postoperatorio in pazienti con ipercortisolismo persistente o ricorrente; come trattamento “ponte” in attesa della efficacia della radioterapia in caso di MC o come terapia di prima linea in caso di mancata indicazione o controindicazione/rifiuto alla chirurgia. L’ampio numero di farmaci disponibili e di nuove terapie sperimentali hanno permesso di ottenere un ampio ventaglio di opzioni terapeutiche, con l’obiettivo di personalizzare la terapia su ciascun paziente, rendendo il trattamento della SC una vera e propria sfida per l’endocrinologo.