Sommario
L’obesità è una malattia metabolica cronica associata a diverse complicanze. Alla base non vi è solo l’alimentazione, poiché il bilancio energetico è regolato da interazioni tra fattori genetici, comportamentali e ambientali. Gli studi di associazione sul genoma identificano diversi geni legati all’obesità, suggerendo nuovi orizzonti terapeutici nel genome editing: la tecnologia CRISPR/Cas9, modificando il DNA o modulando l’espressione genica nelle cellule eucariotiche, fa luce sui meccanismi genetici e potrebbe essere un valido strumento terapeutico. Questa rassegna riassume la genetica dell’obesità e i trattamenti disponibili, discutendo i progressi della ricerca sul genome editing nella conoscenza e terapia dell’eccesso di grasso corporeo.
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Introduzione
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito l’obesità come “l’epidemia del ventunesimo secolo”, dato che la sua prevalenza è in costante aumento negli ultimi decenni in tutto il mondo, con conseguente elevata morbilità e mortalità [1]. Definita come una condizione di eccesso di grasso corporeo che porta a una morbilità significativa [2], l’obesità è una malattia metabolica cronica associata a un numero significativo di complicanze. Molte strategie sono state proposte per il trattamento dell’eccesso di peso, dalla dieta all’attività fisica fino ai trattamenti farmacologici e alla chirurgia bariatrica nei casi più gravi. L’incidenza dell’obesità non dipende solo dalle abitudini alimentari; infatti, il bilancio energetico è regolato dalle complesse interazioni tra fattori genetici, comportamentali e ambientali [3].
Di recente, gli studi di associazione sul genoma (GWAS) hanno dimostrato che diversi geni sono legati all’obesità e questi risultati fanno luce su un numero crescente di nuove potenziali terapie per la gestione del peso, compreso l’editing genomico. A questo proposito, la tecnologia molecolare nota come clustered regularly interspaced palindromic repeats (CRISPR)/CRISPR-associated protein (Cas), grazie alla sua capacità di modificare il DNA o modulare l’espressione genica nelle cellule eucariotiche, rappresenta senza dubbio una valida tecnologia per comprendere i meccanismi genetici implicati nell’obesità e potrebbe essere un promettente strumento per il suo trattamento [4].
Questa Rassegna tratta sinteticamente le forme mono e poligeniche dell’obesità, discutendo ulteriormente i progressi della ricerca dell’editing del genoma nel trattamento delle malattie metaboliche, come l’obesità.
La genetica alla base dell’obesità
L’obesità è una patologia multifattoriale e i tratti ereditabili e la genetica hanno un impatto indiscutibile sulla sua epidemiologia. Infatti, è stato riportato che i fattori genetici contribuiscono fino al 25% nella determinazione anche delle espressioni più comuni dell’obesità.
A questo proposito, solo un piccolo numero di pazienti presenta forme monogeniche di obesità (5%), derivanti da mutazioni di geni specifici. D’altra parte, le forme poligeniche di obesità, definite anche come obesità comune, rappresentano un gruppo eterogeneo di disturbi che descrivono con precisione la complessa interazione tra fattori genetici e ambientali. Da notare che diverse malattie genetiche condividono l’obesità tra le loro caratteristiche cliniche, anche se non saranno discusse in questo lavoro.
Le forme monogeniche di obesità
Le forme monogeniche di obesità sono generalmente più gravi, con un tipico esordio giovanile, e mostrano un’ereditarietà mendeliana autosomica o recessiva [5]. Alla fine degli anni ’90, gli studi molecolari condotti in modelli di topo \(ob\)/\(ob\) e \(db\)/\(db\), che presentano una mutazione omozigote nel gene che codifica per la leptina (LEP) e per il suo recettore (LEPR), rispettivamente, hanno permesso di ottenere nuove conoscenze sulla regolazione del bilancio energetico. All’assunzione di cibo, l’aumento dei livelli circolanti di leptina prodotta dagli adipociti stimola la produzione di proopiomelanocortina (POMC) nel nucleo arcuato dell’ipotalamo. POMC viene successivamente elaborata dalla proprotein convertase subtilisin/kexin tipo 1 (PCSK1) in peptidi melanocortinici come l’ormone stimolante i melanociti \(\alpha \) e \(\beta \) (\(\alpha \)-MSH e \(\beta \)-MSH) che, a loro volta, possono legare e di conseguenza inattivare il recettore della melanocortina 4 (MC4R), riducendo così l’assunzione di cibo [6].
Le forme monogeniche di obesità sono dovute a singole mutazioni che generalmente coinvolgono geni che codificano per molecole di regolazione dell’appetito, tra cui LEP, LEPR, POMC, MC4R, PCSK1 e Sarcoma homology 2 B adaptor protein 1 (SH2B1) (Tabella 1). I più rilevanti sono qui di seguito presentati:
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LEP/LEPR: la leptina deriva dal gene LEP che trascrive un peptide di 167 aminoacidi con un peso molecolare di 16kD. La sequenza del gene LEP è altamente conservata tra i mammiferi. Il deficit congenito di LEP, derivante da una mutazione omozigote frameshift e missenso nel gene \(ob\), è caratterizzato da obesità grave e precoce, iperfagia, iperinsulinemia, età ossea avanzata e anomalie del numero e della funzione delle cellule T associate ad alti tassi di infezione infantile. Un fenotipo simile può essere osservato anche nei bambini che soffrono di deficit di LEPR. Questa condizione è causata da una mutazione omozigote che tronca il recettore prima del dominio transmembrana, dando luogo a una molecola circolante aberrante costituita da LEP e LEPR legati insieme;
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POMC: al contrario, il gene POMC può essere interessato da una vasta gamma di alterazioni, tra cui omozigoti o eterozigoti composti missense, sito di scissione e mutazioni complete di perdita di funzione. L’esordio è spesso precoce e non si limita all’eccesso di peso: i pazienti con deficit di POMC presentano crisi ipoglicemiche, iperbilirubinemia e colestasi secondaria alla carenza isolata di corticotropina (ACTH) e, di conseguenza, ipocortisolismo congenito nel periodo neonatale;
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MC4R: la causa monogenica più comune dell’obesità è senza dubbio rappresentata da una mutazione eterozigote nel gene MC4R, che segue un’ereditarietà di tipo dominante. La sua prevalenza è stata stimata intorno al 3–6% dell’intera popolazione [5], mentre la sua penetranza è spesso pari al 100%. I pazienti omozigoti MC4R mostrano una forma più grave di obesità rispetto agli eterozigoti, che possono essere in alcuni casi normali o in sovrappeso. Per questo motivo, molti autori hanno ipotizzato un modello genetico caratterizzato dalla “co-dominanza”, con più geni che modulano l’espressione e la penetranza del fenotipo. A differenza di quanto si osserva nel deficit congenito di LEP, i soggetti con mutazioni di MC4R mostrano un aumento della massa magra, una crescita lineare accelerata, una precoce iperinsulinemia e una minore iperfagia. La malattia tende, inoltre, ad essere più lieve negli adulti che nei pazienti pediatrici. È interessante notare che la gravità della disfunzione MC4R, come osservato nei test in vitro, è direttamente correlata all’assunzione di cibo dei pazienti e, successivamente, al grado di obesità [5];
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PCSK1: ad oggi, sono state descritte solo mutazioni eterozigoti di PCSK1. La carenza dell’enzima risultante causa una scissione inefficace sia di POMC che del glucagon like peptide-1 (GLP-1), portando così a una grave obesità associata ad alti livelli di pro-insulina, ipocortisolemia ed elevate concentrazioni di POMC;
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SH2B1: SH2B1 appartiene a una famiglia di proteine implicate nella segnalazione a valle di una varietà di recettori tirosin-chinasici come i recettori di leptina, insulina, GH e IGF-1. La sua carenza è stata ricondotta ad almeno 7 mutazioni che interessano le code C-terminali delle quattro isoforme SH2B1. Da notare che queste mutazioni (sia omozigote che eterozigote) sono state identificate in pazienti obesi gravi e precoci, suggerendo un potenziale ruolo patogenetico [7];
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NTRK2: le mutazioni nei geni che codificano per proteine con un’attività prevalentemente neuronale sono state anch’esse associate a grave obesità infantile e ritardo nello sviluppo. Per esempio, una delezione o una mutazione eterozigote missense che si verifica per il recettore delle neurotrofine TrkB (NTRK2) o nel suo ligando naturale, il fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF), può essere responsabile di una grave obesità precoce e di un’alterata regolazione dell’assunzione di cibo, sottolineando l’importanza della plasticità neuronale nell’ipotalamo per il mantenimento di un corretto comportamento alimentare e della stabilità del peso corporeo [8].
Il grande vantaggio di identificare mutazioni specifiche che inducono l’obesità risiede principalmente nel fatto che apre la possibilità di terapie altamente individualizzate, in grado di trattare la patologia. A questo proposito, iniezioni sottocutanee di terapia sostitutiva con leptina ricombinante (metreleptina) hanno mostrato significativi benefici in bambini affetti da deficit congenito di leptina [9]. Allo stesso modo, risultati incoraggianti sono stati osservati anche per quanto riguarda la sua applicazione in pazienti affetti da lipodistrofie familiari [10].
Un altro approccio promettente è ora rappresentato dalla setmelanotide, un agonista MC4R. Uno studio multicentrico di fase 3 a braccio singolo in aperto, condotto su undici soggetti con mutazioni LEPR e dieci con mutazioni POMC, ha recentemente valutato l’efficacia della somministrazione di setmelanotide, mostrando una significativa riduzione del peso corporeo (13–25%), senza effetti collaterali a parte nausea e iperpigmentazione nel gruppo POMC [7].
Nonostante questi promettenti nuovi approcci, è ancora difficile trovare una terapia efficace e completamente individualizzata, come si è visto in pazienti portatori di mutazioni eterozigoti leptina, che non mostrano riduzioni significative delle concentrazioni di leptina e, quindi, non beneficiano significativamente della somministrazione di leptina ricombinante. Per questo motivo, rimane necessario perseguire anche altre strategie di trattamento.
Le forme poligeniche di obesità
Negli ultimi anni, è stato riportato un aumento della prevalenza dell’obesità. Diversi fattori tra cui lo stato socioeconomico, l’ambiente intrauterino, la deprivazione di sonno e il microbioma gastrointestinale possono giocare un ruolo cruciale nella patogenesi di questa malattia, insieme ad altri fattori determinanti ben noti come gli interferenti endocrini, l’eccessivo apporto calorico, il dispendio energetico e la sedentarietà. Presi insieme, questi elementi suggeriscono che un ambiente obesogeno crescente può amplificare il rischio genetico ereditato per l’obesità.
Molteplici studi su gemelli e famiglie hanno cercato di stabilire l’ereditabilità dell’obesità per valutare il rischio individuale di sviluppare la malattia. A questo proposito, il Framingham Heart Study ha riportato un 40–50% di ereditabilità per l’aumento del BMI e, allo stesso modo, l’HERITAGE Family Study ha riportato un tasso di ereditabilità moderato-alto (62–63%) per il grasso corporeo. Per quanto riguarda la circonferenza vita, le stime di ereditabilità sono più eterogenee e vanno dal 37 all’81%, mentre un tasso minore (6–30%) è stato associato al rapporto vita-fianchi (WHR) [11]. Tale discrepanza potrebbe essere attribuita all’assenza di sovrapposizione tra i loci per WHR e BMI, suggerendo che la regolazione genetica della distribuzione del grasso è indipendente da quella dell’adiposità totale [12].
Come precedentemente affermato, l’obesità è un tratto complesso che il più delle volte non mostra un tipico modello di trasmissione mendeliana, poiché dipende da diversi geni di suscettibilità con effetti bassi o moderati, compresi i geni che influenzano l’omeostasi energetica e la termogenesi, l’adipogenesi, la trasduzione di leptina-insulina e di peptidi di segnalazione ormonale.
Dall’avvento degli studi GWAS nei primi anni 2000, diversi polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs) sono stati associati all’obesità, permettendo di fare progressi verso una migliore comprensione della genetica alla base dell’eccesso di grasso (Fig. 1). Nel 2007, quattro rapporti hanno collegato la presenza di SNPs nel primo introne del gene associato alla massa grassa e all’obesità (Fat mass and obesity, FTO). Ad oggi, tra i 100 diversi loci trovati legati al BMI, FTO rimane la regione genetica che mostra la più forte associazione con lo sviluppo dell’obesità [13].
Inoltre, gli studi condotti sui geni che regolano il metabolismo glico-lipidico e la termogenesi hanno rivelato che un polimorfismo specifico (Pro12Ala) nel gene peroxisome proliferative activated receptor gamma (\(\mathit{PPAR}\gamma \)) è associato a un BMI più basso e a una maggiore sensibilità all’insulina [14]. Allo stesso modo, recenti metanalisi che hanno coinvolto fino a 7000 soggetti, hanno dimostrato un’associazione significativa tra il BMI e altri due polimorfismi come lo SNP Trp64Arg nel gene del recettore \(\beta \)3-adrenergico (ADRB3) [15] e il polimorfismo di inserzione/delezione (I/D) nel gene Uncoupling protein- 2 (UCP-2) [16]. Al contrario, i risultati riguardanti l’impatto sull’obesità dello SNP 2G866A nel gene UCP-2 rimangono ancora inconcludenti [16].
Come dimostrato nell’obesità monogenica, le mutazioni MC4R rivestono un ruolo rilevante anche nelle forme poligeniche di obesità, con più di 40 mutazioni rilevate [17]. Più specificamente, il polimorfismo MC4R V103I sembrerebbe proteggere dallo sviluppo di obesità: dati ormai consolidati hanno rivelato che soggetti normopeso hanno una frequenza di tale polimorfismo pari al 3,5% circa, al contrario dei pazienti affetti da obesità che presentano una frequenza solo del 2% [17].
L’obesità poligenica, quindi, deriva dalla complessa interazione tra i geni di cui sopra e l’ambiente circostante, l’attività fisica, la dieta e il genere [18]. Da notare che i tratti legati alla distribuzione del grasso, inclusi la circonferenza vita, il rapporto vita/fianchi, anche quando corretti per BMI, mostrano un modello sessualmente dimorfico con stime di ereditabilità più elevate nelle femmine rispetto ai maschi, suggerendo così un contributo genetico di questi loci maggiore nella popolazione femminile [19].
Gli studi che indagano la relazione tra modelli alimentari e predisposizione genetica a un BMI elevato hanno dimostrato che l’associazione genetica con l’obesità era più forte tra i soggetti con una maggiore assunzione di bevande zuccherate, come riportato nel Nurses’ Health Study (NHS) e nelle coorti Health Professionals Follow-up Study (HPFS) [20].
Infine, va ricordato che la maggior parte dei GWAS, compresi quelli riguardanti la suscettibilità dell’obesità, sono stati condotti in gran parte in popolazioni europee o dell’Asia orientale, causando così una lacuna nell’epidemiologia genetica dell’obesità in altre popolazioni [21].
Strategia di trattamento per l’obesità e obiettivi terapeutici
La regolazione del peso corporeo è complessa, ed è determinata da un sottile equilibrio tra l’assunzione e la spesa di energia. Una perdita di peso iniziale del 5–10% del peso corporeo totale costituisce uno degli obiettivi principali nella terapia dei pazienti obesi, poiché ha dimostrato di migliorare la qualità della vita e ridurre il rischio di future comorbidità e di mortalità per tutte le cause [22]. Oltre alla riduzione del peso e del BMI, obiettivi di trattamento appropriati includono il miglioramento della circonferenza della vita e della composizione corporea [23]. Le opzioni terapeutiche comprendono trattamenti dietetici, terapie farmacologiche e la chirurgia bariatrica. La decisione su quale sia l’approccio migliore da adottare per trattare gli individui con sovrappeso o obesità dipende da molti fattori che comprendono lo stato di salute dei pazienti, il fabbisogno energetico giornaliero e le risorse disponibili.
Strategie emergenti per il trattamento dell’obesità
Esiste una grande necessità di nuove terapie per la perdita di peso, con una migliore efficacia e meno effetti collaterali rispetto a quanto attualmente disponibile. Si stanno valutando nuovi approcci alla perdita di peso grazie agli studi GWAS focalizzati sulla genetica dell’obesità e volti non solo a identificare ulteriori loci genetici implicati nel rischio di obesità, ma anche a individuare nuovi obiettivi terapeutici.
Tra le diverse vie metaboliche, sia nel sistema nervoso centrale (SNC) che nella periferia, l’asse leptina-melanocortina, il sistema oppioide, il sistema GLP-1/GLP-1 e l’asse FGF21/FGFR1c/b-Klotho sono i più studiati poiché svolgono un ruolo importante nella regolazione del comportamento alimentare e dell’omeostasi energetica [24].
Strumenti di editing genomico per le terapie nell’obesità
L’editing genomico basato su CRISPR è una tecnologia terapeutica promettente per la correzione di mutazioni genetiche in modelli che vanno dalle cellule in vitro agli animali in vivo, e ha recentemente trovato possibili applicazioni nel trattamento di molte malattie, tra cui l’obesità e la sindrome metabolica [25]. Quando l’assunzione di energia supera la spesa, l’eccesso di energia viene immagazzinato principalmente negli adipociti bianchi. I mammiferi hanno due tipi di tessuto adiposo: il tessuto adiposo bianco (WAT) e il tessuto adiposo bruno (BAT). Il WAT è utilizzato per l’immagazzinamento dell’energia, mentre il BAT – grazie all’espressione unica della proteina disaccoppiante 1 (UCP1) – può trasformare l’energia in calore, attraverso la termogenesi classica non-shivering [26]. Il BAT è prevalente nei neonati, rappresentando una difesa contro l’ipotermia, ma si riduce progressivamente con l’età e, nell’uomo adulto, il BAT può anche essere assente. Nell’ultimo decennio, un crescente interesse è stato rivolto al BAT, che è stato proposto come un nuovo attraente bersaglio terapeutico per trattare i disturbi metabolici [27, 28].
Le cellule umane brown-like (HUMBLE) possono essere create ingegnerizzando pre-adipociti bianchi umani usando CRISPR-Cas9- SAM-gRNA per attivare l’espressione della proteina 1 di disaccoppiamento endogena. È stato dimostrato che il trapianto di cellule HUMBLE nei topi migliora notevolmente la tolleranza al glucosio e la sensibilità all’insulina, attraverso l’attivazione del BAT endogeno murino mediato dal metabolismo dell’arginina/ossido nitrico (NO). Trattando l’obesità e i disturbi metabolici nei topi, questi risultati evidenziano il potenziale terapeutico delle cellule HUMBLE ingegnerizzate con CRISPR [29].
Inoltre, è noto che diversi geni sono associati all’obesità e, di conseguenza, un altro potenziale approccio di editing del genoma è rappresentato dal targeting CRISPR-Cas9 di loci mutati in cellule staminali pluripotenti isolate da pazienti obesi. A questo proposito, la regione della massa grassa e dell’obesità associata (FTO) è il primo locus inequivocabilmente associato all’adiposità [30]. Negli ultimi anni, è stata raggiunta una comprensione più chiara della funzione FTO e una variante a singolo nucleotide (SNV) dell’allele FTO (rs1421085 T-to-C) è stata collegata allo sviluppo dell’obesità [31]. Claussnitzer e colleghi hanno recentemente dimostrato che SNV può interrompere un motivo conservato per il repressore AT-Rich Interaction Domain 5B (ARID5B) che può, di conseguenza, determinare un aumento dell’espressione di iroquois homeobox 3 (IRX3) e iroquois homeobox 5 (IRX5) durante la differenziazione iniziale degli adipociti. Questo si traduce nella trasformazione di adipociti beige in adipociti bianchi, con una concomitante riduzione della termogenesi mitocondriale e un aumento dello stoccaggio dei lipidi. È interessante notare che, attraverso l’adozione di CRISPR/Cas9, la riparazione del motivo ARID5B negli adipociti primari può ripristinare la funzione di IRX3 e IRX5, con ripristino della termogenesi e del browning [31].
Attraverso strategie di editing del genoma, è possibile creare modelli animali che ricapitolano specifiche malattie genetiche umane, come forme monogeniche di obesità. In questo senso, il sistema CRISPR-Cas9 è stato recentemente applicato nei topi per indurre mutazioni di delezione nei geni Lep e di Lepr – che sono già stati associati all’obesità e al diabete nell’uomo – generando, così, modelli di topi obesi e diabetici. Questi modelli sono simili alle linee \(ob\)/\(ob\) e \(db\)/\(db\) esistenti che mostrano aumento di peso, steatosi epatica e iperglicemia. Rispetto a questi ultimi, i modelli knockout Lep e Lepr sono più facili da genotipizzare, il che li rende un modello attraente per la futura ricerca sui disordini metabolici [32].
Una vasta gamma di geni è stata segnalata causare malattie umane a causa di aploinsufficienza, cioè la mutazione di perdita di funzione in una copia del gene che può conseguentemente portare a quantità ridotte di proteina codificata. A questo proposito, tra le applicazioni emergenti di CRISPR-Cas9 ci sono anche nuove tecniche per trattare l’obesità causata da geni aploinsufficienti come single-minded 1 (SIM1), MC4R, PCSK1, melanocortin 2 receptor accessory protein 2 (MRAP2) nel cervello, IRX3 nel grasso o uncoupling protein 3 (UCP3) nei mitocondri [33]. Questi risultati suggeriscono che CRISPRa potrebbe essere usato come strumento per risolvere l’aploinsufficienza up-regolando l’espressione dell’allele funzionale endogeno [34].
Conclusioni
Gli studi di associazione genome-wide hanno permesso di identificare ulteriori loci genetici implicati nel rischio di predisposizione e sviluppo di obesità. Grazie a questo, è stato possibile riconoscere i tratti genetici espressi in alcune popolazioni. Ciò ha portato alla creazione di un modello di editing del genoma in grado di riparare il difetto associato all’obesità e ai disturbi metabolici. Questi approcci futuristici hanno aperto scenari entusiasmanti sulla possibilità di correggere le forme monogeniche e, ancora più importante, quelle poligeniche di obesità, che sono le più comuni e che attualmente rappresentano una problematica importante in tutto il mondo. Tuttavia, l’analisi delle evidenze rivela alcuni aspetti da indagare criticamente a partire dall’interazione popolazione-specifica e dalla mancata replica dei risultati ottenuti attraverso i GWAS. Ancora più delicata è la questione etica che potrebbe sorgere in seguito all’uso di questa tecnica genomica nelle malattie metaboliche, a differenza delle applicazioni in malattie più immediatamente letali e/o oncologiche.
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Funding
Open access funding provided by Università degli Studi di Roma La Sapienza within the CRUI-CARE Agreement.
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Conflitto di interesse
Gli autori Davide Masi, Rossella Tozzi e Mikiko Watanabe dichiarano di non avere conflitti di interesse e interessi finanziari concorrenti.
Consenso informato
Lo studio presentato in questo articolo non ha richiesto sperimentazione umana.
Studi sugli animali
Gli autori di questo articolo non hanno eseguito studi sugli animali.
Competing Interests
The authors declare no competing interests.
Additional information
Proposto da A. Faggiano.
Nota della casa editrice
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Davide Masi e Rossella Tozzi ha contribuito in egual misura alla stesura della Rassegna.
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Masi, D., Tozzi, R. & Watanabe, M. Obesità: genetica e dintorni. L'Endocrinologo 23, 561–567 (2022). https://doi.org/10.1007/s40619-022-01174-6
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