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Introduzione
Il feocromocitoma/paraganglioma (Feo/PGL) è un tumore raro (incidenza di 0,5 casi/100.000/anno) originato dalle cellule cromaffini della midollare surrenalica o da quelle dei paragangli, solitamente molto vascolarizzato e con una significativa espressione del vascular endothelial growth factor A e B (VEGF-A e VEGF-B), la cui diagnosi è stata anche associata a un aumentato rischio di sviluppare altre neoplasie [1]. In circa il 40% dei casi è individuabile una mutazione genetica familiare, in particolare dei geni responsabili della risposta cellulare all’ipossia (mutazioni inattivanti del succinate dehydrogenase complex, SDH, del Von Hippel-Lindau Tumor Suppressor gene, VHL o del prolyl hydroxylase gene, PHD; mutazioni attivanti dell’hypoxia-inducible factors, HIF) o interagenti con i pathway pro-proliferativi come quello della mammalian target of rapamycin (mTOR). Sebbene solo la presenza di metastasi permetta di definire la malignità di Feo/PGL, lo score isto-patologico (Pheocromocitoma of the Adreanal gland Scaled Score, PASS) \(\geq4\) indica un aumentato rischio di recidiva e di secondarismi, con una sopravvivenza a 5 anni inferiore al 50% [2, 3]. Attualmente le possibilità terapeutiche per i Feo/PGL maligni sono limitate e includono terapia medico-nucleare con meta-iodo-benzil-guanidina (131I-MIBG), chemioterapia con temozolomide o schemi di associazione con ciclofosfamide, dacarbazina, vincristina e adriamicina, terapia radio-recettoriale con 90Y/177Lu-DOTATOC/DOTATATE, a seconda della differenziazione e della rapidità di proliferazione [4]. I possibili effetti collaterali e gli scarsi risultati in termini di sopravvivenza rendono necessaria la ricerca di nuove strategie terapeutiche, tra cui l’immunoterapia e l’utilizzo di inibitori di tirosin-chinasi (TKI) [4, 5].
Sunitinib
Il sunitinib è un inibitore multichinasico orale (VEGFR1-2-3; platelet-derived growth factor receptor \(\alpha\)-\(\beta \), \(\text{PDGFR}\upalpha \)-\(\upbeta \); KIT) già approvato per il trattamento del carcinoma renale avanzato/metastatico e in terapia adiuvante, del tumore stromale gastrointestinale (GIST) non operabile e/o metastatico, del tumore neuroendocrino pancreatico ben differenziato non operabile e/o metastatico in progressione, e usato in seconda linea per diversi tumori, tra cui quelli tiroidei ben differenziati divenuti iodio refrattari [6]. I più comuni eventi avversi di grado 3–4 registrati sono neutropenia (12%), ipertensione (10%), eritrodisestesia palmo-plantare (6%), diarrea, astenia, trombocitopenia (5%) [7].
Sunitinib nel trattamento del Feo/PGL in progressione
L’efficacia di sunitinib a diverso dosaggio in pazienti con feocromocitomi in progressione era stata evidenziata in alcuni case reports [8]. Lo studio prospettico di fase 2 SNIPP ha valutato sunitinib alla dose di 50 mg/die per 4–6 settimane in 25 pazienti con Feo/PGL metastatico in progressione riportando un tasso di controllo della malattia del 83% (IC 95%: 61–95%) [3]. Lo studio prospettico multicentrico di fase 2 FIRSTMAPPP (NCT01371201) ha randomizzato in doppio cieco in rapporto 1:1 pazienti con Feo/PGL metastatici a ricevere sunitinib 37,5 mg/die per os o placebo, stratificati per stato di SDHB e linea di trattamento [9]. Sono stati esclusi pazienti con ipertensione non controllabile, funzionalità cardiaca alterata e precedentemente trattati con TKI. Dei 78 pazienti arruolati (età media 53 anni, uomini 59%), il 40% era alla prima linea di terapia, il 60% aveva metastasi ossee, il 32% aveva SDHB mutato e il 71% dei tumori era secernente. La durata media del trattamento è stata di 11 mesi nel braccio interventistico (range 0–39 mesi) e di 4 mesi in quello placebo (range 0–35 mesi). L’87% dei pazienti affidati al braccio placebo è andato in progressione ed è stato quindi trattato con sunitinib. La PFS a un anno dall’inizio del trattamento, end-point primario dello studio, è risultata nel braccio sperimentale di 8,9 mesi (IC 95%: 5,5–12,7 mesi), mentre nel braccio controllo di 3,6 mesi (IC 95%: 3,1–6,1). Il 50% dei pazienti SDHB positivi trattati con sunitinib ha raggiunto una risposta parziale, il 33% stabilità di malattia, il 17% è andato in progressione. L’interruzione di sunitinib per progressione si è verificata nel 64% dei casi, mentre per eventi avversi è stata necessaria nel 14%. Nessuno ha manifestato dolore osseo, riferito invece dal 10% dei pazienti trattati con placebo. I più frequenti eventi avversi di grado 3–4 sono stati l’astenia (18% nei trattati vs 3% nei placebo) e l’ipertensione (10% nei trattati vs 6% placebo) (Fig. 1). Solo un decesso farmaco-correlato è avvenuto nel braccio sperimentale, mentre nel braccio placebo è stata registrata una morte per ischemia cerebrovascolare.
Conclusioni
In considerazione della sopravvivenza e della risposta radiologica, sunitinib potrebbe rappresentare la prima linea terapeutica per pazienti con Feo/PGL metastatico in progressione.
Bibliografia
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Open access funding provided by Università degli Studi di Napoli Federico II within the CRUI-CARE Agreement.
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Gli autori Roberta Modica, Elio Benevento, Chiara Graziadio e Annamaria Colao dichiarano di non avere conflitti di interesse.
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Lo studio presentato in questo articolo non ha richiesto sperimentazione umana.
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Gli autori di questo articolo non hanno eseguito studi sugli animali.
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Modica, R., Benevento, E., Graziadio, C. et al. Sunitinib nei feocromocitomi e paragangliomi. L'Endocrinologo 23, 419–421 (2022). https://doi.org/10.1007/s40619-022-01135-z
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