Introduzione

Il carcinoma midollare della tiroide (MTC) costituisce il 2–4% di tutte le neoplasie tiroidee [1], ma è responsabile di circa il 15% dei decessi per tumore della tiroide. Nel 25% dei pazienti con MTC la neoplasia si presenta nell’ambito di una sindrome familiare (MEN2 o carcinoma midollare familiare) e, in questi casi, la presenza di mutazione a carico del proto-oncogene RET rappresenta l’evento cruciale nella genesi di questo tumore [2]. Il decorso clinico del MTC è estremamente variabile e la chirurgia rappresenta l’unico trattamento “curativo”. Tuttavia, per i pazienti con malattia metastatica e in progressione è opportuno considerare una terapia sistemica. L’approccio attualmente più utilizzato si basa sull’impiego degli inibitori tirosin-kinasici (TKI), che sono in grado di stabilizzare la malattia metastatica e rallentarne la progressione, pur essendo molto rara la possibilità di risposta completa. Peraltro, alla luce della significativa tossicità dei TKI, è importante considerarne l’uso in presenza di un ragionevole rapporto costo/beneficio, limitandolo ai pazienti con significativo aumento del rischio di morbilità e mortalità legato alla malattia in progressione.

Cabozantinib

Cabozantinib (XL184) è un TKI con azione inibitoria verso diversi recettori tirosin-kinasici coinvolti nei più importanti meccanismi di tumorigenesi e angiogenesi (VEGF-R1 e 2, RET, c-MET, GAS6, KIT e FLT3). L’azione inibitoria su c-MET è ritenuta avere un effetto benefico sinergico nel trattamento del MTC. La dose iniziale raccomandata è di 140 mg al giorno ma la posologia può essere ridotta in caso di scarsa tollerabilità. I dati preliminari dello studio EXAMINER, finalizzato a confrontare l’efficacia dei due differenti dosaggi del farmaco (60 mg vs 140 mg), dimostrano che entrambe le dosi presentano attività nel MTC [3]. Il picco di concentrazione plasmatica del farmaco, dopo l’assunzione per via orale, si raggiunge da 2 a 5 ore e l’emivita plasmatica è di circa 120 ore. Cabozantinib è un substrato del CYP3A4: pertanto, la somministrazione concomitante di farmaci con azione inibitoria su CYP3A4 (ritonavir, itraconazolo, claritromicina, succo di pompelmo) può determinare una riduzione della clearance del farmaco, aumentandone le concentrazioni plasmatiche, mentre l’uso di induttori del CYP3A4 (fenitoina, carbamazepina, fenobarbitale), ne incrementa la clearance, causando una riduzione dell’esposizione plasmatica.

Cabozantinib nel carcinoma midollare della tiroide

L’utilizzo di inibitori multikinasici (vandetanib e cabozantinib) nella gestione del MTC è raccomandato dalle linee guida ATA con malattia sintomatica o in progressione, valutata in accordo ai criteri RECIST [4]. L’uso di cabozantinib nel trattamento del MTC è stato approvato in Unione Europea nel 2014, grazie ai risultati degli studi clinici di fase I e III. Lo studio di fase I, condotto su 85 pazienti con tumori solidi avanzati, tra cui 37 MTC, ha documentato una riduzione nella massa tumorale di almeno il 30% in 17 pazienti con MTC, con stabilizzazione di malattia per almeno 6 mesi in 15 casi. La risposta è stata ottenuta indipendentemente dalla presenza di mutazioni di RET [5].

Nello studio di fase III (EXAM, cabozantinib vs placebo), condotto su 330 pazienti con MTC localmente avanzato o metastatico in progressione, l’utilizzo del cabozantinib ha determinato un aumento significativo della progression free survival (PFS) (11,2 mesi in corso di cabozantinib vs 4 mesi con placebo). Tuttavia, non è stato documentato un miglioramento significativo in termini di overall survival (OS), se non nel sottogruppo di pazienti con mutazione RET M918T [6]. Il follow-up a lungo termine dei pazienti arruolati nel suddetto studio, ha documentato, a 42 mesi, un incremento della OS di 5,5 mesi, ma anche in questo caso senza significatività statistica [7]. Ulteriori analisi hanno confermato una maggiore efficacia del cabozantinib, in termini di objective response rate, in pazienti con mutazione di RET (M918T) e di RAS [8]. I più comuni effetti avversi, documentabili in oltre il 25% dei pazienti, includono diarrea, stomatite, eritrodisestesia palmo-plantare, ipertensione e dolore addominale, nella maggior parte dei casi di grado \(<3\) (secondo CTCAE) [9] e gestibili mediante riduzione della posologia del farmaco e/o terapie di supporto. Inoltre, seppure meno frequenti, vanno considerate la possibilità di formazione di fistole e l’osteonecrosi della mandibola. Effetti avversi di grado 3 o 4 sono stati osservati nel 69% dei pazienti nel gruppo cabozantinib e nel 33% dei pazienti nel gruppo placebo. Tra questi i più frequenti erano la diarrea e l’eritrodisestesia palmo-plantare. In generale, gli effetti avversi hanno portato, nel gruppo cabozantinib e in quello placebo, a una riduzione della dose nel 79 e 9%, rispettivamente, a una sospensione transitoria nel 65 e 17%, rispettivamente, e a un’interruzione definitiva del trattamento nel 16 e 8%, rispettivamente [6].

Lo studio di fase III condotto su cabozantinib ha arruolato solo pazienti con evidenza radiologica di progressione di malattia, a differenza di quello condotto con vandetanib (in cui la progressione non era un requisito per l’arruolamento); pertanto, risulta difficile comparare i risultati dei due trial in termini di efficacia e controllo di malattia [10]. Lo stesso studio ha invece dimostrato l’efficacia di cabozantinib come seconda linea di trattamento, dopo progressione avvenuta in corso di terapia con altro TKI (incluso vandetanib).

Conclusioni

L’utilizzo dei TKI nel MTC si è dimostrato efficace nel prolungare la PFS nei pazienti in progressione di malattia, ma molti importanti punti sono ancora da chiarire. In merito alla scelta del farmaco, tra gli inibitori multikinasici, mancano trial clinici che abbiano comparato l’efficacia “cabozantinib vs vandetanib”. Inoltre, la possibilità che la malattia sviluppi resistenza al farmaco e che la tossicità ne limiti l’uso, rappresentano significative problematiche nella pratica clinica. Sarà interessante valutare se l’utilizzo di inibitori selettivi di RET, come selpercatinib (che secondo determina AIFA 30/04/2021 è indicato in monoterapia per il trattamento di adulti e adolescenti di età pari o superiore a dodici anni con MTC avanzato con mutazione di RET, dopo precedente trattamento con cabozantinib e/o vandetanib) [11] e pralsetinib (quest’ultimo recentemente approvato dalla FDA per il trattamento di carcinomi tiroidei con documentata alterazione del RET), che hanno dimostrato un migliore profilo in termini di tossicità, apporterà un contributo tangibile nella gestione clinica dei pazienti affetti da MTC in progressione.