Sommario
Le alterazioni della densità ossea e le fratture da fragilità sono frequenti complicanze della terapia ormonale adiuvante in pazienti affetti da carcinoma della mammella e carcinoma prostatico, a causa dell’effetto negativo dell’ipoestrogenismo e della deprivazione androgenica sull’osso. La valutazione del rischio fratturativo in questi pazienti e la corretta gestione delle complicanze ossee dovute alla terapia adiuvante risultano di fondamentale importanza sia per la riduzione degli eventi fratturativi, sia per il miglioramento della qualità della vita.
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Le neoplasie ormono-dipendenti: introduzione
Carcinoma della mammella
Il carcinoma della mammella (CM) è la neoplasia maligna più frequente nelle donne e la prima causa di morte per tumore nel sesso femminile. Il 75–80% dei carcinomi della mammella esprime recettori per estrogeni (ER) e progesterone (PrR) [1] e può quindi beneficiare di un trattamento ormonale adiuvante in grado di ridurre mortalità e rischio di recidiva. Per definire lo stato dei recettori ER e PrR, le raccomandazioni dell’American Society of Clinical Oncology considerano positivi i tumori con almeno l’1% di cellule che esprimono ER e/o PrR [2]. Questi ultimi, definiti tumori ormono-dipendenti, sono i sottotipi immunofenotipici luminal A e luminal B. Nei luminal A, a prognosi buona e caratterizzati da bassa attività proliferativa ed elevata endocrino-sensibilità, la terapia ormonale rappresenta, in genere, il solo trattamento adiuvante. Nei luminal B, invece, che possono esprimere il recettore per il fattore di crescita dell’epidermide HER2 e hanno attività proliferativa variabile, la terapia adiuvante prevede il trattamento ormonale in aggiunta a chemioterapie e/o trastuzumab [3].
Carcinoma prostatico
Il carcinoma prostatico (CP) è la seconda neoplasia maschile più comunemente diagnosticata nel mondo ed è la quinta causa di morte per tumore nel sesso maschile [4]. Gli androgeni sono indispensabili per la crescita e la moltiplicazione delle cellule prostatiche, con un ruolo sia nell’induzione che nella progressione tumorale. Le forme localizzate si avvalgono di presidi terapeutici quali chirurgia, radioterapia e brachiterapia che sono capaci di produrre, nella maggior parte dei casi, una guarigione completa e definitiva. La terapia di deprivazione androgenica (ADT) è il gold standard della terapia medica per il CP localmente avanzato, in progressione biochimica e per le forme metastatiche [5].
Terapia ormonale adiuvante del carcinoma della mammella
La terapia ormonale per il CM agisce sulla fisiologica attività degli estrogeni e, quindi, sull’accrescimento e sullo sviluppo delle forme di tumore ormono-responsive, attraverso tre livelli d’azione (Fig. 1):
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inibizione dell’interazione tra cellula tumorale e ormone, attraverso il blocco del recettore sulla membrana plasmatica;
-
blocco della produzione ovarica di estrogeni;
-
riduzione della quota estrogenica prodotta a partire dagli androgeni, attraverso l’inibizione dell’enzima aromatasi.
Modulatori selettivi dei recettori per gli estrogeni
Il più utilizzato tra i modulatori selettivi dei recettori per gli estrogeni (SERM) è il tamoxifene; attraverso i suoi metaboliti agisce competendo con il \(\upbeta \)-estradiolo per il legame al recettore estrogenico; in questo modo impedisce il reclutamento di coattivatori per la trascrizione genica e in molti tessuti bersaglio, tra cui quello mammario, causa il reclutamento di corepressori [7].
Analoghi dell’LHRH
Il meccanismo d’azione degli analoghi dell’LHRH (LHRHa o GnRHa) è basato sulla soppressione gonadica attraverso l’inibizione diretta dell’increzione ipofisaria di FSH e LH. La somministrazione cronica degli agonisti determina dapprima un aumento di FSH e LH e, successivamente, una rapida diminuzione. Gli agonisti causano una desensibilizzazione dei recettori LHRH-R attraverso una down-regulation degli stessi, mentre gli antagonisti li bloccano competitivamente, sopprimendo immediatamente la sintesi delle gonadotropine. In entrambi i casi l’effetto è quello di soppressione reversibile dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, che nelle donne in pre-menopausa si traduce in amenorrea. La ripresa delle mestruazioni dipende, in parte, dell’età della paziente e in genere avviene entro 6 mesi dalla sospensione del trattamento [8].
Inibitori dell’aromatasi
Gli inibitori dell’aromatasi (AI) agiscono inibendo la reazione di aromatizzazione responsabile della conversione dell’androstenedione e del testosterone in estrone ed estradiolo. Vengono classificati in steroidei (tipo I), che legano l’enzima in modo irreversibile, e non steroidei (tipo II), che lo legano in modo reversibile. Nell’ambito dei due tipi c’è un’ulteriore suddivisione in composti di prima, seconda e terza generazione; quelli usati attualmente sono i composti di terza generazione (exemestane, anastrozolo e letrozolo), in grado di sopprimere in vivo l’attività dell’enzima del 96–99% [9]. L’uso degli AI è subordinato al blocco dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, poiché la soppressione della produzione periferica di estrogeni, in presenza di una funzione ovarica conservata, si tradurrebbe in un incremento di produzione ipofisaria di FSH e LH, con conseguente iperstimolazione ovarica.
La tipologia di farmaco e la durata della terapia, che deve essere in ogni caso di almeno cinque anni e può essere estesa fino a 10 [3, 10], vengono scelte in base allo stato menopausale della paziente e al suo rischio di recidiva. Nelle donne in pre-menopausa si utilizza il tamoxifene per 5 anni, in aggiunta o meno a soppressione ovarica con LHRHa e a successiva terapia con AI; nelle donne in post-menopausa si utilizzano gli AI per almeno 5 anni [3]. Gli effetti collaterali di questi farmaci sono quelli imputabili a una menopausa indotta: sintomi vasomotori, tachicardia, artralgie, mialgie, secchezza delle mucose, dislipidemia, progressiva perdita di massa ossea, riduzione della libido e del tono dell’umore.
Terapia ormonale adiuvante del carcinoma prostatico
Il metodo più rapido ed economico per conseguire il blocco androgenico è rappresentato dalla castrazione chirurgica (orchiectomia bilaterale), che riduce permanentemente i livelli circolanti di testosterone a meno di 20 ng/dl. Il testosterone circolante può essere tuttavia mantenuto a livelli minimi anche attraverso l’uso di farmaci LHRHa (castrazione farmacologica) [5].
Analoghi dell’LHRH
Così come accade per il CM, gli agonisti dell’LHRH (buserelina, goserelina, leuprorelina, triptorelina) determinano inizialmente, e per circa 1–2 settimane, un incremento di LH e FSH, con conseguente aumento della testosteronemia; per evitare questo fenomeno di flare-up è raccomandata l’associazione di un antiandrogeno per le prime 4 settimane, tempo necessario per raggiungere concentrazioni ematiche di testosterone da castrazione [11]. Una valida alternativa al trattamento con agonisti dell’LHRH + antiandrogeni è rappresentata dal trattamento con antagonisti dell’LHRH, che inibiscono direttamente l’LHRH a livello ipofisario attraverso un meccanismo di tipo competitivo; l’unico farmaco di questa classe attualmente disponibile per il trattamento di prima linea del CP metastatico è il degarelix [12].
Antiandrogeni
Gli antiandrogeni si distinguono in steroidei e non steroidei e la loro attività prevede tre meccanismi:
-
legame competitivo ai recettori cellulari;
-
inibizione della steroidogenesi surrenalica;
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attività antigonadotropa.
Gli antiandrogeni steroidei (ciproterone acetato) agiscono con tutti e tre i meccanismi, sia centralmente che perifericamente, mentre gli antiandrogeni non steroidei (flutamide, bicalutamide, nilutamide) agiscono solo mediante il primo meccanismo e salvaguardano maggiormente le funzioni sessuali. La castrazione, sia farmacologica che chirurgica, riduce la testosteronemia del 95%, in quanto una quota di androgeni continua ad essere prodotta dal surrene e viene convertita nelle cellule prostatiche in diidrotestosterone. Quando alla castrazione, farmacologica o chirurgica, si aggiunge un antiandrogeno si parla di blocco androgenico totale (BAT), che garantisce un modesto prolungamento della sopravvivenza a fronte di un moderato aumento delle tossicità. Se il carcinoma prostatico è resistente alla castrazione, trova indicazione una nuova classe di farmaci inibitori del segnale del recettore androgenico (ARSI), che comprende enzalutamide, apalutamide e abiraterone [5].
Cancer Treatment Induced Bone Loss
La Cancer Treatment Induced Bone Loss (CTIBL) è la perdita di massa ossea che si verifica nei pazienti oncologici che ricevono trattamenti con impatto negativo sull’osso, come il blocco ormonale adiuvante per CM e CP.
Gli estrogeni svolgono un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi ossea; pertanto, la riduzione dei livelli estrogenici a valori pressoché indosabili si associa a un incremento del riassorbimento osseo e, a lungo termine, allo sviluppo di osteoporosi e aumentato rischio fratturativo. In particolare, la deprivazione estrogenica completa che si verifica in corso di terapia ormonale per CM determina un aumento della produzione del ligando del Receptor Activator of Nuclear Factor \(\upkappa \) B (RANKL) da parte degli osteoblasti, con aumento dell’osteoclastogenesi, e una riduzione dei livelli circolanti di osteoprotegerina, con conseguente aumento del riassorbimento osseo [14]. Recentemente, inoltre, è stato riscontrato che diversi polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) in alcuni geni coinvolti nel processo di rimodellamento osseo sono associati alla perdita ossea indotta da AI. In particolare, gli SNP nei geni che codificano per i recettori degli estrogeni, nel gene che modula l’espressione dell’enzima aromatasi (CYP19A1) e nel CYP11A1 (coinvolto nella via degli steroidi) predicono la riduzione della Bone Mineral Density (BMD) nelle donne con CM che ricevono AI [15].
Allo stesso modo, l’ipogonadismo iatrogeno indotto dall’ADT determina un repentino e importante incremento del turnover osseo, dovuto sia alla riduzione del testosterone che alla riduzione indiretta di estradiolo. Gli androgeni aumentano il numero e la funzione degli osteoblasti e inibiscono l’apoptosi degli osteociti; la carenza di androgeni ed estrogeni riduce lo spessore e il numero di trabecole ossee, predisponendo alla fragilità. Inoltre, in corso di ADT si verifica una sarcopenia che aumenta il rischio di cadute e ha azioni indirette sul metabolismo osseo. La BMD dei pazienti in terapia ormonale per CP risulta rapidamente ridotta già nel primo anno di terapia [16] e tale velocità di perdita di massa ossea è tra le più elevate riportate in letteratura: circa 3 volte quella rilevata in corso di terapia adiuvante con AI [17]. La prevalenza di osteoporosi nei soggetti in ADT varia dal 9 al 53%, dipende dall’età, dalla durata della terapia e dal sito scheletrico valutato con la densitometria e si associa a rischio estremamente elevato di frattura [18]. Tra le varie sottopopolazioni di pazienti in terapia ormonale adiuvante per CM e CP e le diverse tipologie di blocco ormonale vi è una consistente differenza di incremento del turnover osseo e di riduzione della BMD (Fig. 2). Quest’ultima nei pazienti con CTIBL può essere comunque nella norma o modicamente ridotta anche in presenza di fratture vertebrali morfometriche [19]. Le categorie a maggior rischio di osteoporosi e di fratture da fragilità sono, in ordine decrescente: donne in premenopausa con menopausa indotta da chemioterapia o trattate con LHRHa, maschi in ADT, donne che passano da tamoxifene a AI, donne in terapia con AI [13]. Nelle donne in terapia con AI è stato documentato un incremento delle fratture morfometriche di circa il 12% [20]. Dopo la sospensione del trattamento con AI, il turnover osseo si normalizza e la BMD e il rischio di frattura possono essere parzialmente recuperati [21].
Gestione della CTIBL
Data l’elevata prevalenza di fattori di rischio per frattura indipendenti dalla terapia ormonale e l’elevata prevalenza di fratture vertebrali già presenti al momento della diagnosi di neoplasia, tutti i soggetti con CM e CP vanno indagati per la presenza di fratture da fragilità [22]. I bisfosfonati e il denosumab rappresentano i farmaci di prima scelta nella gestione della bone health in corso di terapia ormonale adiuvante per CM e CP, in quanto in grado di prevenire la perdita di BMD. In Italia la loro rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale è regolata dalla Nota 79 [23]. Per quanto riguarda i bisfosfonati sono stati utilizzati, sia nel CM che nel CP, alendronato, ibandronato e risedronato, alle stesse dosi utilizzate nel trattamento dell’osteoporosi postmenopausale, mentre l’acido zoledronico è stato utilizzato a dosaggi mediamente doppi, con effetti simili sulla BMD [24]; per tutti i bisfosfonati mancano studi sull’efficacia antifratturativa in questo setting di pazienti. L’efficacia antifratturativa è stata invece direttamente dimostrata per denosumab 60 mg sottoforma di iniezione sottocutanea ogni sei mesi, sia per le fratture vertebrali in pazienti con CP, sia nelle donne in post-menopausa in terapia con AI, per tutte le fratture cliniche, vertebrali e non. L’effetto antifratturativo è indipendente dall’età, dalla durata della terapia ormonale e dal valore di BMD [25, 26]. Nelle altre categorie di pazienti in terapia ormonale adiuvante o in menopausa indotta da chemioterapia si è valutata solo la risposta in termini di BMD; l’entità dell’effetto sulla BMD, a medesimi dosaggi utilizzati nell’osteoporosi post-menopausale o maschile, è stata sovrapponibile, lasciando supporre un medesimo effetto anti-fratturativo.
Oltre al trattamento farmacologico, diversi interventi non farmacologici sono raccomandati nei pazienti a rischio di CTIBL: abolizione del fumo di sigaretta, riduzione dell’introito di alcol, esercizio fisico costante, adeguato apporto di calcio (500–1500 mg/die) e mantenimento di livelli di vitamina D tra 30 e 40 ng/dl [15, 27].
Temporizzazione del trattamento preventivo per CTIBL
Il momento per iniziare il trattamento preventivo per la CTIBL non è univocamente definito a livello internazionale. Nel tempo si è guadagnato un livello sempre più conservativo di BMD, fino a considerare livelli molto vicini alla norma, soprattutto in presenza di altri fattori di rischio indipendenti [28].
Le recenti linee guida della European Society for Medical Oncology (ESMO) del 2020 [29], in accordo con il Joint Position Statement pubblicato nel 2017 sul Journal of Bone Oncology [27], raccomandano di iniziare la terapia antiriassorbitiva solo in caso di aumentato rischio fratturativo, identificato da:
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T-score lombare o femorale \(<-2\);
-
presenza di almeno due dei seguenti fattori di rischio: età \(>65\) anni, T-score lombare o femorale \(<-1{,}5\), tabagismo attuale o pregresso, BMI \(<24~\text{kg/m}^{2}\), anamnesi familiare positiva per frattura di femore, storia personale di frattura da fragilità dopo i 50 anni, terapia steroidea di durata \(\geq6\) mesi, prednisone 5 mg/die o equivalenti (Fig. 3). In assenza dei fattori di rischio suddetti sono sufficienti i provvedimenti non farmacologici, ma è consigliata una rivalutazione a 12 mesi, tenendo conto della perdita di BMD durante il primo anno di terapia e delle linee guida locali per l’osteoporosi. In caso di riduzione annuale della BMD \(>5\text{--}10\%\), gli esperti suggeriscono di valutare l’eventuale presenza di cause secondarie di perdita ossea e di iniziare un trattamento con antiriassorbitivi per la prevenzione delle fratture [28].
Secondo le linee guida dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e della Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) [4, 11, 23], invece, la terapia per CTIBL, sia negli uomini che nelle donne, va attuata già all’inizio del trattamento ormonale adiuvante, con approccio preventivo, senza soglie di intervento (Fig. 4), considerando:
-
la mancanza dell’evidenza di una soglia di T-score validata in questo setting di pazienti;
-
la velocità di perdita di massa ossea particolarmente elevata;
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l’elevata prevalenza di osteoporosi, fratture e/o altri fattori di rischio per frattura in pazienti con CM e CP, indipendentemente dal trattamento ormonale;
-
l’evidenza che la terapia con antiriassorbitivi è più efficace se utilizzata up-front anziché dopo una frattura o in seguito a perdita di BMD [24, 30];
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l’evidenza che la riduzione del rischio fratturativo con denosumab prescinde dai livelli di BMD al momento dell’inizio della terapia [25].
La durata ottimale del trattamento per CTIBL non è ben definita; le linee guida della SIOMMMS suggeriscono di proseguirla almeno per tutta la durata della terapia ormonale adiuvante [22]. Al termine della suddetta terapia è indicata o meno la prosecuzione di un trattamento antiriassorbitivo sulla base del rischio fratturativo, che deve essere rivalutato attraverso mineralometria ossea computerizzata, esami di laboratorio di turnover osseo, individuazione di comorbidità, storia familiare e presenza di pregresse fratture femorali e/o vertebrali [22, 31]. In caso di terapia con denosumab se ne consiglia la sospensione almeno sei mesi dopo l’interruzione della terapia ormonale adiuvante; i pazienti ad alto rischio dovrebbero continuare il denosumab fino a 10 anni o passare a un trattamento alternativo per la salute dell’osso; per i pazienti a basso rischio, invece, alla sospensione del denosumab devono essere considerati i bisfosfonati, per ridurre o prevenire l’aumento del turnover osseo e il rischio di fratture vertebrali multiple [32].
Conclusioni
Il blocco ormonale adiuvante in pazienti con CM e CP provoca effetti negativi sull’osso noti come CTIBL, una condizione che causa un aumento del rischio fratturativo non definibile da una soglia densitometrica. Le diverse tipologie di pazienti e il diverso tipo di trattamento ormonale si associano a rischio fratturativo diverso, ma in tutti i casi si deve avviare precocemente un’adeguata valutazione del rischio ed è indicato un trattamento preventivo a base di farmaci antiriassorbitivi, quali bisfosfonati e denosumab, da abbinare sempre a modifiche dello stile di vita e a un adeguato apporto di calcio e vitamina D. Il rischio fratturativo si riduce al termine del trattamento di blocco ormonale, ma questo deve essere rivalutato per eventuale proseguimento della terapia antiriassorbitiva o per un eventuale “consolidamento” farmacologico.
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Lo studio presentato in questo articolo non ha richiesto sperimentazione umana.
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Proposto da A. Faggiano.
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Pisarro, M., Conti, F. Salute ossea in corso di trattamento adiuvante anti-ormonale nella patologia oncologica: rischio fratturativo e temporizzazione della terapia. L'Endocrinologo 23, 386–393 (2022). https://doi.org/10.1007/s40619-022-01132-2
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