Introduzione

L’insulina è un ormone prodotto dalle \(\beta \)-cellule pancreatiche che controlla il metabolismo glucidico, lipidico e proteico ed esercita un’azione mitogenica, favorendo la proliferazione cellulare. L’insulino-resistenza si definisce come un’alterazione del processo di trasduzione del segnale dell’insulina, per cui concentrazioni di insulina normali o aumentate producono un effetto biologico attenuato [1]. Al fine di superare il difetto, la risposta fisiologica è l’aumento della produzione di insulina, con uno stato più o meno marcato di iperinsulinemia [2]. La manifestazione considerata più tipica è l’iperglicemia, che va dall’alterata glicemia a digiuno fino al Diabete Mellito di tipo 2 (T2DM) [1]. Considerati i suoi effetti sul metabolismo lipidico e proteico, gli effetti anabolici e mitogeni e la diffusione dei recettori per l’insulina su gran parte delle cellule dell’organismo, l’insulino-resistenza si può presentare clinicamente con uno spettro variabile di manifestazioni “extraglicemiche” che si configurano con la sindrome da insulino-resistenza (Fig. 1) [2, 3].

Fig. 1
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Sindrome da insulino-resistenza: manifestazioni cliniche

In sintesi, le possibili manifestazioni cliniche comprendono: 1) alterazioni metaboliche: dislipidemia, obesità prevalentemente viscerale; 2) danno d’organo: ipertensione arteriosa, disfunzione endoteliale, danno renale, steatosi epatica; 3) associazione con altre patologie: Sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), Sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS), malattie neurodegenerative, patologie neoplastiche, aumentata mortalità e ospedalizzazione per infezione da Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2 (SARS-CoV-2).

Meccanismo fisiopatologico

Il legame dell’insulina con il suo recettore attiva un processo di trasduzione del segnale che comincia con la fosforilazione a livello dei residui di tirosina dei substrati Insulin Receptor Substrates-1 e -2 (IRS-1, IRS-2), i quali a loro volta promuovono la fosforilazione dell’enzima Phosphatidylinositol 3-Kinase (PI3K), che mediante la fosforilazione di Phosphoinositide dependent kinase-1, Akt (Akt 1 e 2) e Protein Kinase C (PKC) regolano gran parte degli effetti metabolici [2]:

  • metabolismo glucidico: aumenta la traslocazione del Glucose Transporter 4 (GLUT-4) sulla membrana cellulare, soprattutto nel fegato, muscolo e tessuto adiposo, favorendo l’ingresso del glucosio nella cellula. A livello epatico, stimola la glicogenosintesi e inibisce la gluconeogenesi e la glicogenolisi;

  • metabolismo lipidico: inibisce la lipolisi e stimola la sintesi dei trigliceridi, favorendone il deposito a livello degli adipociti (lipogenesi);

  • metabolismo proteico: stimola la sintesi proteica mediante la trascrizione e traduzione di mRNA in diverse cellule.

La via PI3K/Akt media, inoltre, il rilascio dell’ossido nitrico da parte delle cellule endoteliali (eNO), favorendo la vasodilatazione.

L’attivazione della via di RAS/MAPK provvede, invece, agli effetti mitogeni in diversi tipi cellulari e promuove la proliferazione, la contrazione e l’attività proinfiammatoria delle cellule muscolari lisce [2, 3].

Quando il processo di trasduzione del segnale attraverso la via PI3K/Akt e RAS/MAPK risulta alterato, gli effetti biologici dell’insulina saranno attenuati, dando luogo a manifestazioni cliniche pleiotropiche.

Insulino-resistenza: dislipidemia e aterogenesi

L’alterazione del profilo lipidico è una delle manifestazioni più tipiche dell’insulino-resistenza e consiste tipicamente in ipertrigliceridemia, aumento della concentrazione di Very Low-Density Lipoprotein (VLDL), riduzione della concentrazione di High-Density Lipoprotein (HDL) e formazione di Low-Density Lipoprotein (LDL) piccole e dense (small dense LDL, sdLDL) [4, 5]. I meccanismi alla base di queste alterazioni sono numerosi, poiché l’insulina regola su diversi livelli il metabolismo lipidico.

Le VLDL sono sintetizzate a livello epatico con un processo regolato dall’insulina: attraverso la via di PI3K, l’ormone promuove la degradazione dell’apoproteina- B (apo-B), ostacolando in questo modo l’assemblaggio e la secrezione delle VLDL da parte del fegato. In presenza di insulino-resistenza questo meccanismo è alterato, per cui ne deriva un’aumentata produzione di VLDL, ricche di trigliceridi [4]. In aggiunta, la clearance delle lipoproteine è ridotta, contribuendo a mantenere gli elevati livelli circolanti di queste particelle [4].

La formazione di sdLDL è dipendente dall’alterazione della funzione della Cholesteryl Ester Transfer Protein (CEPT) e della lipasi epatica. La proteina CEPT favorisce il trasferimento dei trigliceridi dalle VLDL alle LDL e HDL, aumentando complessivamente il contenuto di trigliceridi di queste particelle. Le LDL e le HDL ricche di trigliceridi diventano substrato della lipasi epatica, che promuove la rimozione dei trigliceridi da queste lipoproteine, in modo da trasformare le LDL in sdLDL e da ridurre la concentrazione dell’apoproteina A (apo-A), aumentando il catabolismo delle HDL [3, 5].

Questo profilo lipidico è fortemente aterogeno, poiché le sdLDL penetrano nella parete vascolare con maggiore facilità, hanno un’emivita più lunga, sono maggiormente ossidabili e hanno una minore affinità per il recettore per le LDL [3].

Insulino-resistenza: ipertensione arteriosa e danno endoteliale

Alcuni studi hanno evidenziato che circa il 50% dei pazienti ipertesi è anche insulino-resistente [6]. Sembrerebbe esserci una stretta connessione tra ipertensione arteriosa e insulino-resistenza, poiché numerose alterazioni intervengono sinergicamente nel danneggiare la funzione endoteliale e alterare l’equilibrio tra i meccanismi vasocostrittori e vasodilatatori [3, 6, 7].

Una possibile causa è l’iperattivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) promossa dall’iperglicemia [6]. L’insulina e il sistema RAAS condividono alcuni effettori delle vie di trasduzione del segnale, che stimolano sinergicamente la via delle MAPK, stimolando la proliferazione e la contrattilità dei miociti vascolari e l’attività proinfiammatoria delle cellule endoteliali [6]. Inoltre, il sistema RAAS promuove la fosforilazione in residui di serina di IRS-1 e 2, inducendo l’attivazione di mTOR-S6K1 e ostacolando la trasduzione del segnale dell’insulina attraverso la via di PI3K. Questo meccanismo ridurrebbe la produzione di eNO il più potente vasodilatatore dell’organismo e il principale indicatore del benessere endoteliale [3, 7]. eNO svolge un ruolo cruciale nella protezione dei vasi, limitando l’aggregazione piastrinica e inibendo l’adesione dei leucociti all’endotelio. Nei pazienti insulino-resistenti la sintesi dell’ossido nitrico è deficitaria, per la compromissione prevalente della via di segnale di PI3K; di converso, la via di segnale che fa capo a MAPK risulta meno compromessa, per cui l’iperinsulinemia compensatoria attiva in maniera eccessiva la via delle MAPK, con conseguente proliferazione dei miociti, vasocostrizione, ritenzione di sodio e liquidi e, quindi, incremento della pressione arteriosa [3]. In aggiunta, l’insulino-resistenza causa un aumento della produzione di fattori pro-trombotici, pro-infiammatori, di Specie Reattive dell’Ossigeno (ROS) e di molecole pro-adesive (es. Intracellular Adhesion Molecule 1, ICAM-1, Vascular Cell Adhesion Molecule 1, VCAM-1) [3]. Infine, l’iperattivazione del sistema nervoso simpatico induce modifiche a carico della parete dei vasi, favorendo l’ipertrofia e l’apoptosi dei miociti, la fibrosi interstiziale e la riduzione della funzione contrattile [3].

Insulino-resistenza: obesità e steatosi viscerale

L’obesità viscerale è una delle manifestazioni cliniche più tipicamente associate all’insulino-resistenza; diversi studi hanno dimostrato che l’obesità prevalentemente viscerale sia un fattore favorente l’insorgenza dell’insulino-resistenza e delle alterazioni cardiometaboliche che aumentano il rischio cardiovascolare [8, 9]. Il tessuto adiposo viscerale (VAT), rispetto al tessuto adiposo sottocutaneo, produce una maggiore quantità di adipochine pro-infiammatorie (es. Tumor-Necrosis-Factor-\(\alpha \), TNF-\(\alpha \), Interleukine 1-\(\beta \), IL-1 \(\beta \) e Interleukine 6, IL-6) e fattori chemiotattici (es. Monocyte Chemoattractant protein-1, MCP-1) che inducono l’infiammazione nell’adipocita, riducendone la sensibilità all’insulina. Pertanto, si verifica una riduzione dell’ingresso del glucosio nelle cellule e del deposito di trigliceridi negli adipociti, ma un aumento del deposito di grassi in altri organi (pancreas, fegato, rene, vasi, muscolo scheletrico, cuore e Tessuto Adiposo Epicardico, EAT), alterandone la sensibilità all’insulina e la funzione [8, 9]. L’accumulo di grasso a livello dell’EAT determina una sovversione della struttura cardiaca (fibrosi miocardica, steatosi cardiaca, ipertrofia ventricolare) e, quindi, disfunzione contrattile e alterazione del rilascio diastolico [10].

Le citochine pro-infiammatorie prodotte dall’adipocita svolgono un ruolo cruciale nello sviluppo della steatosi epatica. Infatti, riducono la sensibilità all’insulina dell’epatocita favorendo il deposito di lipidi a livello epatico, fibrosi e steatosi (Nonalcoholic Fatty Liver Disease, NAFLD), che a sua volta peggiora lo stato di insulino-resistenza. La NAFLD può evolvere a Nonalcoholic Steatohepatitis (NASH), con un meccanismo non ben noto, che include fattori quali insulino-resistenza, fattori genetici, alimentazione, stile di vita e infiammazione locale o sistemica. È noto che alcune citochine proinfiammatorie prodotte dalle cellule del Kupffer possano giocare un ruolo cruciale nella transizione a NASH [11].

Insulino-resistenza e danno renale

Numerosi studi hanno avvalorato l’ipotesi di un ruolo patogenetico dell’insulino-resistenza nella comparsa e progressione del danno renale nei soggetti diabetici e non diabetici. Lo stato proinfiammatorio, la disfunzione endoteliale e il danno vascolare, l’aumentata produzione di fattori di crescita, come il Transforming Growth Factor \(\beta \), TGF- \(\beta \), favoriscono la deposizione di matrice da parte delle cellule mesangiali, inducendo glomerulosclerosi e l’assottigliamento della membrana basale e, quindi, perdita di albumina nelle urine. Recenti evidenze hanno dimostrato un ruolo dirimente dell’insulina nella modulazione della funzione dei podociti; ad esempio, nei topi knock-out per i recettori dell’insulina sui podociti, si verifica l’apoptosi di queste cellule con comparsa di glomerulosclerosi e albuminuria [12].

Insulino-resistenza e PCOS

Sebbene la caratteristica principale della PCOS sia l’iperandrogenismo, l’insulino-resistenza gioca un ruolo cruciale nella patogenesi di questa condizione clinica molto frequente. Circa un terzo delle donne affette da PCOS, anche non obese, ha diversi gradi di insulino-resistenza. Tra i meccanismi coinvolti, è stata descritta la fosforilazione in residui di serina del recettore dell’insulina e dell’IRS-1, che riduce l’efficienza di trasmissione del segnale insulinico e induce iperinsulinemia compensatoria. A livello ovarico l’insulina in eccesso stimola l’espressione dei recettori per l’ormone luteinizzante (LH), rendendo le cellule più responsive a questo stimolo e favorisce la steroidogenesi ovarica da parte delle cellule della teca e della granulosa. L’aumentata concentrazione di androgeni peggiora la funzione ovarica e determina anovulazione. Trattamenti che riducono l’insulino-resistenza migliorano l’ovulazione e l’iperandrogenismo [13].

Insulino-resistenza e OSAS

Molti studi hanno evidenziato un’associazione tra OSAS e insulino-resistenza, T2DM e diversi gradi di iperglicemia, indipendentemente dal BMI. È stato osservato che la severità delle OSAS correla inversamente con la sensibilità insulinica [14, 15]. Infine, altri studi hanno dimostrato che la terapia con c-PAP notturna, migliora la sensibilità all’insulina [15].

Il meccanismo patogenetico che collega le due entità non è ben chiaro; è possibile che ci siano fattori predisponenti comuni, come l’obesità. Inoltre, la frammentazione del sonno e l’ipossia durante le fasi di apnea potrebbero aumentare il tono del sistema nervoso simpatico, riducendo la secrezione di insulina e l’up-take di glucosio e favorendo la produzione epatica di glucosio. Infine, la deprivazione di sonno potrebbe aumentare la secrezione di cortisolo, che peggiora la sensibilità insulinica [14, 15].

Insulino-resistenza e malattie neurodegenerative

Negli ultimi anni sono stati condotti studi che hanno indagato il ruolo dell’insulino-resistenza, come fattore di rischio per l’insorgenza di malattie neurodegenerative. L’insulina svolge molteplici funzioni anche a livello encefalico. Regola i meccanismi bioenergetici neuronali, migliora la plasticità sinaptica e la formazione delle spine dendritiche e aumenta il turnover di alcuni neurotrasmettitori, come la dopamina. Inoltre, è stato dimostrato che l’insulina è coinvolta anche nella clearance dell’amiloide \(\beta \) e nella fosforilazione della proteina tau, entrambi coinvolti nella patogenesi della malattia di Alzheimer. Infine, lo stato proinfiammatorio associato all’insulino-resistenza sembrerebbe giocare un ruolo favorente l’insorgenza di queste malattie neurodegenerative [16].

Insulino-resistenza e cancro

Recenti evidenze sottolineano l’associazione tra insulino-resistenza e rischio neoplastico, in particolare a carico di mammella, colon-retto, pancreas e fegato. Sono stati proposte diverse vie attraverso cui l’insulino-resistenza svolgerebbe una funzione pro-oncogena [17]:

  • l’iperinsulinemia conseguente all’insulino-resistenza potrebbe attivare in maniera eccessiva i recettori per l’Insulin Growth Factor 1 (IGF-1);

  • l’iperinsulinemia aumenta la biodisponibilità dell’IGF-1, che esercita effetti mitogeni e anti-apoptotici;

  • l’insulina e l’IGF-1 inibiscono la sintesi epatica di Sex Hormon Binding Globulin (SHBG), aumentando la biodisponibilità di estrogeni, che può giustificare l’aumento del rischio del carcinoma mammario;

  • l’iperinsulinemia, associata a iperespressione dei recettori per l’insulina nelle cellule neoplastiche, può favorire l’iperattivazione delle vie mitogeniche [18];

  • lo stato proinfiammatorio rappresenta un ambiente favorevole allo sviluppo e progressione delle neoplasie;

  • l’aumentata produzione di ROS indurrebbe mutagenesi e cancerogenesi.

Insulino-resistenza e SARS-CoV-2

Diversi studi epidemiologici hanno evidenziato che i pazienti affetti da Diabete Mellito di Tipo 2 hanno maggiore suscettibilità alle infezioni da SARS-CoV-2 e sviluppano una malattia più severa [19]. L’iperinsulinemia nei pazienti insulino-resistenti aumenta l’espressione dell’Angiotensin Converting Enzyme (ACE2), che rappresenta la porta di ingresso del SARS-CoV-2 nelle cellule, giustificando la maggiore suscettibilità a questo tipo di infezioni nei pazienti diabetici. Numerosi studi hanno evidenziato la forte associazione tra severità della malattia e il grado di infiammazione sistemica. L’insulino-resistenza, è causa di uno stato pro-infiammatorio più o meno severo, caratterizzato da un’aumentata produzione di ROS, IL-6, IL-1\(\beta \), TGF-\(\beta \); pertanto, i pazienti diabetici affetti da SARS-CoV-2 più probabilmente sviluppano una tempesta citochinica in risposta all’infezione. Inoltre, molti studi hanno dimostrato un aumentato rischio di embolia polmonare nei pazienti diabetici rispetto ai pazienti non diabetici affetti da SARS-CoV-2; infatti, l’insulino-resistenza è associata a coagulopatia, disfunzione endoteliale in senso pro-trombotico e danno micro- e macrovascolare. Questi meccanismi giustificherebbero la maggiore severità della malattia nei pazienti insulino-resistenti (Fig. 2) [19].

Fig. 2
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Insulino-resistenza e maggiore severità dell’infezione da SARS-CoV-2: possibile meccanismo patogenetico

Conclusioni

Considerate le manifestazioni pleiotropiche della Sindrome da insulino-resistenza, in presenza di segni clinici o biochimici di insulino-resistenza è necessario ricercare non sono eventuali alterazioni glicemiche, che rappresentano la manifestazione clinica più caratteristica, ma è necessario ricercare anche le manifestazioni extra-glicemiche: dislipidemia, ipertensione arteriosa, obesità, steatosi viscerale, che complessivamente espongono il paziente a un rischio cardiovascolare aumentato e patologie come PCOS, OSAS, malattie neurodegenerative e neoplastiche, che sembrerebbero essere più frequenti nel soggetto insulino-resistente.