Introduzione

L’iperparatiroidismo primario (IPP) è una condizione che si manifesta sporadicamente nel 95% dei casi. Tuttavia, esso può verificarsi anche come componente di sindromi familiari ad alta penetranza, come ad esempio in caso di neoplasie endocrine multiple di tipo 1 (MEN1), neoplasie endocrine multiple di tipo 2A (MEN2A), sindrome dell’iperparatiroidismo ereditario/tumore della mandibola (SIETM), iperparatiroidismo familiare isolato (IFI) e iperparatiroidismo neonatale severo (INS) [1]. Questa rassegna affronta il trattamento chirurgico delle principali forme familiari di iperparatiroidismo primario.

Forme ereditarie di iperparatiroidismo primario

Iperparatiroidismo primario nella sindrome MEN1

L’iperparatiroidismo è, nei pazienti affetti da MEN1, l’endocrinopatia più comune e, solitamente, la prima ed essere diagnosticata. Raggiunge quasi il 100% di penetranza all’età di 50 anni [2]. Rappresenta complessivamente circa il 2–4% di tutte le forme di IPP. Tipicamente si presenta durante la seconda-terza decade di vita, un esordio più precoce rispetto alle forme sporadiche di IPP [3]. L’iperparatiroidismo nella sindrome MEN1 è caratterizzato da un metacrono interessamento multighiandolare [3]. Inoltre, in questi pazienti si riscontra la presenza di paratiroidi sovrannumerarie fino al 20% dei casi: una possibile spiegazione potrebbe essere che piccoli resti embriologici di paratiroide sono cronicamente stimolati dalla sottostante mutazione genetica diventando così iperfunzionanti [1, 4].

Il trattamento appropriato in pazienti MEN1 con IPP è ancora sotto discussione. Attualmente, sono indicati due tipi di approccio chirurgico: la paratiroidectomia subtotale 7/8 (PTST), che prevede l’asportazione di tutte le ghiandole paratiroidee ad eccezione di un piccolo frammento lasciato in situ; e la paratiroidectomia totale (PTT), con asportazione di tutte le ghiandole paratiroidi e re-impianto autologo a carico dell’avambraccio della mano non dominante. In entrambi gli approcci, deve essere associata la timectomia trans-cervicale (o almeno l’asportazione di entrambi i corni timici) per rimuovere eventuali paratiroidi sovrannumerarie intra-timiche e per prevenire lo sviluppo del carcinoide timico [4, 5].

La paratiroidectomia subtotale è la procedura più comunemente eseguita e richiede l’identificazione di tutte le ghiandole paratiroidi, lasciando un frammento di circa 20–50 mg di quella macroscopicamente sana o comunque meno patologica [2]. La dissezione deve essere meticolosa per preservare la delicata arteria terminale del frammento ed evitare l’ipoparatiroidismo definitivo. In quest’ottica, il frammento paratiroideo prescelto per essere lasciato in situ deve essere preparato prima della resezione delle altre ghiandole, per accertarsi dell’assenza di sanguinamento o ischemia. Inoltre, è opportuno repertare il frammento lasciato in situ mediante filo non riassorbibile o clip metallica per facilitare l’eventuale identificazione futura in caso di IPP persistente o recidivo. Per lo stesso motivo, può essere utile suturare il residuo ghiandolare lontano dal nervo laringeo ricorrente per facilitare la chirurgia in caso di re-intervento [4, 5]. Dopo 8–12 anni da una PTST eseguita con successo, IPP recidiva in circa il 50% dei pazienti euparatiroidei. Questo fattore, associato alla giovane età del primo intervento, sono alla base dei frequenti re-interventi che sono tipici dei pazienti affetti da MEN1 [2].

La paratiroidectomia totale consiste nell’identificazione e resezione di tutte le 4 ghiandole paratiroidi e reimpianto di un piccolo frammento di paratiroide sano a carico dell’avambraccio non dominante [4]. Questa procedura consente di monitorare l’avvenuto successo dell’autotrapianto mediante il dosaggio dei livelli sierici di paratormone (PTH) tramite prelievi ematici eseguiti bilateralmente a carico delle vene basiliche [4]. Lo scopo di questa tecnica è di rimuovere radicalmente tutto il tessuto paratiroideo – incluso quello compreso all’interno del timo e nei tessuti circostanti – per evitare recidive cervicali che sono difficili da trattare, e di ridurre il rischio di ipoparatiroidismo permanente grazie all’autotrapianto del residuo paratiroideo [4]. Il reimpianto paratiroideo deve essere preceduto dall’esame istologico estemporaneo per confermare la natura paratiroidea del frammento [5, 6]. Inoltre, un’eventuale chirurgia per recidiva a carico dell’avambraccio può essere eseguita in anestesia locale.

Entrambe le tecniche chirurgiche devono includere una meticolosa ricerca di eventuali paratiroidi ectopiche, che possono essere incontrate all’interno del timo, del solco tracheo-esofageo e a carico della guaina del fascio vascolo-nervoso del collo [5]. Inoltre, in quest’ottica risulta fondamentale l’ausilio fornito dal dosaggio del paratormone intraoperatorio, mediante il quale il chirurgo ottiene la conferma dell’asportazione di tutto il tessuto paratiroideo iperfunzionante.

Poiché queste tecniche sono gravate da un sostanziale rischio di ipoparatiroidismo definitivo (fino al 10%), parte del tessuto paratiroideo asportato dovrebbe essere criopreservato per consentire un eventuale successivo autotrapianto.

Entrambe le tecniche presentano dei limiti. Una chirurgia più estesa (PTT) è gravata da un aumentato rischio di ipoparatiroidismo permanente e lesione del nervo laringeo ricorrente. Un’ipocalcemia acuta può causare sintomatologia neuromuscolare che può variare dall’irritabilità a vere e proprie contrazioni. D’altro canto, una chirurgia meno estesa (PTST) comporta un aumentato rischio di recidiva con conseguente necessità di re-intervento (e aumentato rischio di complicanze) [5].

In una recente (2020) metanalisi eseguita da Nastos e collaboratori si riporta che la PTST raggiunge lo stesso livello di controllo di malattia della PTT, mantenendo un tasso inferiore di ipoparatiroidismo postoperatorio [3].

Esistono controversie riguardanti il timing dell’intervento chirurgico. Una paratiroidectomia precoce riduce l’esposizione a lungo termine a elevati livelli di paratormone con conseguente minore impatto sul metabolismo osseo. Il controllo dell’ipercalcemia è inoltre importante nei pazienti con sindrome di Zollinger-Ellison in cui gli elevati livelli di calcio favoriscono la secrezione di gastrina: in questi pazienti, la paratiroidectomia deve essere eseguita prima o durante la chirurgia addominale [7]. Tuttavia, è necessario precisare che la farmacoterapia per la sindrome di Zollinger-Ellison è molto efficace e, pertanto, la presenza di iperparatiroidismo e sindrome di Zollinger-Ellison non rappresenta un’indicazione sufficiente alla paratiroidectomia in pazienti con MEN1 [2].

D’altro canto, una paratiroidectomia precoce predispone a una possibile precoce recidiva con il conseguente rischio aumentato di complicanze. In quest’ottica, una paratiroidectomia più tardiva può risultare più semplice poiché le ghiandole si presenterebbero ingrandite e, dunque, più facilmente identificabili e asportabili, ma il prezzo sarebbe una prolungata esposizione all’ipercalcemia [1].

Iperparatiroidismo primario nella sindrome MEN2A

L’IPP nella sindrome MEN2A è meno comune: circa il 20–30% dei pazienti ne risultano affetti. La presenza della mutazione sul codone 634 è ritenuta essere altamente associata allo sviluppo di IPP. I criteri diagnostici e l’indicazione all’intervento chirurgico in questa coorte di pazienti sono simili a quelli riportati in caso di IPP sporadico [2].

L’IPP nei pazienti MEN2A differisce sensibilmente da quello dei pazienti MEN1. Nei pazienti con MEN2A, il carcinoma midollare della tiroide guida il quadro clinico e l’IPP è solitamente diagnosticato contemporaneamente o successivamente alla tiroidectomia. Inoltre, in caso di MEN2A, l’IPP si presenta in forma più lieve, spesso asintomatico e generalmente causato da una singola paratiroide ingrandita (seppur una patologia multighiandolare sia possibile) e l’approccio chirurgico può essere dunque meno aggressivo [1]. Ad ogni modo, sebbene possano essere ingrandite meno di 4 paratiroidi, tutte le ghiandole devono essere identificate e, pertanto, un’esplorazione cervicale bilaterale risulta necessaria. Centralizzare questi pazienti in centri endocrinochirurgici ad alto volume risulta, pertanto, di primaria importanza.

Il trattamento chirurgico si deve limitare all’asportazione delle sole ghiandole adenomatose; in caso di coinvolgimento patologico di tutte le 4 paratiroidi, una paratiroidectomia subtotale (7/8) o totale con autotrapianto sono gli approcci di scelta [8, 9].

È importante sottolineare che non è attualmente indicato eseguire una paratiroidectomia sistematica nei pazienti MEN2 che richiedono chirurgia (profilattica o meno) per carcinoma midollare della tiroide con livelli normali di paratormone e calcio [10].

Iperparatiroidismo primario nella sindrome MEN4

MEN4 è l’ultima variante delle sindromi MEN. È caratterizzata da una considerevole sovrapposizione clinica con il profilo MEN1: tuttavia, i tumori paratiroidei e dell’ipofisi si presentano solitamente di più piccole dimensioni e meno aggressivi; anche i tumori neuroendocrini pancreatici sono stati descritti, sebbene con una penetranza minore rispetto alla MEN1. Tutte queste neoplasie possono presentarsi in associazione a tumori dell’apparato riproduttivo, surrenalici, renali e tiroidei. Attualmente pochi casi sono stati documentati e il quadro clinico esatto è tuttora in corso di definizione [8].

MEN4 è causata da una mutazione della linea germinale del gene CDKN1B. I pazienti MEN1-negativi con un fenotipo MEN-like devono sottoporsi a un’accurata valutazione clinica alla ricerca di possibili manifestazioni della sindrome MEN4; inoltre, un’analisi genetica alla ricerca della mutazione del gene CDKN1B dev’essere eseguita [8].

È descritto che l’IPP nella sindrome MEN4 colpisca circa l’80% dei pazienti con una predominanza nel sesso femminile. Rispetto alle forme MEN1, esordisce più tardivamente e con un quadro clinico più lieve. Non esistono indicazioni chirurgiche precise nei casi di MEN4 e, pertanto, l’approccio chirurgico consigliato è sovrapponibile a quello delle MEN1 [11, 12].

Sindrome dell’iperparatiroidismo ereditario – tumore della mandibola

La sindrome dell’iperparatiroidismo ereditario/tumore della mandibola (SIETM) è un raro disordine a trasmissione autosomica dominante a penetranza incompleta caratterizzato dallo sviluppo di tumori delle paratiroidi, fibromi ossificanti del massiccio facciale, neoplasie renali e uterine [13]. SIETM è causata dalla mutazione sulla linea germinale del gene CDC73 che codifica per la parafibromina, una proteina espressa ubiquitariamente e con proprietà principalmente antiproliferative [14].

La più comune – e talvolta unica – caratteristica di questa sindrome è l’IPP, presente in circa il 95% dei casi, mentre i fibromi ossificanti della mandibola/mascella sono presenti in circa il 30–40% dei casi [8]. L’IPP si manifesta generalmente nell’età giovane-adulta ed è generalmente dovuto a un singolo adenoma, spesso con caratteristiche di adenoma atipico; tuttavia, può essere presente un interessamento multighiandolare fino a un terzo dei casi. Inoltre, le recidive si verificano in circa il 20–25% dei casi. Importante tenere in considerazione che il carcinoma della paratiroide è relativamente frequente in questa sindrome (15–23% dei casi) [8, 13].

L’iperparatiroidismo è solitamente lieve o asintomatico; tuttavia, in caso di carcinoma della paratiroide, una crisi ipercalcemica è possibile.

A causa della rarità della sindrome, il miglior trattamento chirurgico risulta essere tuttora dibattuto. Inizialmente il trattamento proposto era la paratiroidectomia subtotale o totale con autotrapianto a carico dell’avambraccio (anche se l’autotrapianto destava scetticismo a causa del rischio di sviluppo di carcinoma della paratiroide); più recentemente, è stato proposto un approccio più selettivo in considerazione dell’alta prevalenza di interessamento unighiandolare all’esordio, in modo da minimizzare le complicanze di chirurgiche. Ad ogni modo, un’esplorazione cervicale bilaterale è necessaria con rimozione di tutte le ghiandole paratiroidi macroscopicamente anormali [8, 13]. Inoltre, nel sospetto di carcinoma della paratiroide, una resezione in blocco della paratiroide con il lobo tiroideo omolaterale è necessaria [8].

Iperparatiroidismo familiare isolato

L’iperparatiroidismo familiare isolato (IFI) è una rara patologia ereditaria che costituisce l’1% di tutte le forme di IPP. La diagnosi è sostanzialmente di esclusione e prevede la presenza di almeno 2 parenti di primo grado affetti da IPP in assenza delle ulteriori manifestazioni cliniche non-paratiroidee che fanno parte delle altre note forme familiari di IPP (MEN1, MEN2, SIETM). Alcuni pazienti con IFI possono rappresentare delle varianti con penetranza incompleta di altre forme sindromiche di IPP: infatti, mutazioni sulla linea germinale di MEN1, CDC73 e CASR sono descritte in alcuni pazienti con IFI [15]. Ad ogni modo, la maggior parte dei pazienti non presenta mutazioni di geni noti, sollevando la questione se IFI si tratti di una variante di altre forme familiari o di una entità distinta [8].

L’esordio della patologia è generalmente intorno ai 20–25 anni. L’insorgenza di carcinoma della paratiroide è possibile, soprattutto in pazienti che presentano mutazione del gene CDC73.

Il trattamento di IFI è simile a quello delle altre forme familiari di IPP, ma l’approccio ottimale è ancora oggetto di discussione. Fondamentale è un accurato inquadramento genetico: difatti, alcuni autori hanno proposto la paratiroidectomia subtotale per i casi che presentano mutazione del gene MEN1, mentre è stata proposta l’esplorazione cervicale bilaterale con rimozione solo delle paratiroidi alterate in caso di mutazione del gene CDC73 (prestando particolare attenzione a eventuali segni di malignità) [8].

Inoltre, recentemente Guan e collaboratori hanno identificato la mutazione di GCM2 come responsabile della maggior parte degli IFI, proponendo questa sindrome come potenzialmente dovuta a una mutazione di un gene non coinvolto in altre forme familiari [16]. Pazienti con questa mutazione possono avere un coinvolgimento multighiandolare e, inoltre, è possibile anche l’insorgenza di carcinoma della paratiroide. Queste implicazioni sono importanti per il trattamento del paziente, in quanto richiedono un’esplorazione cervicale bilaterale con valutazione di tutte le 4 ghiandole paratiroidi e particolare attenzione a segni di malignità [15].

Iperparatiroidismo neonatale severo

L’iperparatiroidismo neonatale severo (INS) è un raro disordine autosomico recessivo dovuto all’inattivazione omozigote dei recettori sensibili al calcio (CaSR). Può essere caratterizzato da elevati livelli di calcemia e paratormone associati a distress respiratorio e ipotonia che possono mettere a rischio la vita del neonato. La diagnosi avviene solitamente nella prima settimana di vita ed è caratterizzata da un’alta mortalità se non prontamente trattata [8, 17].

Generalmente i neonati richiedono trattamento chirurgico subito dopo la nascita: la paratiroidectomia totale è la strategia preferita e consente di abbassare i livelli circolanti di calcio e paratormone senza rischio di recidiva. Una terapia farmacologica può essere necessaria per stabilizzare i pazienti preoperatoriamente: questa include idratazione, diuretici e bisfosfonati [18]. Inoltre, cinacalcet può rappresentare un’opzione terapeutica per controllare i livelli sierici di calcio e paratormone e consentire una chirurgia meno aggressiva (paratiroidectomia subtotale) o, addirittura, evitare l’intervento chirurgico in pazienti con iperparatiroidismo neonatale con mutazione eterozigote di CaSR e fenotipo non severo [19].

Conclusioni

Il trattamento chirurgico rimane il gold standard per tutte le forme di IPP familiare descritte. La strategia ottimale è dibattuta e richiede un accurato iter preoperatorio diagnostico svolto da endocrinologi esperti. La chirurgia deve mirare a mantenere livelli normali di calcemia per il più lungo tempo possibile, evitare complicanze iatrogene e facilitare futuri re-interventi per recidiva. Al fine di ottenere questi obiettivi, centralizzare questi pazienti in centri endocrinochirurgici ad alto volume è di primaria importanza. Il dosaggio intraoperatorio dei livelli di PTH è diventato routinario per questi interventi al fine di ottimizzare i risultati chirurgici.