Introduzione

Dalla loro introduzione in clinica negli anni ’50, i corticosteroidi sono stati ampiamente utilizzati per il trattamento cronico di varie patologie e sono i più efficaci agenti antinfiammatori noti. Nei casi di trattamento prolungato e/o con dosi elevate, la loro sospensione in modo inappropriato può causare tre complicanze: insufficienza surrenalica secondaria (ISS) da soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (hypothalamic-pituitary-adrenal axis, HPA), riattivazione della malattia sottostante e sindrome da privazione steroidea (steroid withdrawal syndrome, SWS) [1].

La complicanza più temuta della scorretta interruzione steroidea è la soppressione dell’asse HPA, che porta all’ISS. La soppressione può essere parziale o totale, con possibile atrofia completa delle ghiandole surrenaliche, con necessità di adottare una terapia steroidea sostitutiva, talora a tempo indeterminato. L’ISS è caratterizzata da anoressia, vomito, astenia, mialgie e depressione; tale quadro clinico si estremizza nei casi di crisi surrenalica con possibile exitus [1].

La recrudescenza della malattia sottostante, durante tapering steroideo, viene diagnosticata in base alla ricomparsa delle manifestazioni della patologia stessa. In questi casi può essere utile una gestione multi-disciplinare per l’adeguamento della terapia steroidea [1].

La SWS presenta gli stessi caratteri clinici dell’ISS (eccetto per la febbre [2]), ma in presenza di evidenza biochimica di integrità dell’HPA. Tale sindrome è autolimitante (durata 6–10 mesi) e si può trattare con un temporaneo aumento della dose steroidea, seguita da un lento tapering [1]. In questi casi risulta efficace, nonché sicuro, per il paziente intraprendere un percorso di psicoterapia al fine di alleviare il quadro astinenziale da steroidi.

Rischio di ISS e follow-up nel tapering

Le principali variabili che influenzano la sospensione steroidea sono: 1) variabilità individuale; e 2) i caratteri della terapia corticosteroide in atto (tipo di farmaco, durata, dose cumulativa).

I pazienti con fenotipo cushingoide hanno in genere un HPA soppresso e sono ad alto rischio di sviluppare complicanze correlate alla sospensione steroidea. I corticosteroidi sono classificabili a seconda della durata dell’effetto sulla soppressione dell’ACTH: azione breve (cortisone acetato, idrocortisone – HC) con soppressione <36 h; azione intermedia (prednisone, metilprednisolone) con soppressione ≈ 48 h; azione prolungata (desametasone, betametasone, triamcinolone) con soppressione >48 h. I pazienti sottoposti a corticosteroidi a lunga durata d’azione o a dosi >10–12 mg/m2/die HC-equivalenti o per periodi prolungati (>7–14 giorni), per via orale o parenterale, sono i soggetti più a rischio di sviluppare complicanze associate allo svezzamento steroideo [1]. La dose cumulativa totale (soprattutto se nell’ordine di grammi prednisone-equivalenti) e la durata della terapia (soprattutto se molti mesi o anni) sono le due variabili principali che condizionano il rischio di ISS.

La sintomatologia dell’ISS non è specifica e deve essere documentata attraverso i risultati delle prove di laboratorio. La misurazione dell’ACTH mattutino è poco utilizzata per valutare l’ISS in considerazione della bassa precisione test-relata. È invece determinante la misurazione del cortisolo basale: valori <3–5 mcg/dL permettono una diagnosi di ISS; valori >10–15 mcg/dL indicano in genere una normale funzione. I valori intermedi suggeriscono la necessità di eseguire test dinamici, quali il test di stimolo con ACTH sintetico effettuato con dose bassa e.v. di 1 mcg, più sensibile rispetto al test con 250 mcg. Quando i risultati del test all’ACTH sono normali (cortisolo >18 mcg/dl), si può considerare che il recupero dell’HPA sia stato ristabilito. È importante che i saggi di cortisolo siano eseguiti dopo la sospensione della terapia steroidea o almeno 24–48 h dopo l’ultima dose (ad eccezione del desametasone, gli altri corticosteroidi interferiscono con i risultati). Nei casi in cui non sia possibile valutare l’integrità dell’HPA, in casi di trattamenti steroidei prolungati e/o con dosi elevate, il rischio di complicanze deve essere considerato fino a 1 anno dalla sospensione della terapia [1].

Modalità di trattamento dell’ISS da sospensione di terapia steroidea cronica

Normalmente i segni e sintomi clinici di ISS insorgono quando la dose di corticosteroide è stata ridotta a 5–7,5 mg prednisone-equivalenti. Dosi maggiori, infatti, sono in grado di coprire ampiamente il fabbisogno fisiologico. In caso di prevista sospensione della terapia steroidea cronica, una volta raggiunta questa dose, è necessario avviare una terapia sostitutiva se il rischio clinico di ISS è molto alto o se i test diagnostici hanno documentato un ipocortisolismo. Un possibile approccio è quello di convertire il paziente a 20 mg HC quando ha raggiunto una dose di 5 mg prednisone-equivalente [3]. Tuttavia, questa strategia lascia aperto il rischio di una ripresa della malattia di base. In alternativa, è possibile combinare terapia anti-infiammatoria e terapia sostitutiva (es. 2,5 mg prednisone al mattino e 10 mg HC alle ore 13–14) fino a successivo completo passaggio alla terapia sostitutiva con HC 20 mg/die. Il successivo monitoraggio del cortisolo basale pre-assunzione di HC fornirà informazioni su quando sarà possibile sospendere la terapia sostitutiva. HC a rilascio immediato è la terapia più adeguata durante il switch da terapia anti-infiammatoria a terapia sostitutiva, sia per la generale transitorietà del problema, sia per la possibilità di effettuare graduali riduzioni del dosaggio. Il preparato di HC a doppio rilascio potrà essere eventualmente preso in considerazione successivamente, una volta che sia stata documentata una forma cronica, non reversibile di ISS.