Sommario
L’obesità è una malattia cronica, progressiva e recidivante che necessita, come tale, di un trattamento multidisciplinare a lungo termine. L’intervento sullo stile di vita e le modifiche comportamentali rappresentano le pietre miliari nella gestione di tale patologia ma non consentono di ottenere un decremento ponderale rilevante e duraturo in tutti i pazienti. D’altra parte, la chirurgia bariatrica, sebbene efficace nel determinare una significativa perdita di peso, è indicata nelle forme più gravi di obesità. La terapia farmacologica rappresenta, quindi, l’opzione terapeutica in grado di colmare il divario tra questi due estremi di trattamento. Negli ultimi anni, grazie all’ampliamento delle conoscenze sui meccanismi fisiologici che regolano il metabolismo energetico, lo scenario farmacologico si sta arricchendo di molecole innovative in grado di agire su nuovi bersagli terapeutici e di determinare risultati altamente competitivi con quelli sino ad ora garantiti soltanto dalla chirurgia bariatrica.
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Introduzione
Il trattamento dell’obesità rappresenta ancora oggi una sfida per il clinico. Le linee guida raccomandano un approccio multidisciplinare integrato alla base del quale vi è l’intervento sulla dieta e lo stile di vita, in associazione alle terapie comportamentali che, sebbene indispensabili, non consentono in tutti i pazienti con obesità il raggiungimento dell’obiettivo di decremento ponderale auspicabile e, soprattutto, il mantenimento nel lungo termine. Negli ultimi anni, numerosi studi ed evidenze cliniche hanno dimostrato l’efficacia della chirurgia bariatrica metabolica in termini sia di un significativo decremento ponderale sia di un miglioramento delle comorbidità associate. In questo scenario, per molto tempo, la terapia farmacologica ha avuto un ruolo secondario, in parte per la ridotta disponibilità di molecole efficaci e, in parte, per una diffusa convinzione che la gestione del peso corporeo fosse interamente controllabile dall’individuo e, dunque, che l’obesità fosse solo una conseguenza diretta di comportamenti alimentari inappropriati. In quest’ottica, l’utilizzo di interventi strutturati o di terapia farmacologiche è stato negli anni molto limitato. D’altra parte, il mancato riconoscimento dell’obesità come patologia ha reso ancora più complesso il ricorso alle terapie farmacologiche. Le più recenti acquisizioni scientifiche hanno chiaramente dimostrato la presenza di meccanismi biologici che regolano il bilancio energetico e che si oppongono alla perdita di peso o ne favoriscono la ripresa a lungo termine. Una migliore conoscenza di tali meccanismi ha favorito l’individuazione di nuove molecole, alcune già disponibili, altre in attesa di approvazione, per il trattamento dell’obesità a lungo termine che verranno discusse brevemente in questa rassegna.
Farmaci attualmente disponibili in Italia
Attualmente in Italia disponiamo di tre farmaci approvati dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Tabella 1). Sebbene sia presente sul mercato statunitense l’associazione fentermina/topiramato, questa non ha ottenuto l’approvazione da parte dell’agenzia europea per i farmaci (EMA) e, dunque, non sarà oggetto di questa trattazione. Secondo le linee guida, l’utilizzo della terapia farmacologica, in aggiunta alla dieta e all’esercizio fisico, è indicata in pazienti adulti con un indice di massa corporea superiore a 30 kg/m2 o superiore 27 kg/m2, se presenti patologie correlate all’obesità.
Orlistat
L’orlistat è un potente inibitore selettivo della lipasi gastrica e pancreatica in grado di ridurre l’assorbimento dei grassi alimentari con un aumento della loro escrezione fecale. La percentuale di grassi che vengono escreti con l’uso di orlistat aumenta in modo dose-dipendente, stabilizzandosi intorno al 30–35% per dosaggi di 180–360 mg al giorno, rispetto a una normale escrezione di grasso fecale del 5%. Orlistat non determina inibizione delle lipasi sistemiche e il suo assorbimento sistemico è inferiore all’1% della dose somministrata [1].
Una metanalisi di 16 studi clinici randomizzati controllati (RCT) con placebo, che includevano oltre 10.000 pazienti, ha evidenziato che il trattamento con orlistat al dosaggio di 120 mg due volte al giorno determinava una riduzione del peso corporeo maggiore del 2,9% (95% CI: 2,5–3,4%) rispetto al gruppo di controllo. Oltre alla riduzione del peso corporeo, orlistat è risultato significativamente più efficace del placebo nel migliorare diversi fattori di rischio cardiovascolare, quali riduzione del colesterolo totale, colesterolo LDL, rapporto LDL/HDL, trigliceridi e pressione arteriosa [1].
Il trattamento con orlistat ha dimostrato nei pazienti con obesità e diabete di tipo 2, oltre al decremento ponderale, il miglioramento del compenso glicemico con riduzione dei livelli di emoglobina glicosilata, glicemia a digiuno e insulinemia [1].
Lo studio XENical in the prevention of diabetes in obese subjects study (XENDOS) condotto su oltre 3000 pazienti trattati per 4 anni con orlistat (240 mg/die) ha dimostrato una riduzione dell’incidenza di diabete mellito di tipo 2 pari al 37% rispetto al solo intervento sullo stile di vita [2].
Gli effetti collaterali più comuni del farmaco sono di tipo gastrointestinale (flatulenza, steatorrea, urgenza e incontinenza fecale) e sono correlati alla quantità di grasso eliminato con le feci e, dunque, più frequenti nei soggetti che consumano dieta iperlipidiche.
A causa del malassorbimento dei grassi, il rischio di carenze vitaminiche liposolubili è considerevolmente aumentato ed è, pertanto, consigliata l’integrazione con vitamine A, D ed E da somministrare 2 ore prima o 2 ore dopo l’ultima somministrazione di orlistat. Allo stesso modo, il farmaco può interferire con l’assorbimento di alcuni farmaci.
Orlistat è in commercio come farmaco con obbligo di ricetta al dosaggio di 120 mg e come farmaco senza obbligo di ricetta (OTC) alla dose ridotta di 60 mg.
Gli effetti indesiderati associati a una modesta perdita di peso hanno limitato l’utilizzo di questo farmaco per il trattamento dell’obesità.
Naltrexone/bupropione
L’associazione a lento rilascio di naltrexone/bupropione è costituita rispettivamente da un antagonista oppioide e da un antidepressivo noradrenergico/dopaminergico, in grado di agire sinergicamente sul nucleo arcuato dell’ipotalamo e sul sistema di gratificazione dopaminergico mesolimbico, riducendo l’assunzione di cibo e aumentando la sazietà. Il bupropione inibisce selettivamente il riassorbimento di dopamina e noradrenalina e attiva i neuroni della proopiomelanocortina (POMC) nell’ipotalamo con effetto di riduzione dell’introito calorico e incremento della spesa energetica. Il naltrexone, bloccando l’autoinibizione della POMC mediata dal recettore degli oppioidi, potenzia lo stimolo del bupropione sui neuroni POMC, amplificando in tal modo i suoi effetti sul bilancio energetico [3].
Entrambi i farmaci sono utilizzati in monoterapia per il trattamento delle dipendenze da sostanze (nicotina, alcol); la combinazione ha un effetto sinergico sui circuiti di ricompensa del sistema nervoso centrale. L’efficacia di tale combinazione farmacologica è stata valutata, in associazione a dieta ipocalorica e attività fisica, in un programma di studi randomizzati di fase III, controllati con placebo, della durata di 52 settimane (Contrave Obesity Research) su soggetti con obesità o sovrappeso.
In questi studi, la perdita di peso media è stata di circa il 6,1% (vs 1,3% con placebo) in associazione a dieta e attività fisica [3]. L’efficacia è risultata, come atteso, lievemente inferiore nei soggetti con diabete, i quali hanno ottenuto un decremento del 5% (vs 1,8% con placebo), sebbene si sia raggiunta una significativa riduzione dei valori di emoglobina glicosilata (-0,6% vs 0,1%, \(p\) <0,001), e un miglioramento del profilo lipidico (colesterolo totale, HDL, trigliceridi) rispetto al placebo [4].
La combinazione naltrexone/bupropione è disponibile in una dose fissa di 8 mg di naltrexone a lento rilascio e 90 mg di bupropione, che viene titolata gradualmente in 4 settimane fino al dosaggio massimo di due compresse due volte al giorno.
Durante la titolazione, circa 1/3 dei pazienti riporta come principale evento avverso la nausea; altri, meno comuni, sono la stipsi, la cefalea, il vomito, le vertigini e la secchezza delle fauci. Per il suo effetto simpaticomimetico, bupropione può indurre un modesto incremento della pressione arteriosa (1 mmHg) e della frequenza cardiaca (1–3 bpm) nelle prime settimane di trattamento. Negli studi clinici, non è stato dimostrato un incremento di episodi di depressione, idee e comportamento suicidario rispetto al placebo. Per quanto riguarda la sicurezza cardiovascolare di questo trattamento nei pazienti ad elevato rischio cardiovascolare non sono ancora disponibili dati definitivi, sebbene i risultati preliminari dello studio LIGHT, disegnato per valutare l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori in soggetti trattati con naltrexone/bupropione o placebo e interrotto precocemente per violazione del protocollo, suggerirebbero una riduzione degli eventi nel gruppo trattato con il farmaco [5]. Il farmaco non deve essere utilizzato in pazienti con storia di convulsioni, tossicodipendenza e bulimia e/o anoressia nervosa o in trattamento con oppiacei.
Liraglutide
Liraglutide è un agonista del recettore del Glucagon-Like Peptide-1 (GLP-1), un ormone incretinico di origine intestinale in grado di regolare l’omeostasi del glucosio, il senso di sazietà e l’assunzione di cibo. Per la sua capacità di stimolare la secrezione insulinica glucosio-dipendente e ridurre il rilascio di glucagone è stato utilizzato inizialmente per il trattamento del diabete mellito di tipo 2 al dosaggio massimo di 1,8 mg/die. Liraglutide è, inoltre, in grado di rallentare lo svuotamento gastrico, regolare l’appetito e la sazietà agendo sul nucleo arcuato dell’ipotalamo e sul nucleo del tratto solitario, inducendo, in tal modo, decremento ponderale.
L’effetto sulla perdita di peso è dose-dipendente ed è, per questo, stato approvato per la gestione dell’obesità al dosaggio di 3,0 mg una volta al giorno [6].
L’efficacia di liraglutide, in combinazione con dieta ipocalorica e attività fisica, rispetto al placebo, è stata valutata in quattro studi di 56 settimane denominati Satiety and Clinical Adiposity Liraglutide Evidence (SCALE) e condotti su pazienti con obesità, prediabete e diabete di tipo 2.
I pazienti trattati con liraglutide 3 mg hanno ottenuto un decremento ponderale medio dell’8%, significativamente maggiore rispetto ai soggetti trattati con placebo (2,6%, \(p\) <0,0001), un miglioramento dei parametri metabolici (riduzione della pressione arteriosa, della circonferenza vita, miglioramento del profilo lipidico) e la riduzione dell’incidenza di diabete di tipo 2 [6, 7]. I dati sull’efficacia sono stati confermati anche a lungo termine: dopo 3 anni di trattamento con liraglutide 3 mg, il 66% dei soggetti con obesità e prediabete regredivano a una condizione di normoglicemia rispetto al 36% dei soggetti in trattamento con placebo. Il decremento ponderale a 3 anni si manteneva significativamente maggiore nei soggetti trattati con liraglutide rispetto al placebo (-6,1 vs -1,9% rispettivamente, \(p\) <0,0001) [8]. Nello studio SCALE Maintenance, i soggetti sono stati randomizzati a farmaco o placebo dopo un periodo di trattamento con dieta ipocalorica di 12 settimane; il trattamento con liraglutide, a 52 settimane, garantiva un ulteriore decremento ponderale, suggerendo la possibilità di utilizzare efficacemente il farmaco nelle fasi di trattamento successive alla modifica dello stile vita per favorire il mantenimento del peso perso [9]. Nello studio SCALE Sleep apnea sono, inoltre, emersi benefici derivanti dall’utilizzo di liraglutide 3 mg nel miglioramento dei sintomi legati alle apnee notturne con una riduzione significativa dell’indice di apnea-ipopnea (AHI) e conseguente miglioramento della saturazione di ossigeno e della qualità del sonno [10].
Gli eventi avversi più frequenti sono di origine gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea, stipsi, dispepsia e dolore addominale), generalmente transitori e dose dipendenti: una corretta titolazione con incremento graduale della dose giornaliera può migliorare la tollerabilità. È stato osservato un lieve aumento della frequenza cardiaca (2–3 battiti al minuto), reversibile con la sospensione del trattamento. La sicurezza cardiovascolare di liraglutide al dosaggio massimo di 1,8 mg è stata valutata nello studio Liraglutide Effect and Action in Diabetes: Evaluation of Cardiovascular Outcome Results (LEADER) condotto su oltre 9.000 pazienti con diabete mellito di tipo 2. Durante un follow-up mediano di circa 4 anni, la mortalità per cause cardiovascolari, infarto miocardico non fatale o ictus non fatale nei soggetti trattati con liraglutide era significativamente inferiore rispetto al placebo (HR = 0,87; IC 95% = 0,78–0,97; \(p\) <0,001) [11]. Alcuni studi preclinici attribuiscono un’azione antinfiammatoria e antiaterogena alla molecola che, insieme al miglioramento del compenso glicometabolico, potrebbe spiegare gli effetti di protezione cardiovascolare. Alcuni dati suggeriscono, inoltre, che tale beneficio possa essere in parte correlato alla riduzione del grasso viscerale ed ectopico indotta da liraglutide, come dimostrato in uno studio recente condotto su soggetti con obesità o sovrappeso ad alto rischio cardiovascolare in trattamento con liraglutide 3 mg nei quali dopo 40 settimane è stata dimostrata una riduzione significativa del grasso viscerale ed epatico, valutato mediante risonanza magnetica nucleare [12].
Il profilo di sicurezza e di efficacia di liraglutide è stato valutato anche in soggetti di età compresa tra 12 e 18 anni e per questo è stato recentemente approvato per il trattamento dell’obesità anche negli adolescenti [13].
Nuove prospettive terapeutiche
Semaglutide
Semaglutide è un analogo del GLP-1 umano con un’omologia strutturale del 94% con l’ormone nativo, approvato per il trattamento del diabete di tipo 2 negli adulti al dosaggio massimo di 1 mg una volta alla settimana. Come tutti gli analoghi del GLP1, l’effetto sul peso corporeo è dose dipendente. Per questo, dosaggi più elevati sono stati studiati per il trattamento dell’obesità nel programma Semaglutide Treatment Effect in People with Obesity (STEP) che ha valutato l’efficacia e la sicurezza di semaglutide somministrato per via sottocutanea alla dose di 2,4 mg/settimana in persone con sovrappeso o obesità, con o senza complicanze Dopo 68 settimane, i soggetti in trattamento con semaglutide 2.4 mg ottenevano un decremento ponderale del 14,9% a confronto con il 2,4% del gruppo placebo [14]. Circa il 70% dei soggetti trattati con semaglutide otteneva una perdita di peso di almeno il 10% e circa 1/3 raggiungeva addirittura il 20% di decremento ponderale. L’efficacia è stata valutata anche in soggetti con obesità e diabete tipo 2 nei quali il trattamento con semaglutide 2,4 mg per 68 settimane determinava una riduzione media del peso corporeo del 9,64% (vs 3,42% con placebo) con una significativa riduzione dei livelli di emoglobina glicosilata (-1,6 vs 0,4%, rispettivamente) nonché un miglioramento del profilo lipidico e infiammatorio [15]. I benefici sul peso corporeo di semaglutide ad alto dosaggio sembrano essere superiori a quelli ottenibili con liraglutide 3 mg che rappresenta in atto l’unico analogo del GLP1 approvato per il trattamento dell’obesità in Italia [16]. Semaglutide sembrerebbe avere un effetto sulla riduzione del desiderio di cibo maggiormente pronunciato rispetto a liraglutide, suggerendo un diverso meccanismo d’azione sulle vie centrali di regolazione del bilancio energetico [16].
Sebbene le evidenze attuali siano limitate a studi preclinici, i dati suggeriscono che la perdita di peso associata a semaglutide sia mediata a livello centrale dall’attivazione di aree del SNC coinvolte nel controllo dell’appetito e nella ricompensa, inclusi i circuiti neurali dell’ipotalamo, il nucleo arcuato, i neuroni proopiomelanocortinici e il nucleo del tratto solitario. Gli eventi avversi più comuni, anche per questa molecola, sono di origine gastrointestinale, nausea, vomito, diarrea e stipsi, che sono per lo più transitori e di gravità da lieve a moderata. La sicurezza cardiovascolare di semaglutide al dosaggio di 0,5–1 mg nei pazienti con diabete di tipo 2 ad alto rischio cardiovascolare è stata dimostrata nello studio SUSTAIN 6 [17]. I dati sugli esiti cardiovascolari di semaglutide ad alto dosaggio nei pazienti con obesità e precedenti cardiovascolari è oggetto di valutazione nello studio Semaglutide Effects on Cardiovascular Outcomes in People with Overweight or Obesity (SELECT) che ci fornirà, non appena concluso, importanti informazioni sulla prevenzione cardiovascolare anche in soggetti non diabetici ma a elevato rischio cardiovascolare. Nel novembre 2021, il comitato per i medicinali per uso umano (CMPHU) della European Medicines Agency (EMA) ha raccomandato l’approvazione di semaglutide per il trattamento dell’obesità.
Tirzepatide
Tirzepatide è una molecola con attività di doppio agonista recettoriale gastric inhibitory peptide (GIP)/GLP1 con una maggiore affinità per i recettori del GIP.
Il GIP esercita una varietà di importanti effetti fisiologici in diversi tessuti: oltre alla sua espressione nel pancreas, dove media effetti insulinotropici, il recettore del GIP umano è ampiamente espresso nell’intestino e nel tessuto adiposo dove svolge un ruolo fondamentale nella regolazione della sensibilità insulinica, dell’omeostasi lipidica e del metabolismo energetico. Il trattamento combinato con il GLP-1 è in grado di indurre effetti additivi sulla regolazione del metabolismo del glucosio e del peso corporeo e per questo è stato sviluppato come trattamento per il diabete di tipo 2. I dati provenienti dagli studi SURPASS condotti su pazienti diabetici dimostrano che il trattamento con tirzepatide è in grado di determinare una riduzione significativa dei livelli di emoglobina glicosilata ai tre dosaggi disponibili (-1,87% con 5 mg, -1,89% con 10 mg e -2,07% con 15 mg) rispetto al placebo (+0,04%) dopo 40 settimane [18]. Contemporaneamente, è stato dimostrato un effetto dose dipendente sul peso corporeo, determinando un decremento ponderale pari al 7,9, 9,3 e 11% del peso corporeo, rispettivamente con il dosaggio di tirzepatide 5 mg, 10 mg e 15 mg rispetto al placebo (-0,9%) [18]. I dati sul decremento ponderale sembrano essere rilevanti anche quando paragonati a semaglutide 1 mg: nello studio SURPASS 2 condotto su pazienti diabetici le riduzioni medie del peso corporeo con tirzepatide alla dose di 5 mg, 10 mg e 15 mg sono state rispettivamente di -7,6 kg, -9,3 kg e -11,2 kg, rispetto a -5,7 kg ottenuti con semaglutide 1 mg (\(p\) <0,001 per tutti i confronti) [19]. Il profilo di sicurezza negli studi SURPASS è simile a quello degli agonisti selettivi del recettore del GLP-1 con effetti collaterali prevalentemente gastrointestinali (nausea, diarrea) e un lieve incremento della frequenza cardiaca. Tirzepatide, al momento in attesa di approvazione come farmaco per il trattamento del diabete tipo 2, potrebbe fornire importanti implicazioni cliniche anche nel trattamento del paziente con diabete e obesità.
Cagrilintide
Cagrilintide è un analogo dell’amilina acilata a lunga durata d’azione con elevata omologia con l’amilina naturale, peptide neuroendocrino co-secreto con l’insulina (in un rapporto di circa 1:10–100) dalle cellule beta del pancreas in risposta all’introito di nutrienti [20].
L’amilina nativa riduce l’apporto energetico ed è coinvolta nella regolazione dell’appetito e della sazietà attraverso l’attivazione dei recettori nell’area postrema e nel nucleo del tratto solitario, rallenta lo svuotamento gastrico e riduce la secrezione di glucagone.
Cagrilintide è, dunque, in grado di ridurre l’assunzione di cibo e il peso corporeo in modo dose-dipendente. Uno studio di fase 2, randomizzato, controllato, della durata di 26 settimane ha valutato l’effetto di dosi crescenti di cagrinlintide per via sottocutanea una volta alla settimana (0,3, 0,6, 1,2, 2,4 o 4,5 mg) rispetto al placebo o a liraglutide 3,0 mg. Il decremento ponderale medio rispetto al basale con cagrilintide era compreso tra il 6 e il 10,8% e, dunque, superiore rispetto al placebo (3%, \(p\) <0,001) e a liraglutide 3,0 mg (9%, \(p\) = 0,03) [20].
Il trattamento con cagrilintide ha determinato miglioramento del profilo lipidico e riduzione significativa dei livelli di insulinemia a digiuno, mentre non è stata osservata alcuna differenza nei livelli di emoglobina glicosilata e glicemia a digiuno. I soggetti trattati con cagrinlintide hanno riportato un migliore controllo emotivo e cognitivo sull’alimentazione.
Gli eventi avversi più frequenti sono stati disturbi gastrointestinali (nausea, stipsi e diarrea) e reazioni nel sito di somministrazione [20].
Cagrilintide/Semaglutide
La combinazione dell’analogo dell’amilina cagrilintide con semaglutide è stata valutata in uno studio di fase 1 su soggetti con obesità o sovrappeso [21]. Dopo 20 settimane di trattamento, il decremento ponderale medio era maggiore con cagrilintide al dosaggio di 1,2 mg, 2,4 mg e 4,5 mg (15,7, 17,1 e 15,4%, rispettivamente) sempre in associazione con semaglutide (dosaggio fisso di 2,4 mg s.c. una volta alla settimana) rispetto al placebo [21]. Gli eventi avversi più comuni riportati sono stati disturbi gastrointestinali, nausea, vomito e dispepsia di entità lieve o moderata. Sebbene sia cagrilintide che semaglutide inducano sazietà, essi sembrano agire su diverse regioni del cervello, il che potrebbe comportare un effetto additivo sulla regolazione dell’appetito.
Conclusioni
Sebbene l’obesità sia una malattia cronica, come il diabete di tipo 2 o l’ipertensione arteriosa, le strategie farmacologiche oggi a nostra disposizione sono limitate e non facilmente accessibili. La ricerca in quest’ambito sta implementando le possibilità terapeutiche con molecole dagli effetti rilevanti non solo sul decremento ponderale ma anche sul miglioramento delle patologie correlate all’obesità. L’innovazione farmaceutica non è, tuttavia, sufficiente: affinché i pazienti affetti da obesità ricevano cure adeguate alla loro patologia come avviene oggi per i pazienti, ad esempio, affetti da diabete, è necessario, prima di tutto, un radicale cambio di prospettiva da parte del clinico. È indispensabile superare l’inerzia terapeutica residua che ancora oggi non consente di sfruttare adeguatamente le risorse farmacologiche disponibili, seppur efficaci. D’altra parte, il riconoscimento formale dell’obesità come patologia cronica, sul quale alcuni passi avanti sono stati recentemente compiuti, è indispensabile per garantire ai pazienti un regolare accesso alle cure e il superamento dello stigma clinico sull’obesità.
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27 August 2022
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Open access funding provided by Università degli Studi di Catania within the CRUI-CARE Agreement.
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Conflitto di interesse
Le autrici Federica Vinciguerra e Lucia Frittitta dichiarano di non avere conflitti di interesse.
Consenso informato
Lo studio presentato in questo articolo non ha richiesto sperimentazione umana.
Studi sugli animali
Le autrici di questo studio non hanno eseguito studi sugli animali.
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Proposto da L. Sciacca.
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Vinciguerra, F., Frittitta, L. Terapia farmacologica dell’obesità: attualità e prospettive future. L'Endocrinologo 23, 275–280 (2022). https://doi.org/10.1007/s40619-022-01068-7
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