Sommario
L’infertilità, ossia l’assenza involontaria del concepimento dopo almeno un anno di rapporti sessuali mirati, riguarda il 15–20% delle coppie e il fattore maschile può essere responsabile, del tutto o in parte, in circa la metà dei casi. Il recente sviluppo di tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) ha reso possibile e praticabile la fecondazione per molti soggetti con una situazione di grave oligospermia o di azoospermia. L’impatto del fattore maschile sullo sviluppo dell’embrione, sull’impianto, sulla prevalenza di anomalie cromosomiche e sugli outcome clinici e ostetrici è ancora oggetto di controversie. Pertanto, la seguente rassegna prende in esame le indicazioni, i criteri minimi di accesso e gli outcome per singola tecnica di PMA in relazione al fattore maschile.
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Introduzione
Il fattore maschile è responsabile, in modo preponderante, del 30% circa dei casi di infertilità e di un ulteriore 20% come concausa [1]. Il fattore maschile severo include le condizioni di oligozoospermia severa e di azoospermia. Le cause sono generalmente riconducibili a forme pre-testicolari (ipotalamo ipofisarie, con valori di gonadotropine bassi), testicolari (caratterizzate da elevati valori di gonadotropine) e post-testicolari (con valori di gonadotropine generalmente nella norma). Inoltre, le manifestazioni possono essere pre-puberali o post-puberali, e associate o meno a forme genetiche [1, 2].
Nei casi di infertilità di coppia in cui il problema, nonostante un percorso diagnostico approfondito del fattore maschile, non sia risolvibile con il concepimento per via naturale anche dopo le opportune terapie, si può ricorrere a programmi di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). Tale decisione dipende anche da altri fattori, tra cui il grado di compromissione della potenzialità fecondante della coppia (età materna, riserva ovarica, causa dell’infertilità), durata dell’infertilità, funzione sessuale. Le tecniche di PMA si dividono in I livello, tra le quali la tecnica principale è l’inseminazione intrauterina (IUI), e in tecniche di II livello, ossia la In Vitro Fertilization – Embryo Transfer (FIVET) e la Intra Cytoplasmic Sperm Injection (ICSI), che prevedono il prelievo ovocitario e la fertilizzazione in vitro. Le tecniche vengono definite di III livello se richiedono l’utilizzo dell’anestesia generale (linee guida Istituto Superiore di Sanità, ISS) [3].
Lo scopo di questa rassegna è quello di valutare lo stato dell’arte sul ruolo del fattore maschile nella PMA, analizzando le indicazioni, i criteri minimi di accesso e gli outcome per singola tecnica.
I livello
Indicazioni per fattore maschile e criteri minimi di accesso
Le linee guida NICE [3] riportano come indicazioni alla IUI la difficoltà ad avere rapporti sessuali (disfunzioni sessuali o problematiche psicosessuologiche), coppie discordanti per infezioni sessualmente trasmissibili (HIV), cicli di eterologa con donazione del seme e coppie dello stesso sesso. Le linee guida italiane dell’ISS aggiungono un importante criterio, ossia l’infertilità maschile di grado lieve-moderato (Tabella 1). È importante notare come questo ultimo criterio dovrebbe essere attuato solo per i casi non altrimenti trattabili dopo relativo inquadramento clinico-diagnostico.
La preparazione del seme per la IUI ha lo scopo di separare gli spermatozoi dal plasma seminale sostituendolo con un terreno di coltura con pH ed equilibrio acido-base ottimali, così da ottenere un’alta percentuale di cellule mobili e fornire un campione incontaminato. Le tecniche sono il lavaggio semplice, lo swim up e la separazione per gradiente di densità.
Tuttavia, nonostante la preparazione del seme prima della tecnica, esistono dei criteri minimi di accesso alla tecnica. Nel tempo sono stati presi in considerazione diversi parametri e cut-off, i più frequenti sono (Tabella 1) [4]:
-
motilità totale: cut-off 30%;
-
morfologia: cut-off 5% forme tipiche;
-
total motile count (TMC), ossia il numero totale di spermatozoi mobili per eiaculato: cut-off 5–10 milioni;
-
inseminating motile count (IMC), ossia il numero di spermatozoi mobili per millilitro, dopo lavaggio: cut-off 0,8–5 milioni/ml;
-
IMC con cut-off 1 milione; questo parametro è stato considerato come livello di soglia ragionevole al di sopra del quale l’IUI può essere eseguita con tassi di gravidanza accettabili.
Outcome in relazione al fattore maschile
Una recente review Cochrane [5] ha confrontato le diverse tecniche di preparazione e il loro impatto sugli outcome clinici della IUI (gravidanza clinica, tassi di gravidanza in corso, tassi di gravidanza multipla o tassi di aborto spontaneo per coppia). Gli autori concludono che non esistono prove sufficienti per raccomandare una tecnica specifica di preparazione. Inoltre, sottolineano come nessuno studio abbia preso in considerazione il tasso di bimbi nati vivi.
Per quanto concerne l’impatto dei parametri seminali sull’outcome della IUI, la maggior parte degli studi riporta tassi di gravidanza che aumentano all’aumentare della TMC [6, 7]. In particolare, uno studio francese basato su un’ampia casistica ha riportato un tasso di gravidanza del 12,5% in presenza di una TMC >10 milioni, che si riduce a 5,2% con una TMC <1 milione [6]. In parziale disaccordo, un recente studio retrospettivo su 310 donne sottoposte a 655 cicli IUI non ha riscontrato nati vivi nei 28 cicli IUI in presenza di una TMC <2 milioni [8].
È noto come un elevato tasso di frammentazione del DNA (Dna Fragmentation Index, DFI) nemaspermico possa avere un impatto negativo sul potenziale fecondante. Un ampio studio ha mostrato come un alto DFI non modifichi il tasso di gravidanze dopo IUI; tuttavia, risulta associato a una maggiore prevalenza di aborto [9].
Per quanto concerne l’impatto dell’età paterna avanzata e di un aumentato Body Mass Index (BMI), i risultati non sembrerebbero univoci. In entrambi i casi, sono noti gli effetti negativi sulla qualità del liquido seminale, ma i dati specifici sull’outcome della IUI sono limitati [10].
II livello
Indicazioni per fattore maschile e criteri minimi di accesso
Le indicazioni alla FIVET riguardano prevalentemente il fattore femminile (fattore tubo-peritoneale, endometriosi di III o IV grado) (ISS, NICE). Per quanto riguarda il fattore maschile, le linee guida ISS indicano l’infertilità maschile di grado moderato, in particolare quando il trattamento medico-chirurgico o precedenti cicli di IUI non hanno dato risultati o sono stati giudicati non appropriati. Anche nei casi di utilizzo di seme crioconservato vi è indicazione alla PMA di II livello (FIVET o ICSI in relazione alla qualità seminale successiva allo scongelamento).
Per quanto concerne i criteri minimi di accesso, sono stati considerati (Tabella 1) [11]:
-
TMC: cut-off 0,2–1 milione;
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morfologia: cut-off 5% forme tipiche.
Tuttavia, negli ultimi anni si è assistiti a una tendenza di inversione tra FIVET e ICSI, anche in presenza di fattore maschile compatibile con la prima tecnica. Inoltre, una strategia utilizzata in diversi laboratori è lo “split IVF-ICSI”, ossia inseminare gli ovociti con entrambe le tecniche in simili percentuali.
Esistono poi le indicazioni assolute alla ICSI, rappresentate principalmente dal fattore maschile severo [11]: azoospermia ostruttiva (OA) e azoospermia non ostruttiva (NOA), previo recupero degli spermatozoi dal testicolo o dall’epididimo; acinesia (es. Immotile cilia syndrome); globozoospermia; anticorpi anti-spermatozoo; necrozoospermia (Tabella 1). Altre possibili indicazioni sono rappresentate dalla oligozoospermia severa o criptozoospermia, generalmente in presenza di fallimento a precedenti cicli di ICSI con spermatozoi da eiaculato o di un elevato tasso di frammentazione de DNA nemaspermico [12].
Le tecniche di recupero di spermatozoi consistono in: Percutaneous Epididymal Sperm Aspiration (PESA) e Microsurgical Epididymal Sperm Aspiration (MESA), dove gli spermatozoi vengono recuperati rispettivamente tramite agoaspirato o biopsia dall’epididimo, oppure direttamente dal testicolo mediante la Testicular Sperm Aspiration/Fine Needle Aspiration (TESA/FNA) e la conventional Testicular Sperm Extraction (c-TESE), o la sua variante micro-TESE (m-TESE).
Lo Sperm Retrieval Rate (SRR), ossia la percentuale di casi in cui vengono recuperati degli spermatozoi, è molto elevata in condizioni di OA, dove è prossima al 90–100%.
Nelle NOA, l’SRR riportato è molto variabile, con una media del 50%. Sono stati valutati come potenziali fattori predittivi del SRR l’origine della NOA, il fattore genetico, i livelli di FSH, di inibina B e la tecnica utilizzata (c-TESE vs m-TESE) [13]. Ad oggi non è stato identificato un fattore predittivo certo, né un cut-off di FSH specifico; tuttavia, una recente metanalisi di Corona e collaboratori ha messo in luce l’importanza del volume testicolare, evidenziando come fattore predittivo positivo un valore superiore a 12,5 ml [13].
Outcome in relazione al fattore maschile
Nelle prime fasi dello sviluppo embrionale in vitro è evidente un gap tra azoospermici/oligozoospermici severi e normospermici, per quanto riguarda la fertilization rate ovocitaria (ossia il numero di ovociti fecondati/numero di ovociti inseminati) e la blastocyst/rate (ossia il numero di blastocisti ottenute/numero di ovociti inseminati o fecondati), evidenziandone un impatto negativo [14, 15]. Ciò sembrerebbe legato al fatto che gli spermatozoi recuperati dal testicolo sono meno maturi e, di conseguenza, anche meno competenti [16].
Per quanto concerne l’impatto del fattore maschile sulla prevalenza di aneuploidie embrionarie, i dati sono ancora dibattuti. Uno studio condotto da Magli e collaboratori [14] riportava una maggiore prevalenza di aneuploidie in presenza di NOA. Tuttavia, l’analisi era stata effettuata su blastomeri di embrioni in terza giornata e con studio genetico FISH limitato ai cromosomi XY, 13, 15, 16, 17, 18, 21 e 22. Dati più recenti, condotti su un’ampia casistica di 1219 cicli, hanno evidenziato un tasso di aneuploidie sovrapponibile stratificando i cicli sulla base del fattore maschile (normozoospermia, oligozoospermia moderata, severa, OA e NOA) [15]. La sub-analisi per range di età femminile e per numero di ovociti recuperati ha confermato lo stesso risultato, evidenziando invece un forte impatto del fattore anagrafico femminile. Pertanto, una volta raggiunto lo stadio di blastocisti, il fattore maschile sembrerebbe essere meno determinante. Ciò potrebbe dipendere anche dal fatto che l’ovocita può “correggere” gli errori genetici, come ipotizzato in alcune segnalazioni presenti in letteratura.
D’altra parte, le coppie in cui il partner maschile è caratterizzato da una condizione di azoospemia tendono ad essere caratterizzate da partner femminili più giovani, in quanto ricevono indicazione alla PMA dopo un iter diagnostico-terapeutico più breve, quindi generalmente con una buona riserva ovarica associata e una migliore risposta alla stimolazione ovarica controllata. Queste caratteristiche spesso compensano la condizione maschile. Conseguentemente, una bassa riserva e ridotta risposta ovarica peggiorano la probabilità di ottenere un risultato positivo. A tal proposito, Mahesan e colleghi hanno valutato l’influenza dell’età materna sugli outcome clinici della ICSI utilizzando spermatozoi testicolari recuperati mediante biopsia, e concludono che le donne con un numero significativamente inferiore di ovociti presentano una minore probabilità di ottenere una blastocisti trasferibile [17].
Per ciò che concerne gli outcome riproduttivi, una riduzione della blastocist rate implica una riduzione del numero di blastocisti trasferibili e, dunque, una riduzione del tasso di gravidanza per ciclo iniziato ma non per singolo trasferimento di embrione; neppure la percentuale di gravidanze biochimiche e di aborti sembrerebbe legata al quadro seminologico, eccezion fatta per alcune segnalazioni riguardanti l’impatto della frammentazione del DNA nemaspermico sul tasso di aborti [9]. Inoltre, anche gli outcome ostetrici non sembrerebbero impattati negativamente dal fattore maschile [11, 15, 18], neppure confrontando cicli di trasferimento di embrioni congelati o meno. Esistono, tuttavia, delle segnalazioni che sottolineano come siano in realtà ancora necessari studi sulla salute dei nascituri a lungo termine e sul loro sviluppo neurocomportamentale.
In merito alle caratteristiche delle aneuploidie, Coates e collaboratori hanno evidenziato una maggior prevalenza di aneuploidie a carico dei cromosomi sessuali negli embrioni ottenuti da pazienti con fattore maschile severo rispetto ai pazienti normozoospermici [19]. Più recentemente, è stata valutata la prevalenza di aneuploidie dei cromosomi sessuali in 7549 blastocisti sottoposte a biopsia durante i test genetici preimpianto per aneuploidie (PGT-A) basati su qPCR; in questo studio le analisi di regressione logistica univariata e multivariata hanno mostrato che solo l’età materna e la morfologia della blastocisti sono correlate con la prevalenza di aneuploidie dei cromosomi sessuali (47,XXY; 47,XXX; 45,X) negli embrioni, ma non il fattore maschile [20].
Per quanto riguarda il fattore anagrafico maschile, sebbene la qualità del liquido seminale tenda a peggiorare con il passare degli anni, questo sembrerebbe avere un impatto meno determinante di quello femminile sull’outcome della PMA. Bartolacci e colleghi hanno suggerito che l’età paterna avanzata può avere un impatto negativo su fertilization rate ovocitaria e la blastocyst rate, senza però interferire sulla qualità, né sul tasso di gravidanze ottenute [21], mentre Gallo e collaboratori hanno osservato una associazione tra età paterna avanzata e riduzione della qualità embrionaria [22].
Management del fattore maschile prima della PMA
In considerazione dell’impatto che il fattore maschile può avere sull’outcome della PMA, è opportuno eseguire un corretto e adeguato iter diagnostico-terapeutico, volto a ridurre i fattori di rischio per il potenziale fecondante noti e modificabili (come fumo, alcol, sostanze stupefacenti, obesità), nonché all’individuazione di fattori eziopatogenetici [2, 23]. A tal proposito, Duca e collaboratori hanno mostrato come in un setting di 320 coppie candidate a PMA, dove la partner femminile presentava età inferiore ai 35 anni, nel 56% casi esisteva un fattore maschile “trattabile” e che, invece, aveva ricevuto indicazione a cicli di PMA [24]. Inoltre, Santi e colleghi hanno evidenziato come più del 35% dei partner maschili con infertilità idiopatica non riceva alcun trattamento specifico prima di essere sottoposti a PMA [25].
Conclusioni
In conclusione, il fattore maschile risulta essere meno determinante rispetto a quello femminile; tuttavia, sarebbe auspicabile programmare, oltre a un corretto counselling genetico e psicologico, anche la migliore performance seminologica nella fase preliminare dei programmi di PMA, tenendo in considerazione le potenzialità del trattamento (stabilire se esistono reali possibilità di migliorare i parametri e/o se esistono possibilità di recuperare spermatozoi) e la finestra di tempo a disposizione (in primis, l’età della donna) (Fig. 1). Infine, l’outcome della PMA può essere inficiato da fattori confondenti, quali l’età, la storia e la durata dell’infertilità, l’eventuale presenza di abortività/poliabortività, il lifestyle, che devono essere quindi attentamente valutati per un corretto computo dell’efficacia della PMA.
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27 August 2022
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Lo studio presentato in questo articolo non ha richiesto sperimentazione umana.
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Mazzilli, R., Ubaldi, F.M., Foresta, C. et al. Ruolo del fattore maschile nella Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). L'Endocrinologo 23, 247–251 (2022). https://doi.org/10.1007/s40619-022-01065-w
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