Introduzione

L’iperparatiroidismo primario (IPP) è una comune malattia endocrina caratterizzata da aumentati livelli di calcemia con livelli di paratormone aumentati o non soppressi. Nel corso degli ultimi decenni, lo spettro delle manifestazioni cliniche classiche, quali le complicanze ossee e renali, è cambiato consistendo in sintomi lievi o in una malattia apparentemente asintomatica; inoltre, sono state evidenziate manifestazioni cliniche non classiche, quali quelle cardiovascolari, gastrointestinali, neuromuscolari e articolari, disturbi neuropsicologici e decadimento cognitivo, alterazione dell’ematopoiesi e un aumentato rischio oncologico. Sia le manifestazioni classiche che quelle non classiche hanno come conseguenza una ridotta qualità di vita. Le manifestazioni cliniche non classiche, elencate in Tabella 1, non vengono in genere studiate sistematicamente nell’approccio al paziente affetto da IPP, a differenza di quanto avviene per quelle correlate allo scheletro e ai reni. Ad oggi mancano dati univoci che possano guidare il clinico nel considerare il rilievo delle manifestazioni cliniche non classiche di IPP un’indicazione all’intervento di paratiroidectomia (PTx).

Tabella 1 Manifestazioni non classiche di iperparatiroidismo primario. La maggior parte degli studi su cui si basa la tabella sono di associazione. Pochi sono gli studi che tendono a dimostrare un rapporto di causa/effetto, spesso condotti in casistiche poco numerose

Manifestazioni cardiovascolari

Tra le manifestazioni cliniche non classiche, quelle cardiovascolari rivestono un ruolo fondamentale in termini di comorbilità e mortalità. Nel corso degli ultimi venti anni sono stati condotti diversi studi in pazienti affetti da iperparatiroidismo primario (IPP), il cui obiettivo era quello di chiarire gli effetti del paratormone (PTH) e della calcemia in termini di mortalità, ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica, funzione ventricolare sinistra, calcificazioni valvolari e aritmie. La malattia cardiovascolare (CV) è stata documentata nella forma classica sintomatica di IPP; i dati sono contrastanti riguardo la persistenza e la reversibilità del quadro clinico dopo paratiroidectomia (PTx) così come nei pazienti affetti da IPP lieve o asintomatico [1].

Mortalità

In letteratura è riportato un aumento della mortalità nei pazienti con IPP. Ronni-Silvula e collaboratori [2] hanno dimostrato un aumento di 1,6 volte della mortalità generale e un aumentato rischio per morte CV, le cui cause più frequenti sono l’infarto acuto del miocardio (IMA), l’ictus cerebrale e lo scompenso cardiaco. Sembra che l’incidenza della mortalità tenda a ridursi dopo PTx, persistendo però a lungo nonostante la normalizzazione della calcemia e del PTH; ciò suggerisce, pertanto, l’instaurarsi di un danno organico irreversibile qualora l’insulto sul sistema CV sia protratto nel tempo. Questi studi, tuttavia, includevano per lo più pazienti con IPP classico, per cui gli stessi risultati sembrano non essere applicabili a pazienti con IPP asintomatico. Per contro, dati riportati da studi americani, rispetto ai dati europei, non suggeriscono una correlazione tra IPP e aumento della mortalità CV, bensì un rapporto tra livelli di ipercalcemia e mortalità. Infatti, Wermers e colleghi [3] hanno dimostrato che pazienti con IPP lieve (calcemia media 10,9 mg/dL) hanno una mortalità complessiva e CV inferiore rispetto ai livelli attesi. Di contro, per pazienti con concentrazione di calcio ematico tra 11,2–16 mg/dL la sopravvivenza era ridotta. Si può dunque concludere che pazienti con IPP classico ed elevati livelli di calcemia hanno un rischio maggiore di mortalità CV, rispetto ai pazienti con ipercalcemia lieve o asintomatica.

Ipertensione arteriosa

I dati attuali disponibili in letteratura [1], dimostrano come l’ipertensione arteriosa (IA) sia frequentemente diagnosticata in pazienti con IPP, anche in quelli con malattia asintomatica, e sembra essere più frequente nei soggetti con IPP rispetto alla popolazione generale. Non sono ancora del tutto chiari gli aspetti fisiopatologici che possono giustificare un meccanismo di causa-effetto; sono stati esaminati gli effetti mediati dal PTH sul sistema renina angiotensina-aldosterone e quelli diretti della calcemia sulla vasocostrizione periferica. I dati disponibili dopo PTx risultano contrastanti; pertanto, il rilievo di IA non rappresenta attualmente un’indicazione all’intervento chirurgico.

Manifestazioni cardiache

L’ipertrofia ventricolare sinistra (IVS) è un fattore predittivo di morte CV; sono stati pertanto condotti studi atti a valutare l’associazione tra IVS e IPP. L’aumento della massa ventricolare sinistra è stato associato a IPP in molti studi [1]; i dati suggeriscono essere indipendente dalla presenza di IA ed è invece correlato all’entità della concentrazione sierica di PTH. Molti studi dimostrano che il PTH può esercitare la sua azione sui miocardiociti agendo sul recettore per il PTH-related protein (PTHrP). Studi condotti sia in vivo che in vitro dimostrano l’azione autocrina e paracrina del PTHrP nel cuore; questa molecola prodotta dalle cellule muscolari lisce dei vasi, dall’endotelio e dai miocardiociti, sembra infatti agire come i peptidi vasoattivi. Il PTH si lega al recettore del PTH/PTHrP dei miocardiociti e induce un aumento dei livelli intracellulari di calcio, causando, attraverso complesse vie intracellulari, lo sviluppo di ipertrofia e altri effetti metabolici. Questa teoria è supportata dall’evidenza che sostanze che bloccano i canali del calcio aboliscono gli effetti del PTH sul miocardio. Una recente meta-analisi dimostra che la PTx riduceva l’entità della IVS nel 12% dei pazienti con IPP e un più alto livello preoperatorio di PTH era associato a una maggiore riduzione della IVS. Il limite di tali studi è il breve follow-up e l’inclusione solo dei pazienti con malattia più grave. Sono dunque necessari ulteriori lavori per chiarire i fattori che sono alla base del cambiamento dell’IVS dopo PTx. Al contrario, per quanto concerne la disfunzione diastolica, non vi sono ancora dati certi di correlazione con l’IPP; analogamente, non è stato dimostrato un miglioramento della disfunzione diastolica dopo PTx. Anche per quanto riguarda l’associazione con la malattia coronarica (CAD) e IMA, i dati sono piuttosto limitati e contrastanti. Alcuni studi, infatti, suggeriscono che la calcificazione coronarica non sia aumentata nei pazienti con IPP ma i dati sono influenzati dall’età relativamente giovane dei partecipanti [1]. È stata invece dimostrata una diminuita riserva di flusso coronarico (CFR) con evidente miglioramento dopo PTx.

Aritmie

L’ipercalcemia in corso di IPP determina effetti sulla durata del potenziale d’azione (PdA) cellulare mediante meccanismi ancora non del tutto chiari. L’ipotesi più probabile è che l’aumento della concentrazione extracellulare di calcio induca un accorciamento della fase di ripolarizzazione mediato da una riduzione della durata della fase 2 di plateau del PdA. Non si riscontra, invece, un incremento nell’automatismo, probabilmente perché l’ipercalcemia causa un innalzamento della soglia del PdA; il calcio si lega ai canali del sodio e ne altera lo stato elettrico, aumentando il livello di voltaggio richiesto per l’apertura del canale. Le conoscenze attuali dimostrano che l’ipercalcemia riduce l’intervallo QT, anomalia che si riscontra nei pazienti con IPP e che sembra risolversi dopo PTx. Inoltre, per quanto riguarda la relazione tra ipercalcemia e aritmie cardiache, Pepe e collaboratori [4] hanno dimostrato un aumento di battiti prematuri ventricolari (VPB) in corso di IPP e una risposta QT anormale durante la prova da sforzo, in particolare al momento dello sforzo massimo, suggerendo un possibile aumento del rischio di aritmie maggiori. Lo stesso gruppo ha dimostrato in un piccolo studio [5] che i pazienti sottoposti a PTx avevano una riduzione significativa dei VPB rispetto al basale e una normalizzazione del QT durante l’esercizio, mentre il gruppo di osservazione non aveva nessuna modifica. Pertanto, la risposta QT all’esercizio fisico potrebbe essere anormale con aumento del rischio di VPB.

Manifestazioni vascolari

Nei pazienti affetti da IPP è stata dimostrata un’associazione con lo spessore intima-media (IMT), fattore implicato nello sviluppo di aterosclerosi sistemica ed eventi vascolari. Questo dato è emerso per i pazienti con ipercalcemia moderata, mentre non si hanno dati certi nei pazienti con forma lieve. Non ci sono in letteratura evidenze di miglioramento dell’IMT dopo PTx e ci sono dati contrastanti anche per quanto concerne la disfunzione endoteliale. Per contro, sembra invece chiaro il ruolo della rigidità vascolare aortica in corso di IPP che sembra essere associata a livelli elevati di PTH. Non è ancora chiaro se vi sia un miglioramento di tale rigidità dopo PTx [1].

Per la mancanza di studi randomizzati con elevato numero di pazienti, i dati in merito alla relazione tra IPP e complicanze CV sono ancora insufficienti. Quindi, attualmente non è raccomandata la valutazione routinaria CV nei soggetti con IPP, né si considera la malattia CV un’indicazione al trattamento chirurgico.

Ruolo del PTH nell’ematopoiesi

L’associazione tra anemia e IPP è stata descritta per la prima volta da Donald and Fuller nel 1930; la prevalenza varia dal 5 al 31,8% e l’anemia è generalmente di tipo normocromico normocitico, tipica delle malattie infiammatorie croniche [6]. La patogenesi è multifattoriale: non corretta alimentazione, insufficienza renale cronica, sanguinamenti gastrointestinali occulti e fibrosi midollare. Il PTH sembra in grado di indurre fibrosi midollare mediante l’aumento della produzione di alcune citochine, tra le quali IL6 e TNF\(\alpha \) [7] e una riduzione di eritropoietina (EPO); attraverso i recettori PTH/PTHrP sui tessuti extra-ossei induce la secrezione di TNF\(\alpha \) che, a sua volta, stimolerebbe il fattore di crescita derivato dalle piastrine alfa (PDGF\(\alpha \)), conducendo alla fibrosi midollare. Il PTH induce la produzione di IL6 da parte degli osteoblasti inibendo la produzione di EPO in risposta all’ipossiemia. La fibrosi midollare che ne risulta sembra avere un effetto più significativo sulla linea cellulare eritropoietica rispetto a quelle mieloide e megacariocitica. Bhadada e colleghi hanno dimostrato come la maggior parte di pazienti affetti da IPP avevano anemia normocitica normocromica; la biopsia del midollo osseo mostrava frequentemente fibrosi midollare ed entrambe miglioravano in seguito a PTx [8].

Infine, Li et al. hanno descritto l’associazione di anemia aplastica (AA) e IPP. L’AA è una malattia rara caratterizzata dalla soppressione della funzione del midollo osseo con conseguente pancitopenia progressiva. La patogenesi è complessa e coinvolge un microambiente ematopoietico anormale, carenze di cellule staminali ematopoietiche/cellule progenitrici e disturbi dell’immunità. Gli autori hanno raccolto campioni di midollo di donatori e pazienti affetti da IPP e in questi ultimi hanno riscontrato una proliferazione soppressa, una differenziazione anormale e un aumento dell’apoptosi delle cellule staminali mesenchimali (MSC). Considerando la stretta relazione tra il PTH e la differenziazione delle MSC, ulteriori studi hanno dimostrato che, sebbene i pazienti mantenessero livelli sierici normali di PTH, le loro cellule T CD8+ possedevano meno recettori per il PTH. L’insensibilità al PTH delle cellule T CD8+ dei pazienti porta, infine, a una ridotta espressione dei fattori chiave Wnt. Sembrerebbe quindi che le cellule T CD8+ del midollo osseo possano svolgere un ruolo importante nell’indurre l’adipogenesi delle MSC e lo squilibrio dell’osteogenesi [9]. Sono necessari ulteriori studi al fine di comprendere la correlazione tra PTH ed ematopoiesi, ricordando come l’anemia potrebbe essere un elemento in grado di peggiorare la morbilità fisica e psichica del paziente affetto da IPP.

PTH e rischio oncologico

Numerosi studi hanno dimostrato un legame tra IPP e un aumentato rischio oncologico [10]. Inoltre, la patologia tumorale sembra essere responsabile dell’aumentata mortalità, insieme alle manifestazioni CV, nei pazienti con IPP. Questo solleva il problema della necessità di effettuare o meno uno screening oncologico più approfondito in questi pazienti. Il meccanismo fisiopatologico maggiormente implicato sembra essere un aumento della produzione epatica di IGF1; inoltre, è stato dimostrato come molti tumori siano in grado di produrre PTHrP e il relativo recettore con un effetto co-mitogeno, anti apoptotico e pro-invasivo. Nel 2001, Fierabracci e collaboratori hanno evidenziato una prevalenza del 7% di IPP in corso di carcinoma mammario [11]. Successivamente, Minisola e colleghi hanno dimostrato un’elevata prevalenza di IPP negli uomini affetti da cancro della prostata e l’analisi multivariata dimostra che una maggiore aggressività del cancro alla prostata è un predittore significativo di un aumentato rischio di sviluppare IPP [12]. Infine, la persistenza di aumentato rischio oncologico dopo PTx [13] e l’evidenza di un aumentato rischio oncologico anche nei pazienti affetti da iperparatiroidismo secondario rimodula il ruolo esclusivo del PTH, chiamando in causa altri possibili meccanismi, primo fra tutti la vitamina D, capace di indurre apoptosi, arresto del ciclo cellulare e, allo stesso tempo, in grado di inibire l’angiogenesi, producendo così un effetto antitumorale in un ampio spettro di tumori. Inoltre, i recettori della vitamina D (VDR) sono espressi in diverse cellulari tumorali, ricordando, come ribadito nella Third International Conference on Controversies in Vitamin D, che la supplementazione di vitamina D si è dimostrata essere in grado di ridurre in maniera significatività la mortalità in corso di patologia tumorale ma non l’incidenza totale della patologia oncologica [14].

Manifestazioni gastroenterologiche

Tra le manifestazioni non classiche, vengono descritti anche sintomi gastrointestinali (GI), primo fra tutti la stipsi cronica [15], la cui prevalenza è variabile in un range compreso tra 4,3 e 40% [16]. L’estrema variabilità potrebbe essere spiegata dal fatto che solo in uno studio la prevalenza è stata determinata utilizzando i criteri diagnostici di Roma [17], mentre negli altri studi la stipsi viene inclusa tra i sintomi non specifici e non adeguatamente definita. L’eziologia della stipsi nei pazienti affetti da IPP non è del tutto chiarita. Sicuramente un ruolo importante è dato dall’ipercalcemia, così come nella popolazione generale. Pepe e collaboratori [18] hanno condotto uno studio atto a valutare gli effetti della PTx sulla stipsi cronica in pazienti affetti da IPP; hanno dimostrato che circa uno su due pazienti soffriva di stipsi cronica secondo i criteri standardizzati di Roma III e che la PTx sembrerebbe risolvere tale problematica. Inoltre, è stato evidenziato come il PTH era il più importante predittore di stipsi cronica. È noto che il PTH agisce come un rilassante per la muscolatura liscia, un effetto che è stato dimostrato utilizzando preparati di muscolatura liscia GI di un certo numero di specie di mammiferi [19], interferendo così con la peristalsi intestinale in vivo. Infine, l’ipercalcemia sembra influire sull’interazione con l’apparato proteico contrattile endocellulare della muscolatura liscia e con le cellule interstiziali di Cajal, ad oggi considerati i pacemaker della muscolatura liscia del tratto GI [20]. Concludendo, la stipsi cronica, descritta come un sintomo aneddotico in passato, dovrebbe ora essere considerata nella gestione e nel trattamento standard dei pazienti con IPP e andrebbero condotti ulteriori studi al fine di chiarirne più accuratamente la prevalenza e l’entità e poter quindi essere considerata tra i criteri clinici che possono guidare il clinico nella scelta di inviare il paziente a intervento chirurgico.

Manifestazioni neuromuscolari e articolari

Fin dai primi decenni del Novecento sono stati descritti sintomi e segni neuromuscolari e articolari nell’ambito del quadro clinico dei pazienti affetti da IPP. Le più frequenti manifestazioni cliniche sono la debolezza muscolare soggettiva, il dolore muscolare, il dolore articolare, la condrocalcinosi e la gotta, mentre più raramente sono riferite difficoltà nel camminare, instabilità posturale e distrofia miotonica. In diversi studi il coinvolgimento neuromuscolare varia dal 13 al 93% [21]. Secondo altri, invece, la compromissione articolare, in particolare la condrocalcinosi, varia dal 9 al 40% [22]. I dati epidemiologi sono contrastanti e questo potrebbe essere dovuto a molteplici fattori, prima di tutto alla diversa formazione medica specialistica del medico che pone la diagnosi ma anche al diverso grado di severità del quadro clinico di IPP. Negli ultimi decenni, numerosi studi hanno valutato l’impatto della sintomatologia neuromuscolare e articolare sul quadro clinico del paziente affetto da IPP, attraverso la somministrazione di questionari di autovalutazione della debolezza muscolare (ad esempio SF-36 e scala PAS) e hanno dimostrato come ci fosse un netto miglioramento della sintomatologia dopo 3 mesi e 1 anno dalla PTx; la principale critica che però è stata mossa è che i pazienti potessero non ben discriminare la debolezza muscolare da sintomi similari come l’astenia e la fatica. Colliander e collaboratori hanno invece dimostrato come i pazienti, nonostante un mancato miglioramento oggettivo della forza muscolare, riferissero un netto beneficio soggettivo dopo PTx [23]. Studi successivi hanno mostrato dati contrastanti, soprattutto nel ruolo giocato dai livelli sierici di PTH e calcio. Infatti, è noto come i livelli di calcemia non siano solo implicati nella contrazione muscolare, poiché l’ipercalcemia può influenzare anche la funzione neuronale e la plasticità sinaptica, anche se uno studio elettrofisiologico non ha mostrato cambiamenti elettromiografici conclusivi prima o dopo l’intervento [24, 25].

Sicuramente nella valutazione della sintomatologia muscolare va considerato anche con attenzione il ruolo della vitamina D, in quanto, com’è noto, essa è in grado di interferire sulla performance neuromuscolare. Molti degli studi che sono stati effettuati, infatti, non hanno tenuto conto di questo dato. Il vero ruolo del PTH può quindi essere studiato solo senza “interferenze” determinate dai livelli di calcemia e vitamina D. Pertanto, il modello migliore di studio è quello del paziente affetto da iperparatiroidismo normocalcemico (IPPNC) repleto di vitamina D; a tal proposito è stato condotto un solo studio prospettico nel quale è stato somministrato il questionario SF-36 da cui è emerso un miglioramento significativo a 3, 6 e 12 mesi dopo PTx. Tuttavia, la carenza di vitamina D è stata corretta nel periodo perioperatorio, e ciò avrebbe potuto, almeno teoricamente, contribuire al miglioramento dei sintomi [26].

Infine, uno studio in vitro condotto su biopsie muscolari di 7 pazienti affetti da IPP ha mostrato una maggiore espressione dei recettori PTH/PTHrP e la loro costante stimolazione potrebbe portare a un’alterazione dell’espressione genica, che può spiegare l’insorgenza di debolezza muscolare. Recentemente, è stato dimostrato che il percorso responsabile dello sviluppo della perdita muscolare, nei modelli di topi, inizia con l’attivazione dei recettori PTH che stimolano una proteinchinasi A, con conseguenti modificazioni del tessuto adiposo ed espressioni di geni correlati all’atrofia. Il PTH non solo esercita un ruolo sulla funzione muscolare, ma anche a livello metabolico e articolare; è noto che elevati di PTH sono associati a elevati livelli di acido urico nella popolazione di pazienti IPP [27]. Elevati livelli di PTH si associano a dolori articolari, gotta, condrocalcinosi, mentre più rari sono l’artrite erosiva, la pseudogotta e la spondiloartropatia erosiva. Tuttavia, va notato che l’osteoartrite è molto comune nella fascia di età nella quale viene generalmente posta la diagnosi di IPP. Nel complesso, i dati sulle manifestazioni articolari sono minori rispetto alle manifestazioni neuromuscolari. Al giorno d’oggi, gli esami radiologici sono limitati alla valutazione della frattura vertebrale in IPP e non vengono eseguiti di routine per valutare il danno articolare. Inoltre, sebbene i dati disponibili sul miglioramento del quadro clinico dopo PTx siano contrastanti, resta da chiarire se l’entità di questo miglioramento abbia un impatto clinico non solo sulla qualità della vita, ma anche su altri esiti clinici, quali ad esempio le cadute, e se quindi dovrebbe essere considerato come un nuovo criterio per sottoporre il paziente a PTx.

Manifestazioni neuropsichiatriche e funzione cognitiva

In passato le manifestazioni cliniche neuropsicologiche erano frequentemente descritte nei pazienti affetti da IPP. Molteplici sono le ipotesi patogenetiche che sono state chiamate in causa, prima fra tutte il possibile ruolo di neurotrasmettitore dato dal calcio a livello del sistema nervoso centrale e la capacità che esso ha di andare a influenzare i livelli di glutammato, causando neurotossicità tramite attivazione del recettore NMDA, e di monoammine nel sistema nervoso centrale. È stata dimostrata la presenza di recettori per il PTH a livello del sistema nervoso centrale, suggerendo una sua possibile azione diretta; alcuni autori hanno inoltre dimostrato come il PTH possa influenzare la vascolarizzazione cerebrale. Nonostante siano spesso riportati sintomi quali depressione, ansia, fatica, ridotta capacità di concentrazione e deficit della memoria, i dati disponibili non sono sufficienti a suggerire che le manifestazioni neuropsichiatriche possano essere un’indicazione a PTx. I principali motivi sono la scarsa conoscenza da parte del medico-chirurgo della problematica neuropsicologica che, quindi, spesso non viene valutata adeguatamente al momento della visita del paziente e una debole metodologia di ricerca negli studi di associazione che sono stati condotti a riguardo.

Nei paesi sviluppati, in cui la diagnosi di IPP viene fatta per lo più in pazienti asintomatici o con sintomi lievi, manca una valutazione psichiatrica specialistica di routine, nonostante sia dimostrato come il 27,5% dei pazienti con IPP avesse depressione da moderata a grave e il 18% dei pazienti avesse un’ansia generale da moderata a grave, ridotte rispettivamente all’8,2 e al 5,3% dopo PTx. Inoltre, è noto come disturbi neuropsicologici, primi fra tutti ansia e depressione, influenzino le funzioni cognitive [28]. Molti lavori dimostrano che nei pazienti trattati con PTx si ha un netto miglioramento della sintomatologia psichiatrica; tuttavia, la qualità delle prove a sostegno di questa raccomandazione rimane non soddisfacente. A questo proposito, un recente studio condotto da Liu e colleghi [28] ha dimostrato come ci sia un netto miglioramento dei sintomi neuropsichiatrici dopo PTx rispetto a un gruppo di controllo sottoposto a tiroidectomia per patologia tiroidea. Un punto di forza dello studio risiede nel fatto che la maggior parte degli studi condotti fino ad ora era di tipo osservazionale, mentre gli autori in questo caso hanno somministrato specifici test validati, in particolare la Patient Health Questionnaire-9 (PHQ9) e il disturbo d’ansia generalizzato-7 (GAD7), che sono scale abitualmente utilizzate e validate nella popolazione generale per lo screening rispettivamente di depressione e ansia generalizzata. Entrambe le scale sono state inoltre validate anche per la valutazione del paziente oncologico e hanno il vantaggio di poter essere somministrate allo stesso paziente nel tempo per determinare la risposta a un determinato trattamento. L’uso di questi strumenti, inoltre, consente il confronto di pazienti affetti da IPP rispetto alla popolazione generale, aiutando a fornire ulteriori prove a sostegno del beneficio dopo PTx.

Lo studio ha dimostrato, oltre alla riduzione della gravità, un miglioramento dei sintomi clinicamente significativo prima e dopo l’intervento chirurgico. Pertanto, gli autori concludono che i sintomi neuropsicologici andrebbero sempre attentamente valutati e considerati indicazioni relative per l’invio all’intervento. Un altro aspetto clinico importante descritto nei pazienti affetti da IPP è una riduzione della funzione cognitiva, i cui meccanismi responsabili non sono ancora stati ben chiariti; inoltre, dato che la prevalenza dell’IPP aumenta con l’età è difficile discriminare quanto il decadimento cognitivo sia effettivamente correlato alla malattia piuttosto che all’invecchiamento [29]. I principali aspetti clinici che sono emersi sono la ridotta concentrazione, la diminuzione del processo di apprendimento non verbale, la difficoltà nell’uso diretto della memoria e le ridotte fluidità verbale e abilità visiva costruttiva. Anche per quanto riguarda questo aspetto, alcuni autori hanno dimostrato un miglioramento dopo PTx [30]. Anche in questo caso, però, la metodologia di ricerca è stata criticata in quanto il decadimento cognitivo non è stato valutato congiuntamente alla sfera neuropsichiatrica. In conclusione, i dati disponibili al momento della Consensus on the Management of Asymptomatic PHPT 2014 non erano sufficienti a supportare l’esecuzione di test neurocognitivi di routine o a includere il decadimento cognitivo tra le indicazioni a PTx.

Qualità di vita

È stato dimostrato che i pazienti affetti da IPP hanno una qualità di vita inferiore rispetto alla popolazione generale; questo deriva da un’interazione tra sintomi e segni neuropsicologici, gastrointestinali, ematopoietici, muscolari e articolari. Anche in questo caso sono stati condotti studi prima e dopo la PTx e anche per la qualità di vita (QoL) è stato dimostrato un netto miglioramento di molti item dei questionari somministrati dopo la chirurgia [26]. In letteratura, l’effetto della PTx sulla QoL è stato valutato utilizzando questionari non specifici per pazienti affetti da IPP, quali ad esempio il 36-Item Short Form Health Survey (SF-36). Negli ultimi anni è stato introdotto un nuovo strumento valutativo, il Primary Hyperparathyroidism Quality of Life (PHPQoL), che valuta l’impatto della malattia in 2 aree, quella fisica e quella delle funzioni emotive/neuropsicologiche. È un questionario specifico che misura i sintomi quotidiani che sono importanti per i pazienti affetti da IPP, ha 16 elementi e solo una dimensione. Ogni item viene valutato su una scala di tipo Likert che va da 0 a 4 (sempre, molte volte, di tanto in tanto, quasi mai, e mai) [31]. In un recente studio sono stati somministrati ai pazienti affetti da IPP sia il questionario SF-36 che il PHPQoL e, in termini di impatto fisico, psichico e salute generale, la QoL preoperatoria dei pazienti con IPP era significativamente inferiore al punteggio dopo PTx. In particolare, il questionario PHPQoL si è dimostrato uno specifico strumento con eccellenti proprietà psicometriche [32]. Allo stesso modo è stato condotto un trial randomizzato controllato, The Scandinavian Investigation on Primary Hyperparathyroidism (SIPH), con 10 anni di follow-up in pazienti trattati con PTx e pazienti che non hanno ricevuto alcun trattamento; a entrambi i gruppi sono stati somministrati la SF-36 e la Comprehensive Psychopathological Rating Scale (CPRS) al basale, 2, 5 e 10 anni dopo la randomizzazione. Dopo 10 anni, il gruppo sottoposto a PTx ha ottenuto punteggi significativamente migliori in termini di QoL con la SF-36 rispetto al controllo [33].

Conclusioni

Senza dubbio, l’IPP è l’espressione di come il progredire delle conoscenze in tale campo sia stato in grado di apportare sostanziali effetti, modificando profondamente la storia naturale della malattia. Con l’eccezione delle patologie infettive, pochi altri esempi possono annoverarsi nella storia della medicina. Inoltre, l’approfondimento di nuovi aspetti non classici indica anche che l’elevato livello di assistenza sanitaria e di cura della persona nei paesi occidentali, tale da cogliere tutte le sfumature di una patologia, raggiunge l’obiettivo di prendersi compiutamente carico della salute dell’individuo, ottimizzandone continuamente la qualità di vita.