Introduzione

L’osso è un organo endocrino le cui molteplici funzioni sono espletate a livello di diversi tessuti e organi bersaglio e il cui metabolismo è influenzato da molteplici fattori. Esso rappresenta infatti, a sua volta, il bersaglio dell’azione di altri sistemi cellulari che, producendo fattori ad azione locale o a distanza, possono avere effetti negativi o positivi sul suo metabolismo. In tale ambito, uno degli spunti di ricerca più interessanti nell’ultimo decennio proviene dalla valutazione del reciproco cross-talk esistente tra metabolismo osseo e tessuto adiposo [1].

Le evidenze cliniche e sperimentali hanno dimostrato come nell’ambito dell’interazione reciproca tra i due sistemi si configuri un dato ormai ben noto anche nella pratica clinica, quello della fragilità scheletrica associata a condizioni quali l’obesità, il diabete mellito tipo 2 e la sindrome metabolica [2].

I meccanismi di interazione tra osso e tessuto adiposo sono differenti e coinvolgono vari sistemi endocrino-metabolici. Tra di essi, è importante ricordare l’azione di leptina e adiponectina, visfatina, così come dell’asse vitamina D-paratormone (PTH), dell’insulina, di fattori di natura citochinica e di altri prodotti dal sistema monocito-macrofagico [2, 3]. Infine, recenti evidenze hanno dimostrato come l’interazione tra osso e tessuto adiposo sia particolarmente evidente nel midollo osseo [1]. A questo livello, il tessuto adiposo è riconosciuto come un organo endocrino attivo con molteplici effetti a livello locale e sistemico [1]. Il tessuto adiposo midollare (bone marrow adipose tissue, BMAT) è rappresentato essenzialmente da adipociti e pre-adipociti in vari stadi di maturazione [4]. Tali cellule sono componenti chiave di questo microambiente, così come le cellule staminali ematopoietiche e le mesenchymal stem cells del midollo osseo (bone marrow mesenchymal stem cells, BM-MSC). Queste ultime, infatti, possono differenziarsi verso la linea adipocitaria o quella osteoblastica, in accordo con fini meccanismi di regolazione [2]. Vi sono diverse condizioni cliniche nelle quali è stato descritto come l’alterazione di tali meccanismi favorisca la differenziazione in senso adipocitario a danno dell’osteoblastogenesi e sia associata a fragilità scheletrica [2].

Il BMAT aumenta con l’età ed è negativamente correlato alla densità minerale ossea (BMD) in condizioni quali l’osteoporosi postmenopausale e senile e in forme secondarie di osteoporosi, come l’anoressia nervosa [1]. Inoltre, è stata descritta una correlazione inversa tra parametri qualitativi dell’osso, quali il volume trabecolare studiato mediante quantitative CT (QCT) e BMAT [1]. Questi risultati sono stati osservati, in particolare, a livello dell’osso trabecolare; inoltre, il BMAT a livello della colonna lombare è considerato un fattore di rischio indipendente per frattura in diverse condizioni cliniche [2].

Tra le tecniche di studio del BMAT esistono oggi metodiche invasive e non, così come linee guida e consensus internazionali finalizzati a una standardizzazione delle metodiche. Tra essi, l’analisi istomorfometrica degli adipociti midollari, la microfocus computed tomography (\(\mu \)CT), che permette di ottenere immagini in 3D, la high resolution \(\mu \)CT e la nanoCT, la microscopia 3D, la risonanza magnetica (RM) spettroscopica (attualmente la tecnica di imaging di riferimento per lo studio in vivo del BMAT) [4].

Nella presente rassegna sono riassunti i principali meccanismi fisiopatologici di danno scheletrico associati alle alterazioni del BMAT.

Sono inoltre discussi i principali e più recenti studi clinici che hanno indagato l’interconnessione tra adiposità del midollo osseo e fragilità scheletrica e i principali spunti di ricerca futuri.

Cenni di fisiopatologia

Il BMAT rappresenta il 5–8% del tessuto adiposo totale dell’organismo adulto [1, 2]. Esso espleta la funzione di deposito di grasso e rappresenta uno dei punti di raccordo tra metabolismo osseo e metabolismo energetico. Tra i meccanismi di regolazione del BMAT vi sono fattori coinvolti nella regolazione del rimodellamento scheletrico, il quale, a sua volta, può essere regolato da fattori ad azione paracrina secreti dal BMAT [1].

L’aumento del BMAT può evidenziarsi in diverse condizioni cliniche (Tabella 1). Dati sperimentali hanno dimostrato come, in condizioni di eccesso di BMAT, diversi tipi cellulari subiscano delle alterazioni fisiopatologiche responsabili del danno scheletrico (Tabella 1). L’espressione di fattori favorenti l’osteoblastogenesi, quali osterix e runt-related transcription factor 2 (RUNX2), è ridotta in condizioni di eccesso di BMAT, in cui si sviluppa dunque uno shift verso l’adipogenesi [1, 5]. In alcuni casi, anche la funzione degli osteoblasti può essere compromessa.

Tabella 1 Condizioni cliniche in cui è descritto un aumento del tessuto adiposo midollare (BMAT) e relativi meccanismi patogenetici. BMSC, bone marrow mesenchymal stem cells; GIOP, glucocorticoid-induced osteoporosis; RANK-L, receptor activator of nuclear factor kappa-\(B\) ligand

I principali mediatori dell’aumento del BMAT nelle condizioni cliniche riportate nella Tabella 1 sono: deficit estrogenico; eccesso di glucocorticoidi; iperglicemia, iper- e ipo-insulinemia, iperlipidemia, aumento delle specie reattive dell’ossigeno (ROS); deficit di GH; essi esplicano i loro effetti su diversi tipi cellulari a livello midollare (Tabella 1) [1, 2, 510].

È interessante notare come quasi tutte le condizioni cliniche riportate in Tabella siano caratterizzate frequentemente dalla presenza di ipovitaminosi D, che potrebbe dunque rappresentare uno dei meccanismi comuni di aumento del BMAT [7]. In tal senso, l’ipotesi patogenetica secondo cui il deficit di vitamina D contribuisca in modo sostanziale all’espansione del BMAT è interessante e ancora poco indagata; in particolare, non ci sono dati clinici al riguardo [7]. Gli studi sperimentali hanno dimostrato che la stimolazione del recettore della vitamina D (vitamin D receptor, VDR) è associata all’inibizione dell’espressione del peroxisome proliferator-activated receptor \(\gamma \) (PPAR\(- \gamma \)) attraverso un meccanismo di competizione per l’eterodimero comune RXR [7]. In accordo con tali dati, studi su BM-MSC umane hanno riportato un effetto di downregulation del PPAR\(- \gamma \) da parte del calcitriolo, con conseguente riduzione dell’adipogenesi [7].

L’eccessivo accumulo di grasso negli adipociti midollari determina effetti tossici a livello delle BM-MSC, degli osteoblasti e degli osteoclasti [2]. In particolare, gli adipociti midollari possono secernere citochine quali il TNF-\(\alpha \) e l’interleuchina (IL)-6, il RANK-ligando (RANK-L), che favoriscono l’osteoclastogenesi, nonché leptina e adiponectina, cui sono addebitati potenziali effetti di inibizione dei meccanismi di formazione scheletrica a livello midollare, analogamente a quanto osservato per le stesse molecole secrete a livello sistemico [1, 2]. Tra le altre molecole coinvolte nel danno scheletrico, dati sperimentali da cellule midollari di pazienti con diabete tipo 2 hanno suggerito che la monocyte chemoattractant protein-1 (MCP-1) potrebbe rappresentare un fattore promuovente l’adipogenesi a danno dell’osteoblastogenesi midollare [11]. Analogamente, la secrezione di secreted frizzled-related protein 1 (SFRP1) e di chemerin da parte degli adipociti midollari favorirebbe la loro stessa espansione, inibendo dunque l’osteoblastogenesi [1]. Infine, l’eccesso di acidi grassi saturi rilasciati dagli adipociti midollari potrebbe avere un ruolo di inibizione della sopravvivenza e della funzione degli osteoblasti [1]. (Tabella 2.)

Tabella 2 Principali mediatori di danno scheletrico prodotti da pre-adipociti e adipociti midollari e relative ipotesi patogenetiche. \(\mathit{TNF}-\alpha \), tumor necrosis factor \(\alpha \); \(IL-6\), interleuchina 6; RANK-L, receptor activator of nuclear factor kappa-\(B\) ligand; SFRP1, Secreted frizzled-related protein 1; MCP-1, monocyte chemoattractant protein-1

Studi clinici

La Tabella 3 riassume i dati principali derivanti dai più recenti studi clinici che hanno indagato il ruolo del BMAT come indice di fragilità scheletrica nelle diverse condizioni cliniche e le correlazioni con BMD e parametri relativi alla qualità dell’osso (bone quality). Poiché la RM spettroscopica rappresenta la metodica di imaging non invasiva più utilizzata e di riferimento per lo studio del BMAT [4], i dati riportati in Tabella, così come la seguente trattazione, sono concentrati esclusivamente sugli studi clinici che hanno utilizzato tale metodica.

Tabella 3 Condizioni cliniche in cui è riportata una correlazione inversa tra aumento del tessuto adiposo midollare (BMAT)a, BMD e parametri della “bone quality”. BMD, bone mineral density; vBMD, volumetric BMD; QCT, quantitative CT; HR-pQCT, High-resolution peripheral QCT; FEA, finite element analysis

L’osteoporosi postmenopausale e senile sono tra le patologie in cui lo studio del BMAT come fattore di rischio per fragilità scheletrica è stato più ampiamente effettuato. I dati disponibili in letteratura vanno da quelli “storici” derivati da studi su campioni bioptici e quelli più recenti effettuati tramite utilizzo di metodiche di imaging non invasive [12, 13].

Griffith e collaboratori hanno dimostrato come il BMAT, valutato tramite RM spettroscopica, sia significativamente aumentato in 55 donne in menopausa con osteoporosi densitometrica rispetto a donne di pari età con BMD nei limiti della norma [14]. Analoghi risultati sono riportati in una coorte di 23 uomini con osteopenia e 17 con osteoporosi [15]. Diversi studi cross-sectional hanno riportato, inoltre, una correlazione significativa tra l’aumento del BMAT e la riduzione della BMD in pazienti con osteoporosi [13]. Analogamente, esiste una correlazione inversa tra BMAT e parametri relativi alla qualità dell’osso, come la volumetric BMD (vBMD), valutata tramite metodica QCT, in particolare a livello dell’osso trabecolare [13]. Per ciò che concerne i dati dagli studi longitudinali, Griffith e colleghi hanno dimostrato che i valori basali di BMAT sono un fattore predittivo di riduzione della BMD del collo del femore a 4 anni in una coorte di 120 donne in postmenopausa [16]. Analogo risultato è riportato da Woods et al. in una coorte di 148 donne anziane con follow-up medio di 3,3 anni [17]. Quest’ultimo studio riporta anche dati concernenti lo studio della bone quality tramite QCT, dimostrando un’associazione tra BMAT e riduzione della bone strength [17]. L’analisi effettuata negli uomini non ha invece dimostrato alcuna associazione significativa tra BMAT e riduzione della BMD e/o dei parametri della bone quality in un follow-up medio di 2,7 anni [17].

Nell’anoressia nervosa, il BMAT risulta aumentato rispetto ai soggetti normopeso [18, 19]. Inoltre, Singhal e collaboratori hanno osservato una correlazione significativa negativa tra BMAT e BMD della colonna lombare e del femore totale e tra BMAT e vBMD trabecolare e totale e altri parametri misurati tramite utilizzo della metodica considerata gold standard tra quelle non invasive per lo studio della bone quality, la high-resolution peripheral QCT (HR-pQCT), in una coorte di 102 adolescenti con anoressia nervosa [18].

Nei soggetti con obesità e diabete non tutti gli studi cross-sectional hanno dimostrato una sostanziale associazione tra BMAT e BMD, mentre vi è una correlazione inversa tra BMAT e vBMD della colonna lombare [2022]. Dati interessati derivano dal lavoro di Singhal e colleghi tramite l’utilizzo della HR-pQCT [23]. Gli autori dimostrano una correlazione inversa tra BMAT e vBMD trabecolare e totale e numero di trabecole a livello del radio distale in adolescenti e giovani adulti con obesità [23]. Nei soggetti obesi con diabete, inoltre, Yu et al. hanno osservato valori maggiori di BMAT rispetto a soggetti obesi non diabetici [20]. Infine, Kim e collaboratori hanno riportato una correlazione inversa tra variazioni del BMAT e della BMD del collo del femore a 6 mesi in 30 donne obese con età ≥25 anni sottoposte a bypass gastrico [22].

Per ciò che concerne le fratture, diversi studi clinici hanno dimostrato una correlazione tra aumento del BMAT e aumento della prevalenza di fratture vertebrali, comprese quelle morfometriche [13]. Tale dato è stato riportato nell’osteoporosi postmenopausale e senile e nei pazienti con sindrome di Cushing [13].

Infine, non vi sono al momento studi longitudinali che abbiano indagato l’associazione tra BMAT e rischio fratturativo.

Conclusioni e prospettive future

I dati della letteratura dimostrano come lo studio del BMAT quale fattore di rischio per fragilità scheletrica rappresenti un argomento interessante nella ricerca clinica e sperimentale, con possibilità di applicazione nella pratica clinica.

La valutazione del BMAT nelle differenti malattie metaboliche dell’osso è infatti elemento di notevole interesse clinico per la possibilità di meglio definire il rischio fratturativo, in particolare in quelle patologie in cui vi è una discrepanza tra valori di BMD e prevalenza di fratture da fragilità. In questo senso, assume estrema importanza la definizione di metodiche di standardizzazione nella misurazione del BMAT, nonché l’utilizzo di tecniche di imaging non invasive. In condizioni quali, ad esempio, diabete e obesità, l’utilizzo del BMAT valutato con RM spettroscopica all’interno di studi clinici può permettere di meglio definire i meccanismi di danno scheletrico.

Infine, il BMAT può rappresentare un target terapeutico di farmaci attivi sullo scheletro all’interno di trials clinici randomizzati in pazienti con osteoporosi postmenopausale e senile, così come in molte forme secondarie.