Sommario
La gestione clinico-terapeutica dei pazienti con prolattinoma è basata sul trattamento con dopamino-agonisti (DA), in particolare la cabergolina, data la loro comprovata efficacia biochimica e antitumorale. Il raggiungimento di normali valori di prolattina associato alla significativa riduzione delle dimensioni tumorali, fino alla sua completa scomparsa, può suggerire l’opportunità di sospendere tale terapia nei pazienti trattati per almeno due anni. Tuttavia, è fortemente raccomandato di evitare la sospensione improvvisa del trattamento con DA e di preferire un protocollo di graduale riduzione del dosaggio di DA fino alla definitiva interruzione del trattamento, al fine di consentire la persistenza di normali valori di prolattina nel tempo. Nei pazienti con evidenza di recidiva di iperprolattinemia dopo un primo tentativo di sospensione dei DA, è possibile effettuare un secondo tentativo di sospensione dopo un ulteriore ciclo di trattamento con DA per due anni.
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Introduzione
Il prolattinoma è un tumore benigno dell’adenoipofisi che determina un’eccessiva produzione di PRL, clinicamente caratterizzato da oligomenorrea, galattorrea, ipogonadismo e disfunzione sessuale, infertilità o, talora, asintomatico [1]. Come suggerito dalle linee guida internazionali della Endocrine Society del 2011 [1], il trattamento di prima scelta dei pazienti con prolattinoma è di tipo farmacologico ed è basato sulla somministrazione della terapia con dopamino-agonisti (DA), quali cabergolina (CAB) e bromocriptina (BRC). In particolare, le linee guida raccomandano l’utilizzo della CAB rispetto agli altri DA per la sua maggiore efficacia nel normalizzare i livelli di PRL, nel ridurre le dimensioni del tumore ipofisario e nel determinare il ripristino della funzione gonadica, con regressione della sintomatologia correlata all’eccesso di PRL e all’effetto massa [1]. Inoltre, in alcuni casi la terapia con DA è in grado di determinare la completa guarigione dei pazienti con prolattinoma e può, pertanto, essere sospesa in via definitiva [1–3]. Infatti, studi in vitro hanno dimostrato che un trattamento short-term (4–6 settimane) con DA è in grado di produrre la riduzione del citoplasma e delle aree nucleari e nucleolari, espressione di un globale effetto cistostatico [4, 5]. Al contrario, una terapia long-term (14–36 settimane) con DA determina fibrosi perivascolare, degenerazione e necrosi, espressione di un globale effetto citotossico [6, 7]. Tuttavia, dagli studi attualmente disponibili emergono dati tuttora controversi riguardanti le modalità e il timing di sospensione del trattamento farmacologico.
Quando sospendere la terapia?
La sospensione del trattamento con DA è ancora oggi molto dibattuta e oggetto di grande attenzione da parte della comunità scientifica. Il tasso di persistenti valori normali di prolattinemia dopo sospensione della terapia con DA varia sensibilmente tra gli studi a seconda del DA utilizzato e della durata del trattamento farmacologico prima della sospensione. D’altro canto, gli studi in letteratura hanno documentato in maniera concorde un rischio relativamente basso di ricrescita/recidiva tumorale nei primi mesi dopo la sospensione del trattamento con DA [8, 9].
Bromocriptina
Gli effetti della sospensione del trattamento con BRC sono stati approfonditamente valutati nel 2002 nello studio di Passos e collaboratori [10], che ha retrospettivamente analizzato la persistenza di normoprolattinemia dopo la sospensione di BRC in 350 pazienti con prolattinoma, di cui 189 con microprolattinoma e 169 con macroprolattinoma. I risultati di questo studio hanno dimostrato che solo nel 7,7% dei pazienti si osservava persistenza di normali valori di PRL per un follow up medio di circa 44 mesi dopo sospensione di BRC [10]. Nessuno dei fattori valutati come possibili predittori di remissione di malattia, quali le dimensioni tumorali, i valori di PRL pretrattamento, il precedente intervento neurochirurgico di adenomectomia e la dose iniziale di BRC utilizzata, risultava significativamente associato alla persistenza di normoprolattinemia dopo sospensione della BRC [10]. Altri studi hanno riportato un tasso di remissione definitiva di malattia dopo sospensione del trattamento con BRC variabile dal 7 al 44% [11–16], con evidenza biochimica di recidiva di malattia generalmente dopo 2–3 mesi dalla sospensione. Tuttavia, gli studi non hanno dimostrato un aumentato rischio di ri-espansione tumorale dopo sospensione della BRC. Laddove verificato, l’aumento delle dimensioni tumorali dopo sospensione della BRC è risultato efficacemente controllato dalla reintroduzione della terapia medica [9].
Cabergolina
Le prime evidenze pubblicate in letteratura nel corso degli anni Novanta hanno riportato un tasso di remissione variabile dal 13 al 31% entro 6–12 mesi dopo sospensione della terapia con CAB [17–19]. Nel 2003 lo studio di Colao e colleghi [20] ha dimostrato che, dopo trattamento con CAB di durata mediana pari a 48 mesi, la sospensione della terapia farmacologica era seguita da remissione definitiva nel 76% dei pazienti con iperprolattinemia non tumorale, nel 70% di quelli con microprolattinoma e nel 64% di quelli con macroprolattinoma [20]. L’intervallo di tempo mediano tra la sospensione della CAB e il riscontro di recidiva di malattia era pari a 12 mesi nei pazienti con microprolattinoma, ovvero 18 mesi in quelli con iperprolattinemia non tumorale e con macroprolattinoma [20]. In particolare, il tasso di remissione a lungo termine risultava significativamente maggiore nei pazienti con iperprolattinemia non tumorale rispetto a quelli con microprolattinoma o macroprolattinoma, e nei pazienti senza evidenza radiologica di residuo tumorale all’atto della sospensione della CAB rispetto a quelli con evidenza radiologica di residuo tumorale [20], suggerendo pertanto un ruolo per la presenza di tessuto tumorale residuo e per le sue dimensioni quali predittori della remissione a lungo termine dopo interruzione della terapia farmacologica con CAB [20]. Pochi anni più tardi, le linee guida della Pituitary Society [21] hanno suggerito precisi criteri per la corretta gestione clinica della sospensione della terapia con DA nei pazienti con prolattinoma. Secondo tali raccomandazioni, la sospensione della terapia con DA può essere effettuata nei pazienti che: 1) abbiano ricevuto il trattamento con DA per almeno 2 anni; 2) abbiano raggiunto la completa normalizzazione dei valori di PRL; 3) abbiano mostrato una marcata riduzione (>50%) delle dimensioni tumorali [21]. Inoltre, le linee guida della Pituitary Society hanno suggerito l’applicazione di un protocollo di graduale tapering del dosaggio dei DA, sottolineando l’importanza di una progressiva riduzione della dose di DA, evitandone la sospensione improvvisa, e di un attento follow-up dei pazienti dopo interruzione del trattamento [21]. Come mostrato nelle Tabelle 1 e 2, l’applicazione dei criteri di sospensione suggeriti dalle linee guida della Pituitary Society si è tradotta in un rate di remissione definitiva a lungo termine (≥24 mesi) pari al 49% dei pazienti [10–12, 15–24]. Inoltre, non sono emerse significative differenze nel tasso di remissione a lungo termine dopo sospensione della terapia con CAB tra pazienti con microprolattinoma (45%) e quelli con macroprolattinoma (40%) [10–12, 15–24]. Più recentemente, una meta-analisi degli studi che hanno valutato la remissione di iperprolattinemia dopo sospensione della terapia con DA ha riportato persistente normoprolattinemia nel 21% dei pazienti [25]. In particolare, il tasso di remissione di malattia risultava significativamente maggiore nei pazienti trattati con CAB rispetto a quelli trattati con BRC, nei pazienti con iperprolattinemia non tumorale rispetto a quelli con microprolattinoma o macroprolattinoma, e nei pazienti trattati per più di due anni rispetto a quelli trattati per un periodo di tempo inferiore [25].
Gli studi, tuttavia, non hanno fornito un’univoca definizione di recidiva di iperprolattinemia dopo sospensione del trattamento con CAB, dal momento che la definizione di recidiva è stata basata sul criterio puramente biochimico in tutti gli studi, ma anche sul criterio clinico di ricomparsa dei sintomi [23] o sul criterio radiologico della persistenza di tumore all’imaging ipofisario [26], senza peraltro indicare in maniera chiara come interpretare l’eventuale crescita del tumore dopo sospensione della terapia e senza definire in maniera precisa l’intervallo di tempo necessario alla rivalutazione dei pazienti per la diagnosi di recidiva di malattia.
Predittori di remissione dopo sospensione della terapia
Numerosi studi hanno valutato il ruolo di alcuni possibili predittori di remissione a lungo termine dopo sospensione della terapia con DA, tra cui la presenza di residuo tumorale ancora visibile all’imaging e le sue dimensioni [20], i valori di prolattina alla diagnosi [23] o al momento della sospensione del trattamento [22], la durata della terapia farmacologica e l’uso di CAB rispetto ad altri DA [25]. Per altri fattori, quali l’età, il sesso, le dimensioni del tumore alla diagnosi, la dose di DA utilizzata, la soppressione percentuale dei valori di prolattina, la presenza di concomitante ipopituitarismo alla diagnosi, la concomitante terapia con estroprogestinici e il precedente ricorso ad altre terapie quali l’intervento neurochirurgico e la radioterapia, non è stato documentato nessun ruolo prognostico. Nel 2007, uno studio di Colao e collaboratori [27] ha dimostrato che la prevalenza di remissione dopo sospensione del trattamento con CAB risultava significativamente maggiore nei pazienti che all’atto della sospensione avessero raggiunto valori di PRL < 162 mU/L associati a un residuo tumorale di diametro massimo <3 mm, rispetto ai pazienti che presentavano il solo criterio biochimico, il solo criterio radiologico o nessuno dei due [27].
Cosa fare dopo un tentativo di sospensione fallimentare?
Nei pazienti in cui la sospensione del trattamento con DA sia seguita da una recidiva di malattia, è suggerito di riprendere la terapia con i DA [1, 2]. Tuttavia, la reintroduzione del trattamento non è da considerarsi definitiva, in quanto nei pazienti in cui siano rispettati i criteri suggeriti dalle linee guida della Pituitary Society del 2006 dopo due ulteriori anni di trattamento è possibile effettuare un secondo tentativo di sospensione, che è stato dimostrato essere efficace nel determinare persistente normoprolattinemia in circa un terzo dei casi [28, 29].
Conclusioni
In alcuni selezionati casi di pazienti con prolattinoma, la terapia con DA non è life-long. Infatti, i pazienti che raggiungono normali valori di prolattina e che mostrano una significativa riduzione delle dimensioni tumorali, fino alla non ulteriore visibilità del tumore all’imaging ipofisario, dopo terapia con DA per almeno due anni possono essere sottoposti a un protocollo di sospensione del trattamento farmacologico. La persistenza di normoprolattinemia dopo sospensione è altamente variabile a seconda del DA utilizzato e della durata della terapia stessa. Tuttavia, nei pazienti in cui sia verificata recidiva di malattia dopo un primo tentativo di sospensione dei DA, è suggerito di effettuare un secondo ciclo di trattamento con DA di ulteriori due anni e, quindi, proporre una seconda sospensione della terapia se siano rispettati i criteri per l’interruzione della stessa.
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Proposto da Massimo Mannelli, Francesco Ferraù, Lino Malandrino.
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Auriemma, R.S., Scairati, R., del Vecchio, G. et al. Terapia dei prolattinomi: quando sospendere?. L'Endocrinologo 22, 337–341 (2021). https://doi.org/10.1007/s40619-021-00929-x
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