Introduzione

La Sindrome di McCune-Albright (MAS), descritta nel 1937, è caratterizzata da un complesso ed eterogeneo quadro clinico che si può presentare nella forma classica con displasia cutanea (macchie caffè-latte), displasia fibrosa (DF), e pubertà precoce e con endocrinopatie periferiche autonome (pubertà precoce, ipertiroidismo, ipercortisolismo, ipersecrezione di ormone della crescita e di prolattina, rachitismo ipofosforemico) (Fig. 1); o in forma incompleta, MAS variante (MASV), caratterizzata dalla presenza di una o due sole manifestazioni. La prevalenza stimata è attualmente compresa tra 1:100.000 e 1:1.000.000.

Fig. 1
figure 1

Principali manifestazioni cliniche nella Sindrome di McCune-Albright

La MAS è il risultato di una mutazione somatica post-zigotica di tipo missense nel gene GNAS che codifica la proteina Gs-alfa, trasduttore intracellulare del messaggio della maggior parte degli ormoni proteici. Tale mutazione causa attivazione della proteina stessa con autonoma proliferazione cellulare e ipersecrezione ormonale tessuto-specifiche [1].

Displasia cutanea

Le macchie di color caffè-latte a margini frastagliati, di dimensioni variabili, sono uno dei segni clinici che possono indirizzare la diagnosi. Sono caratteristicamente descritte come “Coste del Maine”, in contrasto con i margini regolari delle lesioni cutanee tipiche della neurofibromatosi paragonate da Albright alle coste della California. La loro prevalenza va dal 53,1 al 92,5%; spesso non sono presenti alla nascita, ma si sviluppano durante l’infanzia. Sono marcatori di malattia, non è descritta in letteratura la loro trasformazione maligna, tranne nei pazienti sottoposti a trattamenti radianti, che vanno dunque evitati [2].

Displasia ossea e rachitismo ipofosfatemico

La displasia fibrosa ossea (BFD) è legata all’iperfunzione autonoma dei precursori degli osteoblasti che depongono matrice osteoide non calcificata e, attraverso un’iperfunzione reattiva degli osteoclasti, conducono alla formazione di tessuto osteoide, displastico. Dal momento che la mutazione causale è distribuita a mosaico, le sedi e l’entità della BFD sono molto diverse da soggetto a soggetto. Sedi tipiche sono gli arti inferiori (coxofemorale, tibia e perone), in cui la displasia, per il carico, determina una progressiva deformità e incurvamento, con dolore, zoppia, fratture spontanee ripetute e necessità di interventi chirurgici correttivi plurimi e talora impossibilità alla deambulazione autonoma. Anche la colonna vertebrale può essere colpita, con progressiva deformità e scoliosi: quando l’angolo di Cob supera i 50° la correzione chirurgica va valutata.

Altra sede è il massiccio cranio-facciale in cui la displasia causa ispessimento delle ossa della base e della volta con possibile incarceramento dei nervi cranici e successiva impotenza funzionale, con asimmetrie del volto rilevanti con impatto estetico e quindi psicologico; in questi casi, il follow-up è quanto più conservativo possibile con valutazioni periodiche della funzionalità oculistica, uditiva, odontostomatologica; in particolare, la decompressione profilattica del nervo ottico è controindicata. L’intervento chirurgico, in casi selezionati, ha finalità funzionale ed estetica. In caso di dolore acuto cranio-facciale va esclusa la presenza di cisti aneurismatiche che rappresentano invece un’emergenza neurochirurgica.

Le aree di displasia ossea diventano tutte apprezzabili all’imaging di Scintigrafia ossea con Tc99 dall’età di 5–6 anni: prima di questa età una scintigrafia ossea normale non esclude comunque la possibilità di evoluzione del quadro osseo. Marcatore biochimico della malattia è il rilevante aumento della fosfatasi alcalina e del suo isoenzima osseo, che può persistere per anni anche quando clinicamente la malattia è apparentemente “spenta”.

La terapia medica della BFD è adiuvante e si basa sull’impiego dei bisfosfonati a cicli per via endovenosa, soprattutto usati per ridurre il dolore osseo, senza tuttavia chiari effetti sulla riduzione del rischio di fratture e di progressione della storia naturale della malattia. Quelli più utilizzati sono Pamidronato 0,5–1 mg/kg/dose (dose max 60 mg) e Neridronato 1–2 mg/kg/dose (dose max 100 mg).

Sull’osso gioca un ruolo negativo la possibile presenza di rachitismo ipofosfatemico dovuto alla produzione da parte dell’osso displasico di FGF23, fattore fosfaturico che causa ipofosfatemia secondaria con osteomalacia anche dell’osso sano non affetto da displasia fibrosa. Il trattamento di questa condizione si avvale di sali di fosfato alla dose di 15–60 mg/kg/die divisi in 4–5 somministrazioni e calcitriolo a 15–60 ng/kg/die con monitoraggio della fosforemia, calcemia e di eventuali disturbi intestinali [3].

Pubertà precoce e manifestazioni gonadiche

La manifestazione più frequente, dovuta a iperfunzione autonoma delle gonadi, è la pubertà precoce, più frequente nelle femmine, più rara (o sotto-diagnosticata) nei maschi.

Nelle femmine è una pubertà precoce periferica (PPP), cioè gonadotropino-indipendente, con valori elevati di estradiolo e valori indosabili di gonadotropine sia basali che dopo stimolo con LHRH, e quadro clinico peculiare: la comparsa di sanguinamento vaginale con concomitanti segni clinici di ipersecrezione estrogenica (areole e capezzoli molto pigmentati). Frequente è la presenza di cisti ovariche, mono o bilaterali, espressione della mutazione localizzata in tal sede e causa dell’ipersecrezione estrogenica massiva. L’andamento può essere di involuzione di queste cisti, di ripresa dell’iperfunzione ovarica in tempi dilatati, o di iperestrogenismo persistente con cicli ricorrenti con impatto negativo sulla psiche e sulla prognosi staturale. Nei casi di persistenza della funzionalità ovarica autonoma, in presenza di avanzamento significativo dell’età ossea maggiore di due anni è possibile effettuare terapia con antiestrogeni a utilizzo off-label in età pediatrica. Gli schemi prevedono l’impiego del Letrozolo 2,5 mg/die per os e, in caso di escape, sostituzione o aggiunta di Tamoxifene 5 mg/die per os.

La rimozione chirurgica delle cisti va riservata alle formazioni maggiori di cinque centimetri con conseguente rischio di torsione ovarica ed effettuata preferenzialmente per via laparoscopica [4].

Nei maschi le manifestazioni puberali sono più subdole e più difficili da cogliere, con gonadarca (aumento di volume del testicolo >4 ml) prima dei 9 anni associato ad accelerata velocità di crescita e aspetto muscoloso del bambino. I dosaggi ormonali documentano aumentati livelli di testosterone con gonadotropine soppresse; l’ecografia testicolare può mostrare microcalcificazioni bilaterali o altre alterazioni ecografiche a carico della componente cellulare del Sertoli o del Leydig, caratteristiche dei maschi MAS anche senza PPP, che necessitano uno stretto monitoraggio ecografico per il rischio di trasformazione maligna. La terapia medica, se l’età ossea è superiore a due anni, si avvale di antiandrogeni associati ad antiestrogeni, con lo scopo di ridurre la produzione di estrogeni indotta dagli antiandrogeni. In particolare, i due schemi più utilizzati sono l’associazione di Bicalutamide 25 mg/die e Anastrazolo 1mg/die per os o, in alternativa, Spironolattone 5 mg/kg/die e Letrozolo 2,5 mg/die per os.

In entrambi i sessi, in caso di switch in pubertà precoce centrale va effettuata l’associazione con LHRH analogo Leuprolina/Triptorelina 3,75 mg i.m. ogni 28 giorni [5].

Anche in età adulta una certa iperfunzione gonadica autonoma con ripercussioni negative sulla fertilità e con aumentato rischio di tumori estrogeno-dipendenti nella donna tende a permanere.

Alterazioni tiroidee

La seconda endocrinopatia in ordine di frequenza e di impatto clinico è l’ipertiroidismo, non mediato da autoanticorpi, con valori elevati di FT4 e FT3 e TSH inibito; l’ecografia può essere normale, mostrare un’iperplasia diffusa, la presenza di struma multinodulare o di un nodulo isolato. Il coinvolgimento tiroideo è associato a un lieve aumento di rischio di carcinoma tiroideo, per cui i pazienti con alterazioni ecografiche in età evolutiva andrebbero rivalutati almeno una volta l’anno.

La terapia si avvale dei farmaci antitiroidei a dosi generalmente inferiori rispetto a quelle impiegate nella tireopatia autoimmune (metimazolo 0,2–0,5 mg/kg/die) con ottima risposta sulla normalizzazione della funzionalità tiroidea. Il propiltiuracile non è utilizzabile per il rischio di epatotossicità, già presente nella MAS.

Il trattamento definitivo nei casi persistenti e/o in presenza di alterazioni ecografiche evolutive è rappresentato dalla tiroidectomia totale. La radioterapia, per il rischio di trasformazione neoplastica sia tiroidea che extratiroidea va riservata ai casi selezionati non responsivi a terapia medica e non candidabili alla chirurgia [6].

Ipersecrezione di GH

L’ipersecrezione di GH, molto rara nel bambino, è più tipica nell’adolescente e nell’adulto. Talora difficile da cogliere, si associa clinicamente ad aumento della velocità di crescita e/o eccessiva crescita ossea a livello cranico, che può essere confusa con la displasia ossea del volto già presente nei soggetti MAS. Dal punto di vista laboratoristico, i livelli di IGF-1 e di GH possono non essere così elevati e necessitano di conferma tramite valutazione con test di soppressione del GH dopo carico di glucosio ed eventuale valutazione dei livelli notturni di GH (significativo per entrambi i test il mancato nadir al di sotto di 1 ng/ml). La RMN della regione ipotalamo-ipofisaria di rado documenta un adenoma ipofisario, più spesso è presente un’iperplasia diffusa.

In genere viene impiegata terapia medica con analoghi della somatostatina (ocreotide 10–30 mg/mese per via s.c.) da soli o in associazione all’inibitore del recettore del GH (pegvisomant 10–20 mg s.c./die) con l’obiettivo target di mantenere le IGF-1 Z-score tra -2 e +1, con risultati significativi sulla riduzione della neuropatia ottica e sul danno uditivo legato alla displasia fibrosa. L’intervento chirurgico sull’ipofisi è da valutare scrupolosamente, sia per l’assenza spesso di un chiaro adenoma, sia per la difficoltà operatoria nel raggiungere l’ipofisi attraverso l’osso ipertrofico e displasico dei soggetti MAS. È da rimarcare che all’ipersecrezione di GH si associa spesso quella di prolattina [7].

Sindrome di Cushing

L’ipercortisolismo periferico (cortisolo elevato, ACTH soppresso) da iperplasia surrenalica bilaterale generalmente colpisce i surreni fetali, con quadro clinico precoce entro il primo anno di vita di sindrome di Cushing, con frequente remissione spontanea per involuzione dei surreni fetali. Tuttavia, in fase florida di malattia si rende in genere necessaria la terapia medica per l’impatto negativo dell’ipercortisolismo sulla crescita, sull’osso, per l’aumentato rischio cardio-vascolare e per le sequele neuro-psichiatriche. Il metirapone (300–1200 mg/m2/die) è il farmaco di prima linea per la ridotta epatotossicità, da solo o in associazione all’etomidato (0,25–1 mg/kg/die), mitotane e ketoconazolo vanno utilizzati con cautela in caso di concomitante interessamento epatico, la surrenectomia bilaterale va riservata ai casi non responsivi dopo l’anno di vita [8].