Commento a:

Bone mineral density after transitioning from denosumab to alendronate.

D. Kendler, A. Chines, P. Clark, P.R. Ebeling, M. McClung, Y. Rhee, S. Huang, R. Kees Stad.

J Clin Endocrinol Metab (2020) 105(3):e255–e264

I bisfosfonati e il denosumab sono farmaci anti-riassorbitivi impiegati nei pazienti con osteoporosi ad aumentato rischio fratturativo. In particolare, la loro efficacia è stata provata nelle donne in post-menopausa, in cui riducono in modo significativo l’incidenza di fratture da fragilità e aumentano la densità minerale ossea (BMD). Queste due classi di farmaci hanno, tuttavia, meccanismi d’azione differenti: i bisfosfonati vengono incorporati nelle zone di matrice ossea sottoposte a rimodellamento, determinando una prolungata durata d’azione; al contrario, il denosumab, anticorpo monoclonale diretto contro il ligando del recettore attivatore di NFkB (RANKL), produce un’intensa soppressione dell’attività osteoclastica che è tuttavia reversibile al momento della sospensione della terapia, con conseguente rebound del turnover osseo, perdita di BMD e aumento del rischio fratturativo vertebrale. Ciò giustifica la necessità del ricorso a una terapia anti-riassorbitiva di mantenimento dopo la sospensione di denosumab: i bisfosfonati, in considerazione del loro meccanismo d’azione, sono raccomandati con l’obiettivo di mantenere il guadagno di BMD ottenuto durante la terapia con denosumab [1]. Tuttavia, sono pochi gli studi che hanno valutato l’effetto del passaggio dalla terapia con denosumab a quella con bisfosfonati e non è noto quale sia lo schema terapeutico ottimale [2].

A tal proposito, Kendler e colleghi hanno eseguito un’analisi post-hoc dello studio DAPS [3] con lo scopo di valutare gli effetti sulla BMD di un trattamento di 12 mesi con alendronato settimanale in donne precedentemente trattate con denosumab per 12 mesi. Dopo il passaggio a alendronato, nella maggior parte delle pazienti la BMD risultava stabile o incrementata. Tuttavia, la BMD si riduceva in una quota non irrilevante di casi (fino al 21,7% a livello del collo femorale), sebbene solo in pochi pazienti venissero raggiunti valori inferiori rispetto a quelli pre-trattamento. Non vi erano correlazioni tra la variazione di BMD durante la terapia con alendronato e le caratteristiche delle pazienti in condizioni di base o l’aderenza alla terapia; tuttavia, chi presentava una riduzione di BMD in corso di alendronato, rispetto a chi mostrava una BMD stabile o aumentata, aveva ottenuto anche un maggior guadagno di BMD in corso di denosumab. Questo potrebbe essere spiegato dalla presenza di un tasso di rimodellamento osseo maggiore in queste donne, non completamente inibito dalla terapia con alendronato. Pertanto, da questa analisi si evince che l’alendronato potrebbe essere un’efficace terapia di mantenimento dopo la sospensione di denosumab. Tuttavia, in coloro che mostrano un maggiore guadagno in termini di BMD con quest’ultima terapia, considerato il maggior rischio di perdita di BMD in corso di alendronato, potrebbe essere giustificato il ricorso a un monitoraggio più attento e a una terapia di mantenimento con bisfosfonati maggiormente potenti, come, ad esempio, lo zoledronato.

Trial clinici attualmente in corso potranno fornire maggiore chiarezza in merito al regime di trattamento ottimale con bisfosfonati dopo la sospensione di denosumab.