Introduzione

Si definisce disfunzione erettile (DE) l’incapacità di raggiungere o mantenere un’erezione tale da permettere una prestazione sessuale soddisfacente. Questo sintomo rappresenta un problema piuttosto comune che interessa dal 6 al 64% della popolazione maschile a seconda dell’età, con una prevalenza media del 30%. Dal punto di vista eziologico si riconoscono cause psicologiche, organiche e miste. In passato si riteneva che le forme psicogene fossero quelle a maggiore prevalenza, mentre le evidenze più recenti suggeriscono che più dell’80% delle condizioni di DE siano da attribuire a cause organiche. Le forme di DE organiche possono a loro volta essere distinte in forme endocrine e forme non endocrine. Tra quest’ultime, la forma a principale prevalenza è quella vascolare che può ulteriormente essere distinta in forma arteriosa, venosa o mista (Tabella 1) [1].

Tabella 1 Suddivisione delle forme di disfunzione erettile sulla base del meccanismo patogenetico

La muscolatura liscia dei corpi cavernosi, così come quella delle arterie e arteriole del pene, gioca un ruolo chiave per il raggiungimento dell’erezione. Infatti, in flaccidità la muscolatura liscia è contratta e solo una minima quota di sangue raggiunge il pene, per garantire il mantenimento dei suoi componenti. Durante l’erezione, il rilascio di neurotrasmettitori, indotto dallo stimolo sessuale, determina il rilassamento della muscolatura liscia con conseguente dilatazione delle arterie e arteriole e aumento del flusso di sangue. A questo, fa seguito il riempimento degli spazi sinusoidali e lo schiacciamento delle vene emissarie tra i sinusoidi ripieni di sangue e la tunica albuginea con conseguente attivazione del meccanismo veno-occlusivo. La fuga venosa viene ulteriormente ridotta dallo schiacciamento delle vene localizzate tra i due strati (circolare e longitudinale) della tunica albuginea. L’aumento del flusso arterioso e la riduzione del deflusso venoso determinano un aumento della pressione a livello penieno che raggiunge quindi lo stato di massima rigidità [2].

Considerata l’importanza della componente vascolare nel meccanismo erettivo, diversi studi hanno valutato il ruolo di possibili marcatori precoci di disfunzione vascolare e, tra questi, il volume piastrinico medio (VPM). Il VPM ha sempre destato molto interesse essendo un parametro di laboratorio semplice da valutare, ma molto utile per analizzare il grado di attività piastrinica. Infatti, piastrine più grandi sono anche più trombogeniche perché sintetizzano un maggior quantitativo di granuli densi e di molecole vasocostrittrici come il trombossano A2 e B2. Inoltre, esprimono quantità maggiori di fattore di Von Willebran, fibrinogeno e P-selectina fondamentali per la loro adesività. Infine, sono più sensibili all’attivazione indotta dall’ADP e meno sensibili all’azione antiaggregante della prostaciclina [3].

Ruolo del volume piastrinico medio nella disfunzione erettile

Elevati valori di VPM sono stati riscontrati in diverse patologie vascolari. Ad esempio, i pazienti con malattia coronarica acuta hanno valori significativamente più elevati di VPM rispetto ai controlli [4]. Inoltre, valori di VPM più alti sono stati associati a un maggior tasso di mortalità a 30 giorni dall’evento coronarico, minor pervietà dell’arteria infartuata [5] e a un maggior rischio di ristenosi dopo angioplastica in questi pazienti [6]. Analogamente, alti valori di VPM sono stati associati a un maggior rischio di ictus [7] e a una maggiore prevalenza di malattia arteriosa periferica [8]. Tutte queste patologie sono accomunate da una patogenesi comune: l’aterosclerosi.

Le piastrine svolgono un ruolo fondamentale nel processo aterosclerotico mediante l’espressione di una serie di molecole come le Regulated upon Activation, Normal T cell Expressed, and Secreted (RANTES), il ligando di CD40 (CD40-L), e il fattore piastrinico 4 (FP4) che da un lato stimolano l’endotelio a produrre citochine infiammatorie e chemochine, dall’altro richiamano i leucociti a livello endoteliale favorendone l’adesività e la transmigrazione nella parete vasale. Tutto ciò determina la formazione delle cellule schiumose e aggrava il processo infiammatorio caratteristico della malattia aterosclerotica [9].

Anche la DE su base arteriosa è considerata un’espressione della malattia aterosclerotica; da qui l’interesse nel valutare i livelli di VPM in questi pazienti. La letteratura scientifica sembra concordare sul fatto che i pazienti con DE vascolare abbiano livelli più elevati di VPM non solo rispetto ai controlli sani, ma anche confrontandoli con pazienti con altre forme di DE, come ad esempio quelle associate a interventi di prostatectomia radicale [10]. Uno studio ha riscontrato che valori di VPM >9,65 fl si associano a diagnosi di DE su base arteriosa con una sensibilità del 47,5% e una specificità del 91,7% [11]. Precedentemente, noi abbiamo dimostrato che i pazienti con DE su base arteriosa, diagnosticata mediante eco-color Doppler penieno dinamico, presentano livelli di VPM significativamente più alti rispetto ai controlli e che questi valori correlano negativamente con i valori di picco di velocità sistolica (PVS) riscontrati al Doppler e, quindi, con la gravità della DE. Inoltre, abbiamo trovato una maggiore espressione del recettore per la vitronectina (\(\alpha \)V\(\beta \)3), coinvolto nell’adesione piastrina e una correlazione positiva tra i valori di VPM e l’espressione di \(\alpha \)V\(\beta \)3 nei pazienti con DE su base arteriosa. Queste evidenze sembrerebbero corroborare il ruolo di piastrine più attive nella genesi della DE [12].

Meno chiaro è, invece, se il VPM abbia un ruolo predittivo per la sola DE su base arteriosa o lo abbia anche per la DE da deficit del meccanismo veno-occlusivo. A tal riguardo, una metanalisi condotta su pazienti con varicocele ha mostrato che i valori di VPM si associano alla presenza e alla gravità della patologia varicosa, suggerendo che questo marcatore possa avere un ruolo anche nelle disfunzioni vascolari su base venosa [13]. Per quanto riguarda la DE, i risultati sono contrastanti. Infatti, solo in due studi è stato valutato questo aspetto con risultati opposti. Uno studio ha riportato che i livelli di VPM nei pazienti con DE su base arteriosa sono significativamente più alti rispetto a quelli con deficit del meccanismo veno-occlusivo [11]. Nel secondo studio, invece, i valori di VPM sono risultati significativamente più alti nei pazienti con DE su base vascolare rispetto ai controlli sani, ma la successiva analisi dei valori di VPM nei diversi sottotipi di DE vascolare non ha evidenziato alcuna differenza significativa [14].

Risvolti diagnostici

La letteratura fino ad oggi presente sembrerebbe concordare sull’importante correlazione tra DE vascolare, in particolare la forma arteriosa, e il VPM. Questo determina degli importanti risvolti dal punto di vista diagnostico. Infatti, il riscontro di alti valori di VPM potrebbe essere un utile e semplice modo per selezionare quei pazienti con DE su base vascolare da sottoporre a un approfondimento diagnostico mediante Doppler penieno dinamico, che rappresenta il gold standard per la diagnosi di DE vascolare [12].

L’importanza di questo marcatore non risiede esclusivamente nella possibilità di una diagnosi precoce di DE vascolare, ma anche nella possibilità di identificare più precocemente i pazienti a rischio di sviluppo di eventi avversi cardiovascolari maggiori. Infatti, ben riconosciuta è la stretta correlazione tra DE su base arteriosa e la patologia coronarica, al punto che si ritiene che la comparsa di DE possa precedere di diversi anni lo sviluppo di evento cardiovascolare maggiore. Questa correlazione tra le due patologie è testimoniata anche dalla condivisione di fattori di rischio comune quali diabete, fumo di sigaretta, ipertensione, obesità, dislipidemia, disfunzione tiroidea, ipovitaminosi D [4]. Tutte queste condizioni, a loro volta, sono associate a un aumento del VPM, suggerendo la presenza di un meccanismo fisiopatologico sottostante comune [15]. Se da un lato, però, questo potrebbe far pensare che il VPM sia solo un marcatore indiretto e non una causa del danno vascolare, dall’altro alcuni studi hanno testimoniato che un aumento dei suoi livelli correla con la DE su base arteriosa e con la malattia coronarica anche in assenza dei ben noti fattori di rischio cardiovascolare [4, 12].

Tuttavia, alcuni limiti circa l’utilizzo del VPM dal punto di vista diagnostico devono essere considerati. Innanzitutto, il suo metodo di misurazione non è ben standardizzato tra i laboratori e questo impedisce di avere un intervallo univoco di riferimento per quanto riguarda i valori normali. In secondo luogo, spesso la differenza nei livelli di VPM tra pazienti e controlli sani, riscontrata nei lavori della letteratura, è esigua e può essere anche attribuita alla variabilità intra-individuale del campione. Infine, l’acido etilen-diammino-tetracetico (EDTA) contenuto nelle provette che vengono prevalentemente utilizzate per la valutazione dell’esame emocromocitometrico, causa un aumento del volume piastrinico che è tempo-dipendente. Per questo motivo, l’analisi precoce dei campioni (entro 1 ora) si rende necessaria al fine di ridurre al minimo l’azione dell’anticoagulante sulle piastrine [16].

Prospettive terapeutiche

L’associazione tra piastrine con volume elevato e DE su base arteriosa ha anche importanti risvolti dal punto di vista terapeutico. Infatti, da un lato permette di rafforzare ancor di più l’importanza di un intervento sullo stile di vita e sulle comorbidità di questi pazienti. In particolare, imperativa è la cessazione dal fumo di sigaretta, in quanto i pazienti fumatori hanno valori di VPM più elevati rispetto ai non fumatori e questa associazione è rafforzata dal fatto che la cessazione del fumo determina una riduzione del volume piastrinico.

Anche obesità e dislipidemia sono stati correlati a valori più elevati di VPM, con conseguente esaltazione dell’importanza di un corretto regime dietetico nei pazienti con DE vascolare. Allo stesso modo, i pazienti diabetici presentano livelli di VPM significativamente più alti rispetto ai non diabetici, con una correlazione positiva tra VPM ed emoglobina glicata (HbA1c). Di conseguenza, l’ottenimento di un’adeguata omeostasi glicidica permetterebbe di ridurre la disfunzione piastrinica e migliorare la funzionalità erettile. Infine, anche un adeguato controllo pressorio sembra migliorare la funzione erettile di questi pazienti dato che anche l’ipertensione è stata associata ad aumento del VPM [17]. Tutte queste evidenze suggeriscono che un’adeguata gestione multidisciplinare permetterebbe di migliorare l’iperattività piastrinica presente nei pazienti con DE su base arteriosa.

Da un altro punto di vista, si aprono nuove prospettive terapeutiche. Infatti, valori più elevati di VPM sono stati riscontrati anche nei pazienti con ipotiroidismo subclinico. Elevati valori di TSH sono stati associati a una riduzione della sintesi di ossido nitrico (NO) a livello endoteliale, che sappiamo essere una molecola chiave per il meccanismo erettivo. Dunque, l’ipotiroidismo subclinico potrebbe inficiare la funzione erettile direttamente riducendo i livelli di NO e indirettamente tramite l’aumento dei livelli di VPM. In effetti il trattamento sostitutivo con levo-tiroxina in pazienti con ipotiroidismo subclinico è stato recentemente associato a un miglioramento della funzione erettile e a una riduzione dei livelli di VPM rispetto a pazienti che non vengono sottoposti a tale trattamento [18].

Anche l’ipovitaminosi D è stata negli ultimi anni correlata alla DE vascolare attraverso meccanismi di danno endoteliale, stress ossidativo e flogosi cronica. I pazienti con DE vascolare non solo hanno valori di vitamina D significativamente più bassi rispetto ai controlli sani, ma hanno anche una correlazione negativa tra valori di VPM e vitamina D, suggerendo che un ulteriore meccanismo di danno vascolare indotto dalla carenza vitaminica possa essere associato alla disfunzione piastrinica. Per cui, un’adeguata valutazione dei livelli di vitamina D e la sua eventuale supplementazione potrebbero avere un ruolo nella gestione diagnostico-terapeutica dei pazienti con DE vascolare [19].

Infine, poiché il VPM correla con l’attività delle piastrine e, dunque, anche con la loro aggregabilità, molto interesse sta nascendo circa l’utilità della terapia con acido acetil-salicilico (ASA) nei pazienti con DE su base arteriosa ed elevati valori di VPM. Infatti, l’ASA è ampiamente utilizzato nei pazienti con patologie cardiovascolari, dal momento che riduce la proliferazione delle cellule muscolari lisce e i mediatori pro-infiammatori, mentre migliora la vasodilatazione endoteliale mediata da NO. Inoltre, esercita la sua azione antitrombotica riducendo la sintesi di trombossano A2 da parte delle piastrine. Un recente studio ha mostrato che pazienti con DE vascolare e alti livelli di VPM, in assenza delle tipiche comorbidità associate alla patologia, beneficiano in maniera importante della somministrazione di ASA a basse dosi (100 mg). Questa evidenza, oltre a prospettare un ruolo per l’ASA nel trattamento di questi pazienti, sembra rafforzare ancora di più il ruolo del VPM come fattore di rischio vascolare indipendente (Fig. 1) [20].

Fig. 1
figure 1

Possibile strategia di trattamento per i pazienti con disfunzione erettile su base arteriosa e alti livelli di volume piastrinico medio tenendo conto della presenza o assenza delle comorbidità tipicamente associate alla patologia

Conclusione

In definitiva, seppur con alcuni limiti, il VPM si prospetta come un marcatore diagnostico precoce di danno vascolare e come un probabile bersaglio terapeutico valutabile facilmente in maniera obiettiva. Tuttavia, ulteriori studi sono necessari per comprendere ina maniera completa e definitiva quanto fino a ora esposto. In particolare, studi su casistiche ampie dovranno chiarire se esistono reali differenze evolutive sul piano vascolare tra pazienti con DE su base arteriosa associata a VPM normale o aumentato.