Introduzione

La terapia con 131-I (RAI), quando effettuata nei pazienti con carcinoma differenziato della tiroide (CDT) sottoposti a tiroidectomia totale (TxT) a scopo ablativo o adiuvante, ha come finalità l’eradicazione di eventuali residui tiroidei e/o microfocolai di carcinoma presenti nel tessuto tiroideo. In aggiunta consente, attraverso l’effettuazione della scintigrafia totale corporea, la precoce individuazione di persistenza di malattia locoregionale e/o a distanza.

Ad oggi, nella pratica clinica, le indicazioni per la terapia ablativa sono diventate più selettive e sono basate sul rischio di persistenza/recidiva di malattia del paziente definito in accordo con la classificazione TNM VII ed. e proposto dalle linee guida dell’American Thyroid Association (ATA) nel 2015 [1]. Nel 2018 sei diverse società scientifiche italiane hanno pubblicato una Consensus [2] sulla gestione e il trattamento dei pazienti con CDT nella quale le indicazioni al RAI sono basate sul TNM VIII ed. [3], pubblicato nel 2016 ed entrato nella pratica clinica nel 2018, che ha introdotto importanti novità rispetto alla VII ed. del 2009. Di particolare interesse è la differente definizione della categoria T3 (Tabella 1) che comprende nella VIII ed. tumori di diametro massimo (Dmax) >4 cm (T3a) e tumori con grossolana estensione extratiroidea ai muscoli striati del collo (T3b) senza più menzione alla minima estensione extratiroidea (MEE) ai tessuti lassi peritiroidei [3]; di conseguenza, i tumori con MEE vengono classificati solo in accordo al loro Dmax e pertanto gran parte dei tumori, precedentemente classificati come T3, vengono ora ricollocati nelle categorie T1 o T2, così come già dimostrato da molti studi in letteratura [4, 5].

Tabella 1 Sistema di stadiazione AJCC/TNM – VII–VIII edizione

Definizione del rischio di persistenza/recidiva e indicazioni alla terapia ablativa con 131-I secondo la Consensus italiana

L’impiego della VIII ed. del TNM nella Consensus italiana ha introdotto alcune importanti modifiche nella definizione del rischio di recidiva/persistenza di malattia rispetto al sistema proposto dall’ATA. Nella classe “rischio basso”, per cui non vi è indicazione al RAI, sono inclusi i pazienti con tumore tiroideo di Dmax ≤2 cm, senza metastasi locali e/o a distanza (T1a-b, N0-X, M0-X). Nella categoria “rischio basso-intermedio o intermedio” sono inclusi pazienti senza metastasi a distanza, con tumore di Dmax ≤2 cm con metastasi linfonodali o con tumore >2 cm e ≤4 cm con o senza metastasi locali (T1-2, N1a-b, M0-X). In questo gruppo di pazienti è suggerito un uso selettivo della terapia con 131I: la decisione è pertanto lasciata al clinico e deve essere basata sulle caratteristiche clinico-patologiche (età avanzata, tumore esteso, linfonodi macroscopici o clinicamente evidenti, estensione extranodale, istologia aggressiva o invasione vascolare) associate a un outcome sfavorevole. Sono considerati a rischio alto i pazienti con macroscopica estensione extra-tiroidea e/o con metastasi a distanza (T3-4, qualsiasi N, qualsiasi M; qualsiasi T, qualsiasi N, M1) e pertanto il RAI è sempre raccomandato [2].

Come indicato nella Tabella 2, una prima differenza che emerge tra il sistema di stratificazione del rischio della Consensus italiana rispetto all’ATA è l’inclusione dei tumori T2, con o senza metastasi locali, nella classe a rischio intermedio e non più nella classe di rischio bassa. Inoltre, i tumori con MEE, ora classificati T1 in accordo al diametro tumorale secondo il TNM VIII ed., sono considerati a rischio basso e non più intermedio (ex categoria T3) e, pertanto, non presentano indicazione al RAI. Infine, i tumori nelle categorie T3a e T3b vengono sempre considerati a rischio alto e, pertanto, con indicazione al RAI.

Tabella 2 Comparazione del Sistema di stratificazione del rischio e indicazioni alla terapia ablativa secondo l’ATA e la Consensus Italiana

Un recente studio ha validato le indicazioni della Consensus italiana su 380 pazienti con CDT trattati con TxT e RAI [6]. In questo lavoro, l’applicazione della Consensus nella pratica clinica ha portato a una significativa riduzione dei pazienti da sottoporre a terapia radiometabolica post-chirurgica con un rischio di ritardata diagnosi di persistenza di malattia minimo e sovrapponibile a quello osservato con l’impiego delle raccomandazioni dell’ATA (1,1 vs 2,1%, \(p\) = 0,37). In particolare, la percentuale dei pazienti senza indicazioni alla terapia ablativa passava dal 38,2% (in accordo con l’ATA) al 47,4% (in accordo con la Consensus italiana) e quella con raccomandazione al trattamento dall’1,8 all’8,2%, rispettivamente. Di conseguenza, la percentuale dei pazienti nei quali veniva consigliato l’uso selettivo del radioiodio diminuiva dal 60 al 44,5% [6].

Conclusioni

La Consensus italiana ha modificato in maniera significativa la distribuzione dei pazienti con CDT nelle diverse classi di rischio e, di conseguenza, anche le indicazioni al trattamento ablativo con radioiodio nel post-intervento. La sua applicazione nella pratica clinica riduce significativamente il numero dei pazienti da trattare con RAI dopo la TxT con un minimo rischio di mancata diagnosi di malattia metastatica.