Introduzione

La sintesi e la secrezione tiroidea dei due ormoni iodati, tiroxina (T4) e triiodotironina (T3) sono controllate dall’ormone tireotropo (TSH) ipofisario, a sua volta controllato dal fattore di rilascio ipotalamico TRH. La massima parte dell’ormone biologicamente attivo, la T3, è prodotta nei tessuti periferici da desiodazione della T4. Gli ormoni tiroidei circolano legati specificamente a una globulina (Thyroxin-binding globulin, TBG) e con minore specificità alla transiretina e all’albumina. Oltre il 99,8% degli ormoni circolanti è legato a queste proteine, per il 70% alla TBG e fino al 15% alla transiretina, con un’affinità 10 volte superiore per la T4 rispetto alla T3. L’elevato peso molecolare del complesso ormone-proteina ne impedisce la filtrazione glomerulare renale, così costituendo una scorta di ormone tiroideo nel compartimento plasmatico. Sono le quote libere di T4 (FT4) e di T3 (FT3) a esercitare il feedback negativo sul rilascio di TSH e TRH in modo da garantire il fisiologico equilibrio metabolico [1]. L’ipertiroidismo e l’ipotiroidismo, esercitano opposte e specifiche ripercussioni metaboliche e sono in grado di influenzare negativamente la funzione gonadica in entrambi i sessi [1].

Le quote libere circolanti di ormone tiroideo sono in equilibrio con quelle legate alle proteine di trasporto. La terapia ormonale contraccettiva è in grado di modificare le concentrazioni delle proteine leganti gli ormoni tiroidei, producendone un aumento o una riduzione, a seconda del tipo di contraccettivo utilizzato.

Lo scopo di questa Rassegna è duplice: se, da un lato, si propone di comprendere se e come la contraccezione ormonale possa influenzare l’economia tiroidea, dall’altro cerca di chiarire se l’assunzione di levo-tiroxina (LT4) possa modificare l’efficacia o la sicurezza della terapia contraccettiva.

Contraccettivi orali e diagnostica funzionale tiroidea

Effetti degli estrogeni

La causa più comune di un incremento delle concentrazioni sieriche di TBG è l’aumento della produzione di estrogeni o la loro somministrazione, sia come componenti della pillola contraccettiva che della terapia ormonale sostitutiva. In particolare, gli estrogeni naturali sono in grado di aumentare il grado di sialilazione della TBG condizionante, a sua volta, una riduzione della clearance renale e un aumento delle concentrazioni sieriche [2]. La dose più comunemente utilizzata di etinil-estradiolo è 20–35 μg/die, mentre degli estrogeni coniugati è 0,625 mg/die. Entrambe le formulazioni sono in grado di determinare un aumento della TBG del 30–50% e delle concentrazioni di T4 del 20–35%. L’aumento comincia a partire dalla seconda settimana di somministrazione e raggiunge il plateau in circa 4–8 settimane. Nelle donne affette da ipotiroidismo in terapia sostitutiva con LT4, è solitamente richiesto un aumento del dosaggio di LT4 fino a 45% in presenza di un aumento endogeno (gravidanza) o esogeno (terapia ormonale) dei livelli di estrogeni circolanti per mantenere i livelli di TSH entro i limiti di normalità [3]. Questo riflette l’aumento delle concentrazioni di TBG (con conseguente riduzione delle quote di FT3 e FT4) estrogeno-dipendente.

Gli estrogeni orali, comunemente usati come terapia ormonale sostitutiva più che a scopo contraccettivo, hanno un effetto di primo passaggio epatico. Inoltre, la somministrazione transdermica degli estrogeni non aumenta i livelli i TBG o T4, sebbene le concentrazioni ematiche raggiunte con la terapia transdermica e orale siano sovrapponibili [4].

Effetti del progesterone e dei progestinici

Le evidenze disponibili in letteratura circa l’effetto del solo progesterone (o progestinico) non associato a terapia estrogenica sulla funzione tiroidea sono scarse. Uno studio randomizzato, placebo-controllato, della durata di 12 settimane, ha riportato che il progesterone micronizzato, somministrato alla dose orale di 300 mg, riduceva i livelli di TSH, aumentava i livelli di FT4 e non aveva effetto sui livelli di FT3 rispetto al placebo [5]. Inoltre, il trattamento con medrossi-progesterone-acetato è risultato capace di aumentare significativamente i livelli di FT4 più di quanto osservato nelle pazienti trattate con dispositivo intrauterino (IUD) in rame [6]. Gli effetti di ciascun progestinico sull’economia tiroidea sono diversi e sono schematizzati nella Tabella 1.

Tabella 1 Effetti del progesterone e dei progestinici sulla prove di laboratorio di funzione tiroidea [1]. \(N\), nessun cambiamento; FT3, tri-iodo-tironina libera; FT4, tiroxina libera; SHBG, globulina legante gli ormoni sessuali; TBG, globulina legante la tiroxina; TSH, ormone tireostimolante

La maggior parte delle evidenze disponibili si riferisce agli effetti della terapia combinata (estro-progestinica) sulla funzione tiroidea. Il dienogest (DNG) presenta un’azione anti-androgenica maggiore rispetto al levonorgestrel (LNG). Il profilo estrogenico del DNG è inoltre leggermente maggiore rispetto a quello del LNG, mentre l’azione anti-estrogenica è scarsa. L’utilizzo combinato degli estrogeni e progestinici dovrebbe tenere in considerazione dell’effetto pleiotropico e sinergico di entrambi questi ormoni. Uno studio randomizzato, doppio-cieco, controllato, ha valutato l’effetto di quattro diversi contraccettivi sulla funzione tiroidea, in particolare il primo contenente 30 μg di etinil-estradiolo e 2 mg di DNG, il secondo 20 μg di etinil-estradiolo e 2 mg di DNG, il terzo 10 μg di etinil-estradiolo, 2 mg di estradiolo valerato e 2 mg di DNG e il quarto contenete 20 μg di etinil-estradiolo e 100 μg di LNG. Lo studio ha riportato un aumento significativo delle concentrazioni di T4 e T3 del 20–40% in tutti i trattamenti, mentre il TSH è aumentato significativamente solo nelle donne trattate con la terza formulazione [7]. Tale aumento può essere attribuito agli effetti delle terapie contraccettive contenenti DNG o LNG sulle globuline leganti. Lo studio delle quote libere ha riportato cambiamenti minimi e non significativi. Pertanto, queste evidenze indicano chiaramente che i contraccettivi contenenti DNG o LNG hanno solo minimi effetti sulla funzione tiroidea [7].

Influenza della terapia con levotiroxina (\(L-T4\)) sull’efficacia e sicurezza della contraccezione ormonale

La questione relativa alla possibile influenza che la terapia con LT4 può avere sull’efficacia e sicurezza della terapia contraccettiva deriva da uno studio secondo il quale gli ormoni tiroidei faciliterebbero l’espressione del recettore per gli estrogeni [8]. Per contro, la tiroidectomia totale induce una riduzione dell’espressione dei recettori per gli estrogeni fino al 70% nel modello murino. La somministrazione di T3 alla dose di 1 μg/die normalizzava l’espressione sia del trascritto che della proteina [8]. Tali limitate evidenze sperimentali richiedono comunque studi nella specie umana.

Ripercussioni sul rischio cardiovascolare

Contraccettivi orali e rischio tromboembolico

La terapia contraccettiva è associata a un aumento del rischio trombotico di 3–8 volte superiore [9]. Quest’ultimo dipende dalla dose dell’estrogeno e dalla molecola ad azione progestinica utilizzata. Alcune evidenze mostrano come l’effetto della componente progestinica sui livelli di TBG dipenda dall’azione trombogenica intrinseca della molecola. Se da un lato, infatti, il ciproterone acetato o il drospirenone, aventi un maggiore potenziale trombogenico, provocano un aumento dei livelli di TBG, progestinici con profilo trombogenico migliore (es. LNG) ne determinano una diminuzione [9]. Secondo la Società Americana della Medicina della Riproduzione (ASRM), l’incidenza di tromboembolismo venoso è pari a 16–22 casi su 10.000 donne l’anno [10]. Diversi dati epidemiologici confermano un rischio trombotico più alto nelle donne che utilizzano terapia estrogenica. Tale rischio è ancora maggiore quando a questa viene aggiunto il progesterone [11]. Una recente meta-analisi ha riportato un aumento del rischio trombotico nelle donne in terapia orale con estrogeni, ma non in quelle trattate per via transdermica [12]. Questo suggerisce come la formulazione transdermica possa essere preferibile a quella orale per garantire un minore rischio trombotico.

Le evidenze riportate giustificano, quindi, l’importanza della valutazione del rischio tromboembolico preliminarmente alla prescrizione della terapia contraccettiva.

Volume piastrinico medio e trombosi

Un aspetto che merita di essere guardato con attenzione nella valutazione del rischio trombotico preliminarmente alla prescrizione della terapia ormonale contraccettiva è rappresentato dal volume piastrinico medio. Le piastrine possono variare in dimensioni. Un aumentato volume piastrinico ha un maggiore potenziale pro-trombotico ed è associato a una più alta resistenza al trattamento con Cardioaspirina® o clopidogrel. Studi recenti hanno riscontrato che l’aumento del volume piastrinico medio è associato a un maggior rischio di trombosi venosa profonda, infarto del miocardio e riveste un ruolo prognostico nei pazienti con malattia cardiovascolare. In particolare, una meta-analisi condotta su 18 studi ha dimostrato che i pazienti con trombosi venosa profonda mostrano valori di volume piastrinico medio più alti rispetto al gruppo controllo [13]. Un aumento del volume piastrinico medio è stato osservato anche nelle malattie dell’apparato cardiovascolare, respiratorio, nell’insufficienza renale cronica, diabete mellito, tumori, malattie intestinali, reumatologiche.

Gli ormoni sessuali possono influenzare la funzione piastrinica. Alti livelli di testosterone aumentano l’espressione del recettore piastrinico per il trombossano A2, favorendo processi di aggregazione. Ciò potrebbe contribuire al maggiore rischio trombotico degli androgeni [14]. La somministrazione di progesterone è capace di aumentare l’affinità di legame della globulina di trasporto degli steroidi sessuali (SHBG), riducendo i livelli di testosterone libero e, quindi, il rischio trombotico (Tabella 1) [15]. Inoltre, la conta piastrinica media diminuisce nel periodo post-menopausale nelle donne che non assumono terapia ormonale contraccettiva, in assenza di significative variazioni del volume piastrinico medio. Questo potrebbe far ipotizzare un ruolo per gli estrogeni nel modulare la conta piastrinica media. In aggiunta, nel periodo post-menopausale è stato osservato un aumento della percentuale di piastrine reticolate, queste ultime caratterizzate da una più alta capacità trombotica [16]. Ciononostante, le evidenze disponibili non hanno mostrato una definita interferenza della terapia ormonale contraccettiva nei confronti della funzione piastrinica [17].

Per contro, gli ormoni tiroidei possono influenzare la funzione piastrinica. In particolare, l’ipertiroidismo conclamato è associato a un aumento del rischio trombotico, in quanto un aumento dei livelli di FT4 causa uno stato di ipercoagulabilità. Più in dettaglio, il recettore per la T4 è capace di interagire con l’integrina piastrinica \(\alpha \)v\(\beta \)3, iniziando il meccanismo di aggregazione a cascata. Gli ormoni tiroidei sono inoltre in grado di stimolare l’interazione tra le piastrine e l’endotelio, favorendo processi trombotici [18]. Le evidenze della letteratura attribuiscono un ruolo agli ormoni tiroidei nell’influenzare il valore del volume piastrinico medio: mentre gli studi di associazione tra ipertiroidismo conclamato e volume piastrinico medio mostrano risultati contrastanti, l’ipotiroidismo è più chiaramente associato a un aumento del volume piastrinico medio.

Disfunzione tiroidea: influenze sulla funzione arteriosa e sul profilo lipidico

L’ipotiroidismo si associa a effetti dannosi sul sistema cardiovascolare. Alcuni studi dimostrano, infatti, maggiori valori di pressione sistolica nei pazienti affetti da ipotiroidismo subclinico rispetto ai pazienti con normale funzione tiroidea. L’ipotiroidismo subclinico sembra inoltre correlare a un alterato profilo lipidico, seppure le evidenze su questo punto siano a tratti poco chiare. In particolare, alcuni dati mostrano l’associazione tra ipotiroidismo subclinico e ipertrigliceridemia. Questa evidenza non è però confermata da altri studi e, inoltre, il meccanismo fisiopatologico attraverso cui questa associazione sussisterebbe non è noto. Altre evidenze hanno riscontrato come la terapia con LT4 sia in grado di ridurre i livelli di colesterolo totale e LDL, ma non dei trigliceridi. Comunque, una meta-analisi ha riportato un maggior livello di colesterolo totale, LDL e trigliceridi nei pazienti affetti da ipotiroidismo subclinico rispetto ai pazienti con normale funzione tiroidea [19].

La contraddittorietà dei dati potrebbe essere attribuibile all’eterogeneità delle popolazioni studiate o a bias intrinseci agli studi. L’ipotiroidismo subclinico potrebbe causare nel lungo termine alterazioni del profilo lipidico e del volume piastrinico medio, favorendo l’insorgenza di eventi cardiovascolari. L’aumento del TSH può causare, infatti, un incremento del colesterolo LDL, aterogeno, dei livelli di stress ossidativo e della pressione diastolica, promuovendo la disfunzione endoteliale [20]. Queste evidenze sottolineano l’importanza della valutazione della funzione tiroidea preliminarmente alla prescrizione della terapia ormonale contraccettiva, dato l’impatto che essa stessa ha sul rischio trombotico e cardiovascolare.

Conclusioni

Dalle evidenze riportate si può concludere che la terapia ormonale contraccettiva causa cambiamenti dei livelli di TSH e delle quote libere degli ormoni tiroidei. L’aumento di T3 e T4 è attribuibile alle modifiche della TBG indotte dalla terapia contraccettiva. L’incremento dei livelli di FT3 e FT4, la bassa clearance renale della TBG e il conseguente aumento della sintesi degli ormoni tiroidei devono essere valutate con attenzione, specialmente nei pazienti con ipertiroidismo conclamato o con ipotiroidismo subclinico. Pertanto, la prescrizione della terapia ormonale contraccettiva dovrebbe associarsi a un monitoraggio della funzione tiroidea. L’ipotiroidismo richiede, inoltre, che venga prestata attenzione anche al rischio cardiovascolare, potendosi associare ad alterazioni del profilo lipidico, pressorio e alterazioni coagulative, condizioni favorenti la disfunzione endoteliale e, quindi, associate a un maggiore rischio trombotico e cardiovascolare [1].