Introduzione

Un buon controllo glicemico è essenziale per ridurre l’incidenza e la progressione delle complicanze micro- e macrovascolari nelle persone con diabete mellito di tipo 1 (DM1) e di tipo 2 (DM2). Tuttavia, gran parte dei pazienti mantiene un controllo insoddisfacente per lunghi periodi di tempo [1]. L’introduzione di un’insulina basale è una valida opzione per l’intensificazione del trattamento nelle persone con DM2. Tuttavia, definire una dose di partenza appropriata e fornire schemi per l’auto-titolazione dell’insulina basale è importante anche nelle persone con DM1 per raggiungere in sicurezza gli obiettivi di cura della malattia.

Diabete mellito di tipo 2

Le linee guida internazionali raccomandano l’impiego dell’insulina basale in pazienti affetti da DM2 che non raggiungono gli obiettivi di trattamento nonostante duplice/triplice terapia orale e/o con gli agonisti del recettore del GLP-1 o in presenza di grave scompenso glicometabolico con sintomi/segni di deficit insulinico (Fig. 1) [1]. In Italia, circa il 30% dei pazienti affetti da DM2 fa uso di insulina, da sola o in associazione ad altri ipoglicemizzanti (Annali AMD 2018).

Fig. 1
figure 1

Guida all’intensificazione terapeutica con insulina basale nel paziente affetto da diabete mellito di tipo 2 (DM2). GLP-1RA, agonisti del recettore del GLP-1

Le formulazioni di insulina basale oggi disponibili sono l’insulina intermedia NPH, sempre meno usata, e gli analoghi ricombinanti dell’insulina umana di prima (detemir e glargine U-100) o seconda (degludec e glargine U-300) generazione. L’insulina intermedia NPH ha durata d’azione più breve rispetto alle altre formulazioni e il suo impiego è gravato da un maggior rischio di ipoglicemia. L’insulina detemir, invece, determina un minore incremento ponderale ma richiede a volte una doppia somministrazione giornaliera. Le insuline di seconda generazione sono caratterizzate da una durata d’azione più lunga, da un profilo farmacocinetico con picco meno evidente e da minore variabilità di azione da un giorno all’altro. Trial randomizzati controllati e studi di Real World Evidence (RWE) hanno dimostrato che, a parità di efficacia, l’impiego di insuline basali di seconda generazione consente di ridurre il rischio di ipoglicemia, che costituisce uno dei principali ostacoli all’intensificazione terapeutica [1].

La dose iniziale consigliata di insulina basale è di 10 UI/die (o 0,1–0,2 UI/kg/die), ma la prima prescrizione deve necessariamente essere seguita da una fase di titolazione, della durata di 8–12 settimane, durante la quale ci si prefigge di raggiungere il target personalizzato di glicemia a digiuno (FPG), solitamente compreso fra 80 e 130 mg/dl, evitando ipoglicemie [1]. La titolazione può essere gestita dal diabetologo oppure dal paziente stesso, secondo algoritmi di auto-titolazione. Le evidenze cliniche sostengono la maggiore efficacia delle strategie di auto-titolazione e, a differenza degli studi condotti con glargine U-100, lo studio TAKE CONTROL e lo studio italiano ITAS [2], condotti con glargine U-300, non hanno mostrato differenze nell’incidenza di ipoglicemie fra i due gruppi. Gli schemi di titolazione proposti sono molteplici e prevedono la riduzione o l’incremento di 2-3 UI (o loro multipli) di insulina basale ogni 3–7 giorni in base ai valori di FPG registrati dal paziente nei giorni precedenti [1, 3].

Diabete mellito di tipo 1

Nelle persone con DM1, schemi di terapia basal-bolus (≥3 iniezioni di insulina al giorno o, meno frequentemente, infusione sottocutanea continua di insulina con un microinfusore) sono impiegati sin dall’epoca della diagnosi di malattia per mimare la secrezione fisiologica dell’insulina. Il fabbisogno insulinico giornaliero può essere stimato a partire dal peso corporeo ed è compreso fra 0,4 e 1,0 UI/kg/die nella maggior parte degli individui. In particolare, le società scientifiche suggeriscono una dose insulinica di partenza pari a 0,5 UI/kg/die nei pazienti con DM1 in buon controllo metabolico [4]. Nei pazienti di nuova diagnosi, la dose totale richiesta è spesso inferiore come conseguenza del recupero parziale della funzione \(\beta\)-cellulare che può avvenire dopo l’inizio della terapia insulinica; in questi casi è consigliata una dose di partenza più bassa (0,3–0,4 UI/kg/die) per ridurre il rischio di ipoglicemia [5]. In genere, il 40–60% della dose totale giornaliera è somministrata come insulina basale e la parte rimanente è suddivisa in 2–4 dosi prandiali in base al numero dei pasti e al loro contenuto di carboidrati.

Gli analoghi di seconda generazione dell’insulina basale (degludec e glargine U-300) sono da considerare di prima scelta nei pazienti in terapia multiniettiva, in quanto garantiscono una riduzione degli episodi ipoglicemici (soprattutto notturni) e una minore variabilità glicemica a parità di efficacia nel ridurre i livelli di HbA1c (Fig. 2) [5].

Fig. 2
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Proposta di algoritmo di trattamento in pazienti adulti non in gravidanza affetti da diabete mellito di tipo 1 (DM1) [5]. QD, una volta al giorno; BID, due volte al giorno; TID, tre volte al giorno

Anche nelle persone con DM1, l’aggiustamento delle dosi di insulina è guidato dai risultati dell’automonitoraggio domiciliare della glicemia. In particolare, la titolazione dell’insulina basale è fatta osservando la FPG dopo aver sistemato il bolo della cena (glicemia prima di andare a letto compresa fra 100 e 130 mg/dl). Un aumento della glicemia >30 mg/dl durante la notte deve indurre a un aumento della dose di insulina basale, mentre una riduzione della glicemia della stessa entità rende opportuna una riduzione di dose [6].

Conclusione

Nonostante l’introduzione di un’insulina basale, più del 70% dei pazienti non ottiene un buon controllo glicemico. La paura dell’ipoglicemia e dell’incremento ponderale, la scarsa motivazione e l’incapacità a titolare la dose in maniera appropriata sono i principali ostacoli al raggiungimento degli obiettivi di trattamento e la loro gestione è parte integrante del percorso di cura. Una maggiore attenzione all’educazione terapeutica e l’utilizzo di App per la titolazione attiva delle dosi potrebbero favorire l’aderenza al trattamento.