Introduzione

È stato calcolato che il corpo umano sia costituito da circa 37.000 miliardi di cellule. Ciascuna di esse deve essere nutrita per svolgere il proprio lavoro. Il nutrimento per ciascun tipo di cellula proviene dal cibo che deve essere ricercato e ingerito. La ricerca del cibo è un comportamento fondamentale per la sopravvivenza che nasce, come tutti i comportamenti umani, dal bilanciamento tra le attività cerebrali che ricevono impulsi istintuali e quelle che elaborano risposte razionali. L’assunzione del cibo è un comportamento successivo e conseguente al precedente e anch’esso ha bisogno della collaborazione delle due componenti alla base dell’attività comportamentale.

Oggi è difficile comprendere come sia necessario un impulso istintuale per attivare la ricerca del cibo ma, fino a poche centinaia di anni orsono, procurarsi il cibo non era un’attività banale e comportava spesso rischi di sopravvivenza.

Ancora più difficile è pensare come possano essere necessari gli stimoli istintuali per assumere il cibo, che determina una soddisfazione fisica facile da ricordare o quantomeno l’interruzione di una condizione spiacevole come quella determinata dal digiuno prolungato.

Per entrambe queste due attività comportamentali sono necessari ormoni dall’azione complessa prodotti principalmente dalle cellule adipose o adipociti bianchi.

Queste cellule formano un tessuto che rappresenta quindi il fulcro centrale per la nutrizione del nostro organismo. Esse sono in grado di immagazzinare molecole ad alto potere energetico in spazi relativamente piccoli che nutrono l’organismo tra un pasto e l’altro consentendoci periodi di digiuno prolungato sino a qualche settimana. Inoltre, producono gli ormoni per la ricerca e per l’assunzione del cibo.

Ormoni che determinano comportamenti essenziali per la sopravvivenza

L’ormone per la ricerca del cibo è stato scoperto nel 1994 dal team di Jeffrey Friedman alla Rockfeller University di New York City [1]. Ad esso è stato attribuito il nome di leptina, un ormone ad attività endocrina e paracrina che agisce principalmente sul cervello e, in particolare, sul sistema limbico, informandoci sullo stato nutrizionale dell’organismo. Esso, infatti, determina una leptinemia che è proporzionale alla quantità di tessuto adiposo bianco, cioè delle scorte energetiche dell’organismo. Quando le scorte sono basse, la leptinemia è bassa e il cervello riceve impulsi irrefrenabili per la ricerca del cibo. Topi ed esseri umani che non producono leptina o il suo recettore funzionale assumono il triplo del cibo assunto dai soggetti normali diventando massivamente obesi e la somministrazione di leptina ricombinante ai soggetti con deficit di produzione permette il recupero di un fenotipo e di un comportamento normale.

La maggior parte dei soggetti obesi essenziali sviluppa una leptino-resistenza che trova la sua giustificazione fisiologica nel fatto che l’organismo deve premurarsi contro l’eventualità di una carestia di cibo, per cui anche alla presenza di alte scorte energetiche e quindi di elevata leptinemia, la leptino-resistenza instaurata permette un’ulteriore assunzione di cibo che garantisca la possibilità di sopravvivere a lunghi periodi di digiuno.

Questa resistenza all’ormone, indice di scorta energetica sufficiente, è alla base dell’obesità essenziale, in quanto l’individuo che assume eccesso di cibo rende positiva la bilancia energetica e necessita di uno sviluppo particolare del tessuto adiposo bianco. Quest’ultimo risponde in modo appropriato con capacità di espansione sia nel volume di ogni singola cellula (ipertrofia) sia nel numero delle cellule (iperplasia). Le straordinarie capacità espansive del tessuto adiposo bianco fanno sì che il suo peso, che rappresenta circa il 20% del peso totale di un individuo adulto magro, si moltiplichi al punto tale da rappresentare circa il 70% del peso corporeo totale. Quindi, un tessuto che pesa circa 15 Kg nel magro può espandersi sino a pesare circa 90 Kg nel soggetto massivamente obeso, il che equivale a dire che ha capacità espansive che consentono un suo sviluppo di circa sei volte il peso iniziale.

Questi dati permettono facilmente di comprendere come esso debba produrre anche tutta una serie di molecole ad azione paracrina che facilitino l’interazione con la matrice extracellulare al fine di permettere un’adeguata espansione in caso di bilancia energetica cronicamente positiva fino a livelli straordinari come quelli sopra ricordati. I dettagli di tali fattori di secrezione sono stati recentemente oggetto di ampia revisione [2] ed esulano dagli scopi di questa rassegna.

Lo stimolo istintuale per il comportamento dell’assunzione del cibo è dato da un ormone prodotto dall’adipocita bianco scoperto più recentemente, nel 2016 dal Dr Chopra del Baylor College of Medicine a Houston, Texas: l’asprosina [3].

Il dato più convincente che quest’ormone sia essenziale per l’assunzione del cibo è che soggetti lipodistrofici (quindi con bassa leptinemia) e che hanno mutazione genica che impedisce loro la produzione di asprosina, mangiano poco. Altra importante funzione dell’asprosina è di indurre, durante il digiuno, glucogenesi stimolando direttamente il fegato.

In sintesi, quindi, l’adipocita bianco produce due ormoni che agiscono sul cervello per indurre l’individuo a cercare il cibo (leptina) e assumerlo (asprosina). Inoltre, garantisce la sopravvivenza fornendo energia alle cellule dell’organismo permettendo lunghi intervalli tra un pasto e l’altro.

L’organo adiposo

Dal punto di vista anatomico, il tessuto adiposo è contenuto in strutture dissecabili dal resto del corpo che occupano compartimenti superficiali (sottocutaneo) e profondi (viscerali del tronco). Il tessuto adiposo è quindi distinto in sottocutaneo e viscerale.

Il colore del tessuto adiposo è bianco nei piccoli mammiferi e giallastro nell’essere umano, ma in alcune sedi il colore è decisamente bruno (Fig. 1).

Fig. 1
figure 1

Organo adiposo di topo femmina adulta mantenuta a 28 °C o 6 °C per 10 giorni. I vari depositi sottocutanei e viscerali sono indicati nello schema. \(A\), sottocutaneo anteriore; \(B\), mediastinico; \(C\); mesenterico; \(D\), retroperitoneale; \(E\), addomino-pelvico; \(F\), sottocutaneo posteriore. Bar: 15 mm. Da [4] (con permesso)

Nel topo, la sede bruna più consistente è nel compartimento sottocutaneo a livello della regione interscapolare; nell’uomo la sede bruna più consistente è posta in stretto rapporto con l’aorta e i suoi rami principali.

In queste sedi le cellule adipose hanno caratteristiche diverse rispetto a quelle degli adipociti bianchi. Infatti, questi ultimi hanno tipicamente forma sferica (che consente massimo volume nel minimo spazio) e il 90% del loro contenuto è formato da una singola goccia di lipide (trigliceride). Il citoplasma è formato da una sottile rima con pochi organuli privi di caratteristiche specifiche e il nucleo è a forma di semiluna, schiacciato dal lipide (Fig. 2).

Fig. 2
figure 2

Istologia di una zona mista dell’organo adiposo. Sono visibili entrambi i citotipi: adipocita bianco (uniloculare) e adipocita bruno (multiloculare). Quest’ultimo risulta marcato dall’immunoistochimica mediante anticorpo anti UCP1. Si noti la presenza di numerose forme intermedie. Bar: 15 micron

L’anatomia degli adipociti delle aree brune è caratterizzata da dimensioni ridotte (circa 1/3 di quelle degli adipociti bianchi), una forma poligonale e citoplasma con numerosi piccoli vacuoli lipidici (Fig. 2). I mitocondri sono numerosi, voluminosi e ricchi di creste. Gli adipociti delle aree brune, che appunto sono denominati adipociti bruni, sono molto diversi dagli adipociti bianchi. Essi si organizzano in un tessuto adiposo ricco di vasi sanguigni (che concorrono al colore bruno) e di fibre nervose adrenergiche parenchimali che prendono contatto, con le loro espansioni sinaptoidi, direttamente con le singole cellule adipose.

Gli adipociti bruni hanno funzioni diametralmente opposte a quelle degli adipociti bianchi: disperdono l’energia bruciando gli acidi grassi e producendo calore. L’azione è guidata dallo stimolo adrenergico che si attiva all’esposizione al freddo e stimola i beta3 recettori degli adipociti bruni. Tale stimolo induce l’attivazione della beta ossidazione degli acidi grassi. La presenza di una proteina disaccoppiante nei mitocondri (UCP1) vanifica il gradiente protonico che deriva dalla beta ossidazione e il risultato netto è la produzione di calore. Poiché i vacuoli lipidici sono in forma multiloculare, la quantità di acidi grassi liberata dallo stimolo adrenergico è enorme e, poiché i mitocondri sono numerosi, grossi e ricchi di creste, il calore prodotto è fisiologicamente rilevante. Se si considera che il corpo umano debba essere mantenuto costantemente a una temperatura corporea di circa 37 °C, mentre quella ambientale varia da circa −70 a circa \(+50\) si intuisce facilmente come siano più importanti i sistemi termogenetici rispetto a quelli di termodispersione e il tessuto adiposo bruno è tra i sistemi termogenetici più importanti dell’organismo.

In sintesi, quindi, l’organo adiposo è formato da strutture dissecabili formate da due tessuti con morfologia e funzione diverse: il tessuto adiposo bianco e il tessuto adiposo bruno. Infatti, gli organi sono strutture dissecabili, formati da almeno due tessuti che cooperano tra loro a un preciso scopo funzionale. Ad esempio, lo stomaco è dissecabile e composto sia da ghiandole che producono succo gastrico che da muscoli che fanno peristalsi. Ghiandole e muscoli sono tessuti diversi che cooperano al fine comune della digestione. Tutto ciò impone una domanda: qual è la cooperazione tra tessuto adiposo bianco e bruno?

Plasticità dell’organo adiposo

Per rispondere a questa domanda abbiamo esaminato l’organo adiposo sottoposto a diverse condizioni sperimentali. Negli animali esposti al freddo, l’organo cambia colore e diventa più bruno (Fig. 1). Accurati studi sperimentali condotti su due diversi ceppi murini hanno dimostrato che questo browning dell’organo adiposo è dovuto a un aumento significativo delle cellule adipose brune e alla riduzione equivalente delle cellule adipose bianche, in assenza di variazione del numero totale degli adipociti dell’organo adiposo e in assenza di dati a favore di una possibile riduzione per morte degli adipociti bianchi. Essi, anzi, rinforzano la loro resistenza all’apoptosi proprio in situazioni con aumento del tono adrenergico come quello che si registra all’esposizione al freddo. Tali dati confermano quanto abbiamo ipotizzato circa 20 anni or sono con esperimenti che dimostravano che il tessuto adiposo bianco di ratti anziani sottoposti a stimolo farmacologico con agonisti dei recettori adrenergici beta3 si trasforma in tessuto adiposo bruno.

In particolare, gli adipociti bianchi di tali animali presentavano una morfologia con aspetti indicativi per una loro inequivocabile diretta trasformazione graduale in adipocita bruno. Infatti, i primi stadi di trasformazione evidenziavano una riconfigurazione della morfologia del vacuolo lipidico: mentre nell’adipocita bianco il vacuolo è formato da un’unica goccia (uniloculare), nell’adipocita in fase iniziale di trasformazione diventa multiloculare. Questa multilocularietà si manifesta solo nella parte periferica della cellula che, dunque, si presenta con un voluminoso vacuolo centrale e tanti piccoli vacuoli periferici. In altre parole, la cellula assume una morfologia molto particolare che abbiamo successivamente denominato pauciloculare [5]. Inoltre, nella stessa parte periferica dove si formano i piccoli vacuoli, non solo si assiste a un’evidente mitocondriogenesi, ma anche a una progressiva trasformazione della morfologia mitocondriale. Infatti, tale regione cellulare è ricca di mitocondri con morfologia rappresentativa di tutte le tappe intermedie di transizione da quella dei mitocondri “bianchi” (allungati con piccole creste variamente orientate) a quella caratteristica dei mitocondri “bruni” (voluminosi e ricchi di creste laminari). Infine, alcune di queste cellule con morfologia intermedia, ma molto più simile a quella degli adipociti bianchi che non a quella degli adipociti bruni, evidenziano la comparsa della proteina mitocondriale UCP1, che è il marker molecolare dell’adipocita bruno poiché espresso unicamente in questo tipo di cellula.

Dati del laboratorio di Christian Wolfrum hanno confermato con moderne tecniche di genetica molecolare (lineage tracing) i nostri risultati [6].

Tutto ciò offre una risposta alla domanda sulla cooperazione tra il tessuto adiposo bianco e bruno. Infatti, si può pensare che in condizioni di particolare stimolo cronico al freddo la parte bianca dell’organo si converta in bruna per incrementare la termogenesi. D’altra parte, la cronica positivizzazione del bilancio energetico impone un incremento delle capacità d’immagazzinamento dei lipidi e la conversione del bruno in bianco contribuisce a soddisfare questa esigenza.

In sintesi, la cooperazione consisterebbe proprio nella particolare plasticità delle cellule adipose che sarebbero capaci, in particolari situazioni fisiologiche, di convertirsi reciprocamente per distribuire l’energia intrinseca dei lipidi verso la termogenesi o verso la riserva metabolica.

Questi dati offrono due fondamentali momenti di riflessione: 1) il fenomeno del browning, data la capacità del tessuto adiposo bruno di disperdere l’energia, potrebbe essere sfruttato per trattare importanti malattie come l’obesità, il diabete e le malattie cardiovascolari; e 2) le cellule mature hanno la possibilità di riprogrammare fisiologicamente e reversibilmente il loro genoma per cambiare fenotipo e, quindi, funzione.

Il browning dell’organo adiposo come terapia dell’obesità, del diabete e delle malattie cardiovascolari

Se eliminiamo con manipolazione genetica il tessuto adiposo bruno, dopo poche settimane i topi, pur mangiando e muovendosi come i controlli, diventano massivamente obesi e sviluppano in diabete di tipo 2 (T2) [7]. D’altra parte, la somministrazione a cavie murine obese di farmaci beta3 adrenergici o l’espianto di grasso bruno riduce obesità e cura il diabete T2. Inoltre, è stato dimostrato che l’attivazione del grasso bruno migliora il metabolismo lipidico e favorisce la prevenzione dell’aterosclerosi [8]. Non stupisce, quindi, anche il riscontro di un allungamento della vita in topi geneticamente manipolati che presentavano un’attivazione del grasso bruno.

Negli ultimi anni, non solo si è confermato che il grasso bruno è presente anche nell’organo adiposo umano, ma anche che il fenomeno della conversione bianco-bruna è presente anche nell’uomo e che il browning ha proprietà salutari simili a quelle sopradescritte anche nell’uomo. Tutto ciò fa sperare che si possano individuare farmaci in grado di mimare l’esposizione al freddo senza dare le spiacevoli sensazioni negative che esso induce e senza promuovere o facilitare le tipiche patologie infettive da freddo.

La fisiologia della ghiandola mammaria conferma la plasticità dell’organo adiposo

La seconda riflessione che deriva dai nostri studi riguarda una nuova proprietà fondamentale delle cellule finora ignota: la conversione (o transdifferenziazione) fisiologica e reversibile della cellula matura. Sinora abbiamo imparato che le cellule mature possono cambiare il loro fenotipo passando attraverso il fenomeno della dedifferenziazione. Il linfocita, ad esempio, può trasformarsi in plasmacellula dopo essere dedifferenziato in linfoblasto. Il passaggio attraverso uno stadio staminale sembrava essenziale per la riprogrammazione genetica della cellula matura ma i dati sperimentali sopra riportati suggerivano che una cellula matura con il fenotipo dell’adipocita bianco, sottoposta a stimolo fisiologico, poteva gradualmente, e senza assumere aspetti blastici, convertirsi in altro fenotipo funzionalmente assai diverso.

Per confermare questa nuova proprietà cellulare abbiamo cercato altri esempi e abbiamo trovato conferma in un’altra condizione fisiologica che modifica la morfologia e funzione dell’organo adiposo nelle femmine: la gravidanza. In questa condizione si sviluppa la ghiandola mammaria formando le strutture necessarie alla produzione del latte (alveoli). Al termine della gravidanza gli alveoli spariscono ripristinando l’anatomia pre-gravidica della mammella: grasso sottocutaneo infiltrato da dotti ramificati che si raccolgono in un unico capezzolo. Durante lo sviluppo degli alveoli le cellule adipose scompaiono così come durante l’involuzione, quando scompaiono gli alveoli, le cellule adipose riappaiono. Noi abbiamo ipotizzato che la scomparsa durante lo sviluppo ghiandolare sia dovuta alla conversione degli adipociti in cellule ghiandolari degli alveoli, così come durante l’involuzione le cellule ghiandolari si trasformano tornando a essere cellule adipose. Se ciò fosse vero, avremmo trovato un nuovo esempio di transdifferenziazione fisiologica e reversibile sempre nell’organo adiposo. Naturalmente l’ipotesi era basata su dati prevalentemente morfologici e immunoistochimici che evidenziavano la presenza di aspetti intermedi adipo-epiteliali in gravidanza ed epitelio-adiposi nelle fasi d’involuzione e di proteine tipiche delle cellule adipose e mai espresse nelle cellule ghiandolari (perilipina1) in elementi con caratteristiche intermedie adipo-epiteliali e di proteine tipiche delle cellule ghiandolari (whey acidic protein, WAP) mai espresse nelle cellule adipose in cellule con fenotipo intermedio epitelio-adiposo nelle fasi involutive. Inoltre, cellule con caratteristiche intermedie adipo-epiteliali in gravidanza potevano esprimere il fattore di trascrizione tipico dell’alveologenesi nel loro nucleo. Particolarmente importante il fatto che le ghiandole neoformate in gravidanza sono formate da cellule con un aspetto molto simile a quello degli adipociti e, poiché hanno voluminosi vacuoli lipidici citoplasmatici, le abbiamo denominate adipociti rosa dal colore dell’organo adiposo in quella particolare condizione funzionale (Fig. 3) [9].

Fig. 3
figure 3

Istologia di ghiandola mammaria di topo in avanzato stato gravidico (18° giorno). Accanto agli adipociti bianchi sono presenti strutture ghiandolari neo-formate. Si noti l’abbondante lipide citoplasmatico dell’epitelio ghiandolare che giustifica la denominazione di queste cellule come adipociti rosa (asterisco, alcune indicate). Bar: 15 micron

Per confermare l’ipotesi abbiamo usato la tecnica del lineage tracing usando topi aP2-Cre/LoxP-LacZ per la transdifferenziazione adipo-epiteliale (aP2 gene espresso negli adipociti e non nelle cellule ghiandolari) e topi WAP-Cre/LoxP-Lac-Z per la transdifferenziazione epitelio-ghiandolare (WAP gene espresso unicamente nelle cellule ghiandolari che esprimono il latte). Quando questi animali esprimono il gene specifico (aP2 o WAP), la cellula esprime anche il gene LacZ che produce beta-galattosidasi. Quindi, la beta galattosidasi marcherà solo ed esclusivamente le cellule che hanno espresso il gene specifico e se andranno incontro a conversione anche il nuovo fenotipo sarà marcato. I dati hanno evidenziato la marcatura specifica nelle cellule epiteliali in gravidanza e nelle cellule adipose in involuzione, dimostrando la fisiologica e reversibile transdifferenziazione adipo-epiteliale. Inoltre, i dati sono stati ulteriormente corroborati da esperimenti di trapianto di tessuto adiposo puro marcato che in gravidanza dava luogo a ghiandole marcate [9].

In sintesi, quindi, i nostri dati sperimentali confermano la grande capacità plastica delle cellule adipose che sono in grado di andare incontro a trasformazioni fenotipiche e funzionali a seguito di stimoli fisiologici e in modo reversibile per rispondere a diverse esigenze funzionali dell’organismo.

Organo adiposo obeso

L’organo adiposo murino e umano dei soggetti obesi è infiltrato da cellule infiammatorie prevalentemente costituite da macrofagi [10, 11]. L’infiammazione cronica di basso grado è dovuta al fatto che le cellule adipose ipertrofiche sono stressate e mostrano una serie di alterazioni organulari che inducono l’espressione dell’inflammosoma NLRP3. Quest’ultimo attiva la caspasi1 che è, a sua volta, responsabile dell’attivazione delle interluchine IL-18 e IL-1beta che inducono alla morte l’adipocita per piroptosi. Il grado d’infiltrazione correla con la dimensione degli adipociti ma gli adipociti viscerali muoiono a dimensioni inferiori a quelle degli adipociti del sottocutaneo. Questo offre una spiegazione alla maggiore morbigenicità del grasso viscerale, verosimilmente perché esso deriva in gran parte per conversione bruno-bianca [12].

Le cellule ipertrofiche morte formano voluminosi residui che devono essere riassorbiti come dei corpi estranei e i macrofagi, proprio come quando devono eliminare corpi estranei formano cellule giganti multinucleate e circondano i residui cellulari formando caratteristiche strutture che abbiamo denominato crown-like structures (CLS) (Fig. 4). Per il loro riassorbimento sono necessari tempi lunghi e diverse sostanze prodotte dai macrofagi durante il loro lavoro (TNFa, Resistina, miRNA specifici, ecc.) interferiscono con l’attività del recettore insulinico offrendo una spiegazione al fatto che la comparsa dell’infiammazione del tessuto adiposo coincide con la comparsa dell’insulino-resistenza che, alla fine, porta al diabete T2. Da notare che dati sperimentali sui topi obesi e sull’uomo indicano un progressivo aumento delle fibre noradrenergiche nelle isole di Langerhans [14], che sarebbero le vere responsabili della riduzione dell’insulinemia con comparsa del diabete T2, sfatando l’idea di un esaurimento funzionale delle isole stesse e offrendo una spiegazione alla possibilità di rapida guarigione post-bariatrica.

Fig. 4
figure 4

Istologia del tessuto adiposo bianco di topi obesi. \(\mathbf{a}\) elementi infiammatori circondano residui di adipocita morto formando una CLS (asterisco); \(\mathbf{b}\) l’immunoistochimica per la proteina perilipina1 dimostra la sua immunoreattività negli adipociti ipertrofici, ma non nella CLS (asterisco). Gli elementi infiammatori che formano CLS (asterischi) immunoreattivi per i markers di macrofagi in attiva fase di fagocitosi: Perilipina2 (ADRP) in (\(\mathbf{c}\)) e per il MAC2 in (\(\mathbf{d}\)). Bar: \(\mathbf{a}\), 15 micron; bd, 25 micron. Da [13] (con permesso)

Il sistema nutrizionale

Gli organi del nostro organismo collaborano tra loro per funzioni complesse e si organizzano in sistemi. L’organo adiposo collabora principalmente con quelli della digestione. Entrambi producono ormoni che influenzano il cervello riguardo alla nutrizione: l’organo adiposo con leptina e asprosina (vedi sopra), gli organi della digestione con insulina, ghrelina e NPYY3–36 (modulatori dell’appetito).

Entrambi producono molecole che influenzano reciprocamente le loro attività: FGF21 e asprosina prodotte dall’organo adiposo influenzano l’ossidazione del glucosio e la glucogenesi epatica; i sali biliari, la secretina e il microbiota intestinale influenzano la termogenesi dell’organo adiposo che, a sua volta, influenza l’interruzione dell’assunzione del cibo, specie nei neonati. Anche gli organi della digestione producono termogenesi post-prandiale allo stesso scopo.

L’intestino assorbe i nutrienti che sono poi distribuiti dall’organo adiposo all’organismo tra un pasto e l’altro. Inoltre, l’organo adiposo, trasformandosi in ghiandola mammaria, nutre anche la prole.

In sintesi, quindi, si può affermare che, oltre ai diversi sistemi che consentono attività funzionali complesse come il sistema nervoso, endocrino, immunitario, uro-genitale, cardiovascolare e respiratorio, ora si può parlare anche di un vero e proprio sistema nutrizionale (Fig. 5).

Fig. 5
figure 5

Schema che illustra il concetto di sistema nutrizionale