Commento a:

Paradoxical and atypical responses to pasireotide in aggressive ACTH-secreting pituitary tumors.

Y. Greenman, N. Stern.

Pituitary (2016) 19(6):605–611

La terapia medica della malattia di Cushing ha fatto registrare notevoli progressi negli ultimi anni, con l’approvazione del pasireotide, un analogo a largo spettro della somatostatina e primo farmaco mirato all’adenoma ipofisario secernente ACTH nel 2012 e, in seguito, del chetoconazolo e del metopirone, farmaci ad azione surrenalica, per il trattamento di questa condizione. Attualmente si dispone di un discreto ventaglio di farmaci, quindi la scelta del farmaco più opportuno dipende da diversi fattori, tra cui le caratteristiche cliniche del paziente.

Dagli studi sull’impiego del pasireotide nella malattia di Cushing, ad iniziare dalla prima pubblicazione sul New England Journal of Medicine [1] e a seguire con case report e piccole casistiche, emerge che il pasireotide è efficace nel 30% dei pazienti circa nel ridurre i livelli di cortisolo e contenere i sintomi dovuti all’ipercortisolismo; in alcuni pazienti, il controllo di malattia perdura anche per anni. Va notato che i pazienti riportati nei diversi lavori sono per lo più microadenomi ipofisari, per esempio nello studio registrativo [1] viene riportato che l’adenoma è visibile nella metà dei casi e presenta volume medio di 0,2 cm3.

L’articolo di Greenman e Stern descrive l’esito della somministrazione di pasireotide in 3 pazienti con macroadenomi ipofisari secernenti ACTH con spiccate caratteristiche di invasività locale, per esempio estensione sovrasellare, invasione del seno cavernoso. Questi pazienti sono giunti al pasireotide dopo diversi tentativi terapeutici come chirurgia, terapia radiante, surrenectomia bilaterale, somministrazione di chetoconazolo, metopirone o temozolomide. Il pasireotide è stato somministrato per 1–2 mesi al dosaggio abituale (600–900 μg × 2/die) e un paziente ha presentato un aumento paradossale del cortisolo libero urinario sin dalle prime somministrazioni del farmaco (da 700 a 12000 nmol/24 h). Negli altri due, dopo una discesa transitoria della cortisoluria e dell’ACTH nel paziente surrenectomizzato, le concentrazioni ormonali sono risalite a livelli superiori a quelli registrati prima della terapia con pasireotide. In nessuno è stata osservata una riduzione della lesione. Gli autori fanno anche una recensione dei pochi macroadenomi trattati con pasireotide, 8 in tutto, da cui si evince che il pasireotide ha contenuto l’ipersecrezione ormonale e ridotto le dimensioni del tumore in una quota di pazienti. Tra questi, anche una paziente con sindrome di Nelson trattata con pasireotide LAR per quasi 2 anni [2].

In conclusione, se da un lato la somministrazione di pasireotide può rivelarsi utile anche nei pazienti con malattia di Cushing da macroadenomi ipofisari, questo studio segnala la possibilità di risposte paradosse al farmaco in pazienti con adenomi aggressivi e raccomanda particolare cautela nel suo impiego.