La filosofia classica tedesca, particolarmente l’opera di Schelling (come in misura non minore anche quella di Hegel) aprì un nuovo capitolo nella storia della ricezione di Dante. Come ultimamente Massimo Caccari ha accennato, è «impossibile trovare un precedente scritto su Dante che possa reggere il confronto con il saggio schellinghiano, intitolato Über Dante in philosophischer Beziehung». Cacciari ha aggiunto anche che «la grandezza di Dante, il suo significato universale per l’intera civiltà europea, è una ‘scoperta’ dell’idealismo classico (e in parte del romantico)» (Cacciari, 2017). Le letture dantesche dei filosofi sono naturalmente inseparabili da quel movimento più ampio, diffuso più o meno in tutta l’Europa, all’avanguardia del quale erano i poeti e letterati romantici del primo ottocento, come August von Schlegel, che tradusse numerosi canti della Commedia, o Byron che tradusse l’episodio di Francesca.

Tra i traduttori di quell’epoca che cercavano di soddisfare, oltre alla fedeltà letterale nel rendere il contenuto, esigenze artistiche, è soprattutto Schelling che non può essere tralasciato. Nel 1794, in un momento in cui esisteva in lingua tedesca solo la traduzione prosastica di Lebrecht Bachenschwanz dal 1769, egli tradusse in forma poetica molti canti dell’Inferno e del Paradiso. L’eccellente conoscenza del testo, dovuta all’esperienza del tradurre, contribuiva certamente al fatto che Schelling fosse in grado di formulare questioni essenziali a proposito della Commedia.

I suoi scritti giovanili sulla filosofia dell’arte, prodotti nei primi anni dell’Ottocento, sono permeati dai pensieri su Dante. Ma è pure in questi anni che nacque il suo saggio dedicato espressamente al poeta, lo scritto che ho già menzionato, citando le parole di apprezzamento di Massimo Cacciari. Esso fu pubblicato nel 1803, nell’ultimo numero della rivista “Kritisches Journal der Philosophie”, fondata da lui e Hegel. Per giustificare che abbia dedicato uno studio interamente a Dante, facendone l’oggetto di un esame a parte, Schelling formulò una tesi straordinaria, secondo cui la Commedia esige una sua propria teoria, applicabile unicamente ad essa. Cioè, la Commedia ha bisogno di una teoria che non si è formata per mezzo dell’astrazione dai singoli casi individuali, perché essa è la produzione di un genere del tutto autonomo, un mondo a parte «[...] steht die göttliche Komödie so ganz abgeschlossen, daß die von einzelneren Formen abstrahirte Theorie für sie ganz unzureichend ist, und sie als eine eigne Welt auch ihre eigne Theorie fordert» (Schelling, 1971, p. 1189).Footnote 1

Quindi, a colpo d’occhio, si vede che Schelling afferra la peculiarità del poema, o piuttosto, la sua unicità totale che trasgredisce i criteri letterari, nei termini della teoria dei generi letterari, o più precisamente, nell’impossibilità di caratterizzarlo in tali termini. La Commedia, come egli dice, non può essere inquadrata in nessuna delle categorie; infatti non è epopea, non è poema didascalico, non è romanzo, e non è neppure commedia o dramma. Questo ragionamento lo ha condotto a decidere di “costruire” la Commedia come un genere a parte.

La questione dei generi letterari in generale, e particolarmente nel caso specifico della Commedia, è molto importante, ma in questa sede porre tale questione serve naturalmente a formulare altre questioni ancora più importanti. Cent’anni dopo Schelling, Lukács ha definito la Commedia come transizione storico-filosofica dall’epopea al romanzo. La definizione secondo cui la transizione possieda il carattere “storico-filosofico” sta a significare che l’opera di Dante rappresenta non semplicemente la transizione da uno dei fondamentali generi letterari a un altro, ma da una grande epoca della storia mondiale a un’altra grande epoca storica. Vale a dire, essa serve da ponte tra il mondo antico-medievale e la modernità. Ė precisamente questa prospettiva storico-mondiale che si delinea già nell’analisi schellinghiana.

La lettura schellinghiana della Divina Commedia può essere considerata una svolta nella storia della ricezione di Dante perché in questo caso vediamo che una delle maggiori figure della filosofia moderna incorpora nel proprio sistema filosofico l’interpretazione della Commedia come parte integrante. Questo sistema è un sistema di filosofia dell’arte in cui l’arte è la forma superiore dello spirito (come invece nel sistema hegeliano è la filosofia che sta al vertice della gerarchia delle forme dello spirito assoluto). In questo contesto la manifestazione esemplare della forma superiore dello spirito è la Commedia che non è “qualche poesia mista”, ma è la poesia di tutte le poesie, la poesia stessa.

Questo è dovuto al fatto che tra le due grandi epoche della storia mondiale che dobbiamo distinguere, la prima, cioè il mondo antico, era il mondo dei generi, la seconda, invece, cioè il mondo moderno, è il mondo degli individui. (“Denn wie die alte Welt allgemein die Welt der Gattungen, so ist die moderne die der Individuen” (Schelling, 1971, p. 1190). La Commedia è l’espressione di quest’ultimo, e il suo autore è «il creatore dell’arte moderna» (der Schöpfer der modernen Kunst, Schelling, 1971, p. 1190).

Con tutto ciò, la Commedia non è il prodotto di un’unica epoca storica o di uno stadio particolare della cultura. («Dante's Gedicht ist also, von allen Seiten betrachtet, kein einzelnes Werk eines besondern Zeitalters, einer besondern Stufe der Bildung, sondern urbildlich durch die Allgemeingültigkeit, die es mit der absolutesten Individualität vereinigt.») Essa è un archetipo, cioè, con le parole di Schelling, ha il carattere di un antico prototipo, ha validità universale, e come forma, è la forma generale della contemplazione dell’universo. La sua essenza epocale si manifesta soprattutto nell’aver creato una mitologia, da una parte, nel senso che ha trasformato gli elementi provenienti dalla realtà della sua epoca in base mitologica di sé (come per esempio la figura di Ugolino), e dall’altra parte, nel senso che ha investito di valenza mitologica anche le figure che compaiono in essa, e erano inventate dall’autore (come per esempio Ulisse).

Da terminus a quo di tale valutazione si pone una delle tesi principali del sistema della filosofia dell’arte di Schelling secondo cui ogni grande arte è mitologica, trae origini dalla mitologia e produce mitologia.

Ė difficile seguire Schelling su questa strada. In ogni caso, ricordiamo che per mitologia egli intende nient’altro di più di ciò che di solito si intende per mitologia. Ai suoi occhi la mitologia comprende tutte le grandi componenti della cultura, come la scienza, la religione, anzi anche l’arte, ed essendo superiore alla coscienza degli individui, funziona come funziona la lingua (come credono, seguendo Lévi-Strauss, i maestri dell’antropologia moderna). Interpretando liberamente, si potrebbe dire che la mitologia è il sistema generale delle credenze, e abbraccia le sfere principali della vita. Anche se per la stessa cosa oggi ovviamente useremmo altri termini, alla Commedia si adatta benissimo che essa rispecchi ed esprima il sistema generale delle idee e opinioni dell’epoca, a partire dalle credenze quotidiane ai livelli più alti dello spirito come la filosofia e la teologia, la cosmologia e l’astronomia.

La generazione di Schelling, già nel momento dell’apparizione della prima parte del Faust, ha scoperto la parentela dell’opera di Dante con quella di Goethe, una parentela che (utilizzando un termine della storia della letteratura posteriore) consiste nel fatto che entrambe sono “poesie d’umanità”. Schelling vede la parentela tra la Commedia e tra «l’unica poesia tedesca di concezione universale» (das einzige deutsche Gedicht von universeller Anlage, Schelling, 1971, 1192), nel loro rapporto con la mitologia, dicendo che anche in Goethe le aspirazioni più estreme dell’epoca si collegano in un unico insieme per mezzo della mitologia (anche se una mitologia parziale che si concentra soprattutto nella figura di Faust).

Schelling ha formulato, e ha risolto con grande lucidità, due questioni che ultimamente si presentano in modo meno acuto, pur rimanendo sempre nel centro delle ricerche su Dante. La prima riguarda l’allegoria, la seconda si riferisce alla relazione tra gli elementi poetici e concettuali.

Dopo Goethe l’allegoria e l’allegorismo furono considerati per molto tempo negativamente e questo incideva anche sul problema di come giudicare e interpretare la Commedia. Il carattere allegorico del poema dantesco era un difficile problema anche per pensatori come Croce e Lukács. Il primo ha proposto di escludere o mettere fra parentesi gli elementi allegorici, considerando degni della nostra attenzione solo gli episodi poetici che rappresentano il dramma dei personaggi individuali; il secondo invece ha cercato di spiegare, con argomenti qualche volta pretenziosi, perché le allegorie dantesche riescano, nonostante tutto, a soddisfare i requisiti della poeticità più alta.

Sembra che, prima di loro e prima della maggioranza dei dantisti più tardi, Schelling avesse già offerto una specie di soluzione. Secondo lui la Commedia non è un poema allegorico, non lo è almeno nel senso della parola che i personaggi in essa significhino solo e meramente qualcos’altro, e non esistano indipendentemente dal loro significato («Das Gedicht des Dante ist nicht allegorisch in dem Sinn, daß die Gestalten desselben etwas anders nur bedeuteten, ohne unabhängig von der Bedeutung und an sich selbst zu seyn», Schelling, 1971, p. 1192). Ma visto che questi personaggi, pur avendo una esistenza autonoma e reale, non sono neppure indipendenti dal significato che si attribuisce loro (come nemmeno Beatrice è indipendente dal significato di essere la personificazione della teologia), «la Commedia è una specie di medio pienamente peculiare tra l’allegoria e la rappresentazione simbolico-oggettiva». (Es ist also in seinem Gedicht ein ganz eigenthümliches Mittel zwischen Allegorie und zwischen symbolisch-objektiver Gestaltung, Schelling, 1971, p. 1192.) In altre parole, essa è allegorica e storica. Credo che considerando ulteriormente questa formula, si può trovare una buona soluzione: una veramente buona soluzione che in realtà emergerà più tardi in numerose versioni nella critica dantesca.

Ciò che invece concerne il problema della relazione tra la forma poetica e il contenuto filosofico-concettuale della Commedia, agli occhi di Schelling non sembrava un problema grave, poiché già dalle sue tesi fondamentali si trae una soluzione. Le sue riflessioni sui generi letterari escludono fin da principio che la Commedia sia un poema didascalico, cioè una dottrina versificata in cui la filosofia e la teologia si collegano ai versi in modo esteriore. Credeva infatti che esistessero casi in cui il pensiero sia di per sé poetico, o come egli stesso dice, «il sapere come immagine dell’universo, in armonia più completa con l’universo che è la poesia più antica e più bella, è già poetico in se stesso» (Dieß ist aber nur denkbar, wenn das Wissen als Bild des Universums und in der vollkommenen Eintracht mit demselben, als der ursprünglichsten und schönsten Poesie, an und für sich selbst schon poetisch ist, Schelling, 1971/b, 1194). Facciamo a meno degli elementi problematici derivanti dalla filosofia stessa di Schelling e manteniamo l’affermazione fondamentale che enuncia la possibilità della poeticità del pensiero. La Commedia sarebbe precisamente l’illustrazione di questa affermazione. Infatti, come Schelling aggiunge, «scienza e poesia si compenetrano altamente nella Commedia, e per questo essa deve corrispondere nella sua forma [...] al tipo generale della visione del mondo». (Dante's Gedicht ist eine viel höhere Durchdringung der Wissenschaft und der Poesie, und um so viel mehr muß seine Form, auch in der freyeren Selbständigkeit, dem allgemeinen Typus der Weltanschauung angemessen seyn, Schelling, 1971, p. 1194).

Fra l’altro è appunto per questa tesi che Lajos Fülep, il noto italianista ungherese, lettore entusiasta di Schelling, seguace del filosofo tedesco nel campo delle esegesi di Dante, definirà il suo saggio dantesco il capolavoro insormontabile della critica dantesca. Nel suo libro su Dante, scritto tra il 1908 e il 1916, Fülep riformula la tesi di Schelling e la sua valutazione della Commedia nel modo seguente: «La Commedia è l’esempio più splendido di quelle opere d’arte nelle quali l’elemento concettuale e l’esperienza immediata si fondono in un’unità organica; a stento si trova un’altra poesia in cui concetti così astratti siano in contatto con esperienze così immediate» (Fülep, 1974, p. 311).

A questo punto si presenta necessariamente un problema che non era percepibile nel sistema schellinghiano, un problema che nemmeno Fülep, seguace di Schelling, ha avvertito.

Il problema scaturisce dal semplice fatto che identificare il pensiero concettuale e la poesia equivale a unire elementi che sono realmente eterogenei. Il concetto appartiene all’intervallo di valori della verità, mentre la poesia fa parte dell’intervallo di valori della bellezza. Il primo è una categoria logica, il secondo è una categoria estetica. Dunque, se la scienza e la poesia si compenetrano, o l’elemento concettuale e l’esperienza immediata si confondono in un’unità organica, allora entrambi i momenti, scienza e poesia, sono sottomessi al passare del tempo nella stessa misura. La scienza e un dato mondo di pensieri perdono il loro contenuto di verità, e con l’evoluzione delle conoscenze s’invecchiano, mentre invece, in rapporto a questo, la forza poetica sembra indefettibile. Si vede appunto questo nel caso della Commedia che per le sue caratteristiche estetiche affascina ancora oggi i lettori, mentre il suo sostanzioso contenuto scientifico è ormai completamente sorpassato. Ma se il materiale intellettuale che l’opera contiene è poetico in sé, allora come è possibile che l’opera non si è invecchiata per intero?

Sembra che questo dilemma l’avesse superato, con un balzo, Lukács, anche perché egli aveva chiaramente individuato il problema. Similmente a Schelling e a Fülep, egli parla pure della poeticità del pensiero, costatando nello stesso tempo il fatto fondamentale che il pensiero umano nel corso del suo sviluppo aveva superato il mondo di pensieri di Dante, ma non aveva preso il sopravvento sulla forza poetica del mondo di pensieri di Dante in quanto emanazione della forza poetica del pensiero umano (Lukács, 1969 II, p. 154).

Questa enunciazione ha tre presupposti evidenti: (a) Il pensiero umano nel corso dello sviluppo supera necessariamente un dato mondo di pensieri, e i pensieri s’invecchiano. I pensieri di Dante (la sua visione del mondo, la sua cosmologia, la sua concezione della storia e le sue idee scientifiche, etc.) sono superati; (b) Così, il suo poema, in conseguenza dei pensieri esposti in esso, dev’essere considerato superato. Ma è un fatto che non è superato; (c) Questo si deve a un attributo del pensiero umano che è la proprietà del pensiero umano in quanto tale, e non è altro che la forza poetica che indipendentemente dall’oggetto e dalla verità del pensiero non è soggetta alla legge dello sviluppo e resiste allo scorrere del tempo.

Questo equivale a dire che lo sviluppo storico rende inattuale ogni contenuto concettuale, legato a una data epoca, mentre quello che è imperituro, lo è perché non è soggetto al tempo e non è storico.

Per terminare, torniamo brevemente a Schelling stesso che in un luogo interessante propone l’idea che ogni grande epoca può avere la propria Divina Commedia. Questo potrebbe proiettare nuova luce sulle dichiarazioni relative alla singolarità della Commedia, come per esempio sulla dichiarazione che la Commedia sia il modello di tutta la poesia moderna. Forse Schelling voleva dire che tutte le epoche particolari che corrispondono a un grado particolare dell’evoluzione storica, hanno o possono avere la loro opera d’arte rappresentativa, com’è, appunto, la Divina Commedia.

Se egli dice veramente questo, dobbiamo chiedere quale fosse per lui l’opera rappresentativa della sua propria, indubbiamente straordinaria, epoca. Presumibilmente il Faust. E quale opera può essere considerata come l’opera rappresentativa della nostra epoca, quella che ne esprime i tratti fondamentali?

Questa, però, naturalmente, è una questione retorica.