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Garanzia per i vizi della cosa e responsabilità contrattuale

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Kaufen nach Römischem Recht

Estratto

Nel diritto romano era conosciuta una responsabilità del venditore per i vitia rei emptae in base ad azioni specifiche, l’actio redhibitoria e l’actio quanti minoris.

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Riferimento

  1. Nell’editto, i magistrati si rivolgevano immediatamente a „qui mancipia vendunt“ (D. 21,1,1,1) o a „qui iumenta vendunt“ (D. 21,1,38 pr.), onde piuttosto che mera autoregolamentazione della propria iurisdictio esso rappresentava anche un insieme di precetti per i destinatari. Sulla caratteristica formulazione delle clausole edittali edilizie e sull’uso in esse della forma imperativa, v. spec. M. Kaser, Zum Ediktsstil, in: FS Schulz II, Weimar 1951, 31 ss. (= Ausgewählte Schriften I, Napoli 1976, 219 ss.); A. Watson, The Imperatives of the Aedilician Edict, TR 39 (1971) 73 ss.

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  2. Cfr. D. 21,1,1,2, su cui infra nt. 16. Si v., inoltre, D. 21,1,37, D. 21,1,38,2 e, quanto alle fonti letterarie, l’interessante accenno di Cicerone in off. 3,17,71.

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  3. Per l’actio quanti minoris si può richiamare la circostanza che in alcuni passi del Digesto si prevede un totale rimborso del pretium, di tal guisa che l’azione realizzava un effetto analogo, quanto alle conseguenze pratiche, a quello dell’azione redibitoria: D. 44,2,25,2 (Iul. 51 dig.) e D. 21,1,43,6 (Paul. 1 ed. aed. cur.). È possibile che i testi riguardino ipotesi di riduzione del corrispettivo tali da portare a un suo totale azzeramento e perciò da non lasciare sopravvivere il rapporto. La conformità al diritto classico di questi frammenti è stata messa in dubbio in dottrina, sebbene per la verità soprattutto nella letteratura del passato: cfr. B. Biondi, Studi sulle actiones arbitrariae e l’arbitrium iudicis, Palermo 1913, 142 s.; R. Monier, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, Paris 1930, 177 ss. A favore della sua sostanziale autenticità si sono espressi, invece: G. Impallomeni, L’editto degli edili curuli, Padova 1955, 204 s., 221; V. Arangio-Ruiz, La compravendita in diritto romano II, Napoli 1954, 388 nt. 1, che collega queste decisioni con l’eventualità di un comportamento satisfattorio delle pretese dell’attore per iniziativa della stessa controparte. Altri pensano in genere alla possibilità che il iudex nel processo in base all’actio aestimatoria condannasse il convenuto al rimborso del prezzo nella sua totalità, ma solo a fronte della restituzione della cosa da parte dell’emptor stesso: cosÌ H. Honsell, Quod interest im bonae-fideiiudicium. Studien zum römischen Schadensersatzrecht, München 1969, 77; P. Apathy, Wandlung bei geringfügigen Mängeln?, in: Ars boni et aequi. FS Waldstein, hg. M. J. Schermaier/Z. Végh, Stuttgart 1993, 23 s.; É. Jakab, Praedicere und cavere beim Marktkauf, München 1997, 179 s.

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  4. La possibilità di riassumere le disposizioni dell’edictum aedilium curulium nel ius honorarium è riconosciuta nella dottrina più autorevole. Cfr. A. Guarino, L’editto edilizio e il diritto romano, Labeo 1 (1955) 295 ss. (= PDR. IV, Napoli 1994, 272 ss.); Id., Ancora sull’editto edilizio, Labeo 2 (1956) 352 ss. (= PDR. IV cit. 267 ss.); M. Kaser, Ius honorarium und ius civile, SZ 101 (1984) 68 nt. 318; M. Talamanca, s.v. „Processo (dir. rom.)“, in: ED XXXVI, Milano 1987, 51 nt. 363. A contestarlo fu, in passato, soprattutto E. Volterra, Intorno all’editto degli edili curuli, in: Scritti Borsi, Padova 1955, 3 ss. (= Scritti giuridici IV, Napoli 1993, 467 ss.); Id., Ancora sull’editto degli edili curuli, Iura 7 (1956) 141 ss. (= Scritti giuridici IV cit. 501 ss.).

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  5. Sul tema v. adesso L. Solidoro Maruotti, „...Si vero sciens reticuit et emptorem decepit...“ (D. 19.1.13 pr.): vizi di fatto, vizi di diritto e reticenza del venditore, in: Fides humanitas ius. Studii Labruna VIII, Napoli 2007 5269 ss.; E ad., „Aliud est celare, aliud tacere“ (Cic., de off. 3.12.52), proiezioni attuali di un antico dibattito sulla reticenza del venditore, AG 227 (2007) 187 ss.; Ead., Gli obblighi di informazione a carico del venditore, Napoli 2007, spec. 39 ss.

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  6. Sull’origine dell’actio redhibitoria in connessione con le auctiones private e sulla diversa introduzione dell’actio quanti minoris in età tardorepubblicana nell’ambito dell’emptio venditio consensuale e obbligatoria cfr. N. Donadio, Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’emptio venditio. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, in: La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano II, a cura di L. Garofalo, Padova 2007, 455 ss. con letteratura.

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  7. Per la discussione circa il fondamento della iurisdictio edilizia e il rapporto tra questa e il potere di sorveglianza sui mercati dell’Urbe con relativa coercitio si v. in part.: Impallomeni, L’editto degli edili curuli cit. 109 ss.; M. Kaser, Die Jurisdiktion der kurulischen Ädilen, in: Mél. P. Meylan I, Lausanne 1963, 173 ss. (= Ausgewählte Schriften II, Napoli 1976, 479 ss.); Id., Das römische Privatrecht2 I, München 1971, 558; G. Pugliese, Il processo civile romano II.1, Milano 1963, 143; F. Wieacker, Römische Rechtsgeschichte I, München 1988, 479; W. Kunkel, Staatsordnung und Staatspraxis der römischen Republik II. Die Magistratur, München 1995, 478 nt. 19; F. Serrao, Impresa, mercato, diritto. Riflessioni minime, in: Mercati permanenti e mercati periodici nel mondo romano. Atti degli incontri capresi di storia dell’economia antica (Capri 13–15 ottobre 1997), a cura di E. Lo Cascio, Bari 2000, 37 ss. [= Sem. Compl. XII (2000) 302 ss.]. Sulla funzione di sorveglianza nei mercati e sulla connessa coercitio edilizia cfr., di recente, Jakab, Praedicere und cavere cit. 116 ss.; M. Kuriłowicz, Zur Marktpolizei der römischen Ädilen, in: Au-delà des frontières. Mél. Wołodkiewicz I, Varsovie 2000, 439 ss.

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  8. Sul punto v. infra nel testo.

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  9. Per la condanna nell’azione redibitoria cfr. D. 21,1,29,2: Condemnatio autem fit, quanti ea res erit: ergo excedet pretium an non, videamus. et quidem continet condemnatio pretium accessionesque. an et usuras pretii consequatur, quasi quod sua intersit debeat accipere, maxime cum fructus quoque ipse restituat? et placet consecuturum. Nella prima parte del frammento è espresso il principio che la condanna, al simplum, corrisponde alla restituzione del prezzo con gli accessori. Si v. anche D. 21,1,31 pr. Cfr. O. Lenel, Das Edictum Perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung3, Leipzig 1927, 556 [d’ora in poi EP3.]. In ordine al contenuto del restituere che avrebbe potuto essere chiesto al reus in sede di arbitrium iudicis, è interessante anche il frammento D. 21,1,25,9. Il comportamento richiesto al convenuto per evitare la condanna corrisponde sostanzialmente al rimborso di quanto dato in adempimento della prestazione principale a carico del compratore, discendente dall’emptio venditio, insieme con i relativi accessori, o alla liberazione dal relativo obbligo; e, dunque, sotto questo profilo coincide con il contenuto della condanna. Sul problema della definizione della condemnatio nell’actio redhibitoria vi è un ampio dibattito in dottrina, alimentato soprattutto dall’affermazione che si legge in D. 21,1,45 (Gai. 1 ed. aed. cur.) e che sembra attestare la possibilità che il venditore fosse condannato in base all’azione edilizia al duplum (in riferimento al valore del prezzo di vendita con i relativi accessori). Sul tema per i contributi più recenti si v.: L. Garofalo, Studi sull’azione redibitoria, Padova 2000, spec. 1 ss.; N. Donadio, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, Milano 2004, 294 ss., spec. 308 ss., ivi altra letteratura; Ead., Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni cit. 505 nt. 84; L. Manna, L’interdipendenza delle obbligazioni nella vendita e la redibizione volontaria, in: La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni II cit. 556 nt. 34, la quale svolge argomenti, a mio avviso non convincenti a favore del collegamento tra la condanna in duplum e il caso specifico in cui fosse impossibile all’attore procedere alla previa redhibitio dello schiavo morto senza sua colpa. In particolare, l’idea che quando Gaio parla della liberazione dell’attore dal suo obbligo („... si... neque pretium neque accessionem solvat neque eum qui eo nomi obligatus erit liberet rell.“, D. 21,1,45) intenda fare riferimento al pagamento ancora non eseguito della somma che sostituiva la redhibitio mancipii, impossibile per morte dello schiavo, si scontra contro un dato esplicito nelle fonti. Queste cioè non consentono di riferire l’obbligo di pagamento a carico dell’attore, che viene in considerazione sulla base dell’arbitratus iudicis, a una prestazione diversa da quella concernente il prezzo di acquisto con i relativi accessori. CosÌ, a parte quanto si legge proprio in D. 21,1,45 — „... eum qui eo nomine obligatus erit“ (riferito alla somma dovuta come prezzo, alla cui indicazione questa precisazione infatti segue) —, anche Ulpiano nel commentare la formula dell’actio redhibitoria indica espressamente la restituzione del prezzo e di tutto quanto sia stato dato all’acquirente in base al contratto: v. D. 21,1,27 (Ulp. 1 ed. aed. cur.). Il dato non mi sembra sia agevolmente superabile, a meno di volere affrontare una specifica critica del testo, riguardo a quest’ultimo frammento in particolare, ma sul quale l’autrice non si sofferma.

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  10. Si v. D. 21,1,23,7 (Ulp. 1 ed. aed. cur.): Iulianus ait iudicium redhibitoriae actionis utrumque, id est venditorem et emptorem, quodammodo in integrum restituere debere; D. 21,1,60 (Paul. 69 ed.): Facta redhibitione omnia in integrum restituuntur, perinde ac si neque emptio neque venditio intercessit. Su questi testi cfr., in particolare, D. Medicus, Id quod interest. Studien zum römischen Recht des Schadensersatzes, Köln/Graz 1962, 120 ss.; U. Wesel, Zur dinglichen Wirkung der Rücktrittsvorbehalte des römischen Kaufs, SZ 85 (1968) 141 ss., spec. 155 ss.; Honsell, Quod interest im bonae-fidei-iudicium cit. 70 ss.; B. Kupisch, In integrum restitutio und vindicatio utilis bei Eigentumsübertragungen im klassischen römischen Recht, Berlin/New York 1974, 97 s., 119; Donadio, La tutela del compratore cit. 276 ss. dove altra bibliografia.

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  11. Iulianus libro quinto decimo inter eum, qui sciens quid aut ignorans vendidit, differentiam facit in condemnatione ex empto: ait enim, qui pecus morbosum aut tignum vitiosum vendidit, si quidem ignorans fecit, id tantum ex empto actione praestaturum, quanto minoris essem empturus, si id ita esse scissem: si vero sciens reticuit et emptorem decepit, omnia detrimenta, quae ex ea emptione emptor traxerit, praestaturum ei: sive igitur aedes vitio tigni corruerunt, aedium aestimationem, sive pecora contagione morbosi pecoris perierunt, quod interfuit idonea venisse erit praestandum. Il testo ha dato vita a un acceso dibattito, specialmente in ordine al problema dell’entità della condanna in base all’actio empti per il diritto classico e giustinianeo e, più in genere, della risarcibilità del cd. interesse negativo nel diritto romano. Senza presunzione di completezza, tra i principali contributi si ricordano i seguenti: O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte II, Leipzig 1901, 626 s.; A. Bechmann, Der Kauf nach gemeinem Recht III.2, Leipzig 1908, 178 ss.; F. Haymann, Die Haftung des Verkäufers für die Beschaffenheit der Kaufsache I, Berlin 1912, 89 ss.; W. Kunkel, D. 19.1.13 pr.-2, SZ 46 (1926) 285 ss.; Monier, La garantie cit. 148 ss.; W. Flume, Zum römischen Kaufrecht, SZ 54 (1934) 329; Id., Eigenschaftsirrtum und Kauf, Regensberg/Münster 1948, 61; Arangio-Ruiz, La compravendita II cit. 241 ss.; Impallomeni, L’editto degli edili curuli cit. spec. 247 ss.; U. von Lübtow, Zur Frage der Sachmängelhaftung im römischen Recht, in: Studi Paoli, Firenze 1956, 492 ss.; Medicus, Id quod interest cit. 128 ss.; Honsell, Quod interest im bonae-fidei-iudicium cit. 79 ss., in part. 83 ss.; U. Manthe, Zur Wandlung des servus fugitivus, TR 44 (1976) 134 ss.; M. Talamanca, s.v. „Vendita (dir. rom.)“, in: ED XLVI, Varese 1993, spec. 442 ed ivi nt. 1440 con bibliografia; P. Apathy, Sachgerechtigkeit und Systemdenken am Beispiel der Entwicklung von Sachmängelhaftung und Irrtum beim Kauf im klassischen römischen Recht, SZ 111 (1994) 116 ss.; L. Vacca, Ancora sull’estensione dell’ambito di applicazione dell’actio empti in età classica, Iura 45 (1994) 60 ss.; É. Jakab, Diebische Sklaven, marode Balken: Von den römischen Wurzeln der Gewährleistung für Sachmängel, in: Verbraucherkauf in Europa. Altes Gewärhleistungsrecht und die Umsetzung der Richtlinie 1999/44/EG, hg. M. Schermaier, München 2003, 37 ss.; Solidoro Maruotti, „...Si vero sciens reticuit et emptorem decepit...“ cit. passim.

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  12. Si tratta di un collegamento che è stato vagliato nella dottrina del passato, specie in riferimento a D. 19,1,13,1, ma nel contesto di ipotesi interpolazionistiche oggi superate: Kunkel, D. 19.1.13 pr.-2 cit. 285 ss.; Impallomeni, L’editto degli edili curuli cit. 253 s. Per le ragioni che mi inducono a non accogliere questa interpretazione del frammento rinvio al mio: Responsabilità del venditore per i vizi della res empta: a proposito di D. 19.1.13.1 (Ulp. 32 ad ed.), Index 33 (2005) 481 ss., spec. 485 s.

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  13. Cfr., per tutti, M. Kaser, Das römische Privatrecht2 I cit. 559 s.; Garofalo, Studi cit. 5 ss.; Jakab, Diebische Sklaven cit. 32 ss., spec. 35.

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  14. Sotto questo profilo si coglie una distanza ancora maggiore rispetto ai precedenti storici in quei tentativi operati da parte della civilistica italiana per estendere, nel contesto della responsabilità per i comportamenti scorretti nella fase formativa del contratto, il regime delle regole edilizie previste nel Codice Civile italiano a tutti i contratti. Sul dibattito rinvio alle indicazioni essenziali di R. Fiori, Bona fides. Formazione, esecuzione e interpretazione del contratto nella tradizione civilistica I, in: Modelli teorici e metodologici nella storia del diritto privato II, Napoli 2006, 140 nt. 25.

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  15. La scomparsa dei limiti di applicazione della disciplina edilizia — estesa nel regime giustinianeo alle vendite di ogni cosa, sia mobile che immobile [in tal senso sarebbero stati interpolati i testi in D. 21,1,1 pr., D. 21,1,49 e 63: cfr. l’Index Itp. ad hh. ll., cui adde la letteratura citata in Donadio, La tutela del compratore cit. 23 nt. 44; mentre sull’espressione res se moventes, che si legge nel primo dei frammenti qui citati, si v. adesso C. Lanza, D. 21,1: res se moventes e morbus vitiumve, SDHI 70 (2004) 55 ss.] — rese allora possibile ed opportuno, nella scelta dei compilatori, avvicinare la discussione de aedilicio edicto et redhibitione et quanti minoris, nel titolo 21,1 dei Digesta, a quella generale sull’emptio venditio e sulle azioni discendenti da questo contratto, nei due titoli precedenti della silloge giustinianea.

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  16. A maggior ragione mi sembra improbabile che una confusione in tale direzione fosse operata già in età augustea, come dovrebbe concludersi seguendo la soluzione esegetica di D. 21,1,1 pr. riproposta oggi da E. Parlamento, Labeone e l’estensione della redhibitio all’actio empti, Rivista di Diritto Romano 3 (2003), la quale pensa a una generalizzazione dell’editto edilizio operata da Labeone attraverso l’estensione all’actio empti della redhibitio. L’ipotesi — che del resto non è nuova: cfr. C. Baldus, Una actione experiri debet? Zur Klagenkonkurrenz bei Sachmängeln im römischen Kaufrecht, OIR 5 (1999) 48 nt. 108 — non convince, in primo luogo per la difficoltà di superare la lettera del frammento. Perché mai il giurista avrebbe dovuto intendere come fulcro dell’editto edilizio solo l’azione redibitoria, come ipotizza Parlamento, se alla sua epoca era stata introdotta anche l’actio quanti minoris, altrettanto importante e anzi per i tempi innovativa e più vicina ai precedenti civilistici? La soluzione suggerita, inoltre, non tiene conto della pluralità di ordinamenti (ius civileius honorarium): come avrebbe potuto il giureconsulto parlare di estensione dell’editto (edilizio) in riferimento a un’innovazione che avrebbe interessato un rimedio civilistico? Non solo. Resta una considerazione importante contro questa tesi: ovvero, che l’ambito di applicazione dell’actio ex empto con effetti analoghi a quelli delle actiones aediliciae (v. spec. D. 19,1,11,5 e D. 19,1,13 pr.-1) è tenuto dai giuristi classici assolutamente distinto rispetto a quello delle azioni speciali. Su quest’aspetto rinvio alla discussione che svolgo in La tutela del compratore cit. passim.

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  17. Lenel, Pal. I Labeonis loci incerti 397; Cael. Sab. 1. Celio Sabino giunge, tuttavia, a soluzioni diverse, in polemica probabilmente con Labeone. Sull’argomento, cfr. F. Grelle, La ‘correctio morum’ nella legislazione flavia, ANRW. II.13, Berlin/New York 1980, 357. Quanto alla definizione di morbus nella giurisprudenza del primo principato, si v. soprattutto: R. Monier, La position de Labéon vis à vis de l’expression morbus vitiumve dans l’édit des édiles, in: Eos. Symbolae Taubenschlag III, Varsavia 1957, 443 ss.; A. Guarino, Labeone giurista meridionale, Labeo 1 (1955) 51 (= PDR. V, Napoli 1994, 111) 51; R. Martini, Le definizioni dei giuristi romani, Milano 1966, 144; D. Dalla, L’incapacità sessuale in diritto romano, Milano 1978, 141 s.; L. Manna, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto de mancipiis vendundis, Milano 1994, 33 ss.; M. Kaser/R. Knütel, Römisches Privatrecht, 17. Auflage, München 2003, 269; R. Gamauf, Zur Frage’ sklaverei und Humanität’ anhand von Quellen des römischen Rechts, in: Fünfzig Jahre Forschungen zur antiken Sklaverei an der Mainzer Akademie 1950–2000. Miscellanea zum Jubiläum, hg. H. Bellen/H. Heinen, Stuttgart 2001, 55 ss.

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  18. Una definizione analoga a quella ricordata da Gellio si legge in D. 21,1,1,7: Sed sciendum est morbum apud Sabinum sic definitum esse habitum cuiusque corporis contra naturam, qui usum eius ad id facit deteriorem, cuius causa natura nobis eius corporis sanitatem dedit... L’attribuzione tradizionale a Masurio Sabino della definitio ricordata in questo frammento (v. Lene l, Pal. II Sab. 98; F. P. Br eme r, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt II.1, Lipsiae 1898, 545) è stata contestata da molti, appunto in base al confronto con la definizione testimoniata per Celio Sabino (e Labeone) dall’erudito di età adrianea (Gell. 4,2,3). Si v. F. Schulz, Storia della giurisprudenza romana, tr. it. a cura di G. Nocera, Firenze 1968, 339; Monier, La position de Labéon cit. 444; R. Astolfi, I libri tres iuris civilis di Sabino2, Padova 2001, 264 nt. 303.

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  19. Lenel, Pal. II Trebatii loci incerti 30. Cfr. Gell. 4,2,10: Nam cum redhiberi eam Labeo quasi minus sanam putasset, negasse aiunt Trebatium ex edicto agi posse, si ea mulier a principio genitali sterilitate esset. At si valitudo eius offendisset exque ea vitium factum esset, ut concipere fetus non posset, tum sanam non videri et esse in causa redhibitionis.

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  20. Sulla figura del mercante di schiavi nel mondo romano c’è una vastissima letteratura. In relazione alla discussione che qui svolgo si rinvia per l’attività dei venaliciarii e le forme della loro organizzazione a Jakab, Praedicere und cavere cit. 16 ss.; R. Ortu, „Qui venaliciariam vitam exercebat...“: ruolo sociale e qualificazione giuridica dei venditori di schiavi, Ius Antiquum 9 (2002) 87 ss.; E ad., Note in tema di organizzazione e attività dei venaliciarii, Diritto@Storia 2 (2003), con altra bibliografia.

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  21. Sulla clausola con cui le parti integravano la compravendita predisponendo a carico del venditore uno specifico impegno di garanzia a trasferire uno schiavo in buone condizioni si v., in particolare, M. Memmer, Der „schöne Kauf“ des „guten Sklaven“, SZ 107 (1990) 16 s.; Jakab, Praedicere und cavere cit. 188 ss.; Ead., Rec. a L. Schumacher, Sklaverei in der Antike. Alltag und Schicksal der Unfreien, München 2001, SZ 119 (2002) 433; A. Söllne r, Der Kauf einer Sklavin, beurkundet in Ravenna um die Mitte des 2. Jahrhunderts n.Chr., in: Iurisprudentia universalis. FS Mayer-Maly, hg. M. J. Schermaier/J. M. Rainer/L. C. Winkel, Köln/Weimar/Wien 2002, spec. 731 s.

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  22. In tal senso Memmer, Der „schöne Kauf“ des „guten Sklaven“ cit. 11 s.; Jakab, Praedicere und cavere cit. spec. 190.

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  23. Sulla stipulazione edilizia per i vizi della cosa, v. di recente: G. Camodeca, Tabulae Pompeianae Sulpiciorum (TPSulp.). Edizione critica dell’archivio puteolano dei Sulpicii I, Roma 1999, 115 ss.; Id., Tabulae Herculanenses: riedizione delle emptiones di schiavi (TH 59–62), in: Quaestiones iuris. FS Wolf, hg. U. Manthe/C. Krampe, Berlin 2000, 58 ss.; É. Jakab, Rec. a Quaestiones iuris cit., SZ 119 (2002) 561 s.; F. Reduzz i Merola, Perlo studio delle clausole di garanzia nella compravendita di schiavi: la prassi campana, Index 30 (2002) 215 ss.

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  24. Sotto questa prospettiva il rapporto tra l’intervento edilizio in tema di garanzia per i vizi della cosa e l’intervento pretorio (actio empti) è stato vagliato, ma con soluzioni diverse da quelle qui accolte, da A. Watson, Sellers’ Liability for Defects: Aedilician Edict and Praetorian Law, Iura 38 (1987) 167 ss.

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  25. È generalmente condivisa in dottrina l’affermazione secondo cui l’editto edilizio avrebbe avuto diretta applicazione al di fuori del ristretto ambito dei mercati a Roma. Già T. Mommsen, Römisches Staatsrecht II, Leipzig 1887, rist. Graz 1952, 501 ed ivi nt. 4 metteva in dubbio che per tutto il periodo classico l’editto edilizio e la iurisdictio degli edili curuli potessero essere rimasti circoscritti alle sole compravendite mercantili. Mommsen, in particolare, collegava a questo limite la redazione dell’edictum de mancipiis vendundis nella versione restituita da Gell. 4,2,1 e ipotizzava che invece nella diversa versione accolta nelle Pandette (D. 21,1,1,1 e D. 21,1,38 pr.) l’editto edilizio non avrebbe avuto più applicazione limitata alle sole vendite che si concludevano nei mercati cittadini. Per la letteratura successiva v.: Haymann, Die Haftung des Verkäufers I cit. 19 ss.; Monier, La garantie cit. 44; Arangio-Ruiz, La compravendita II cit. 362 nt. 1, dove altra bibliografia; Impal lomeni, L’editto degli edili curuli cit. 134 s. Diversa opinione in: F. Schulz, Classical Roman Law, Oxford 1951, rist. Aalen 1992, 536; Medicus, Id quod interest cit. 125 ss.; Watson, The Imperatives cit. 73 ss., spec. 80 s. Dati importanti sono oggi quelli offerti dalle tavolette cerate campane relative alle emptiones di schiavi, le quali provano che l’editto edilizio non aveva applicazione solo nell’Urbe, ma certamente almeno nei municipi e nelle colonie in territorio italico. Cfr., per tutti, G. Camodeca, L’archivio puteolano dei Sulpicii I, Napoli 1992, 147 con altra letteratura; Id., Tabulae Herculanenses cit. 61 s.

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  26. Cfr., per tutti, Karlowa, Römische Rechtsgeschichte II cit. 1299 ss.; A. Pezzana, Classicità dell’actio aestimatoria, AG 140 (1951) 60; Kaser, Das römische Privatrecht2 I cit. 560; Jakab, Praedicere und cavere cit. 139. Impal lomeni, L’editto degli edili curuli cit. 106 ipotizza, sulla base di un parere di Labeone ricordato in Gell. 4,2,8 e in base alla circostanza che Cicerone non ne faccia menzione, che l’edictum de iumentis vendundis sarebbe stato introdotto „posteriormente a Cicerone ed anteriormente o contemporaneamente a Labeone medesimo.“ L’analoga interpretazione fu sostenuta in passato da Bechmann, Der Kauf nach gemeinem Recht III.2 cit. 410. In realtà, nella ricostruzione di questo studioso essa si fondava su un generale spostamento della datazione dell’editto edilizio, anche per le vendite di schiavi, intorno alla metà del I sec. a.C. (cfr. del medesimo autore, Der Kauf nach gemeinem Recht I, Erlangen 1876, rist. Aalen 1965, 396). Mi sembra, al contrario, che i pareri di Aulo Ofilio, relativi ai difetti dell’animale e il contesto entro cui essi appaiono citati da Ulpiano (v., soprattutto, D. 21,1,38,7) consentano di ricondurre l’editto per le compravendite di iumenta a un momento precedente a quello suggerito da Impallomeni.

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  27. In tal senso si v. Arangio-Ruiz, La compravendita II cit. 384 e 391. Ormai isolata nella letteratura romanistica è l’affermazione della non classicità dell’actio quanti minoris, avanzata nella prima metà del secolo scorso da Monier, La garantie cit. spec. 170 ss., seguito da Schulz, Classical Roman Law cit. 538. Contro quest’ipotesi cfr. A. Giffard, L’action édilicienne quanti minoris (D. 21,1,38 pr.; 13 et 14), RH 12 (1931) 682 ss.; F. Pringsheim, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, SZ 69 (1952) 234 ss.; Pezzana, Classicità dell’actio aestimatoria cit. 53 ss.

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  28. Cfr. Quod interest im bonae-fidei-iudicium cit. 73 ss. I risultati dello studioso sono prevalentemente accolti nella letteratura romanistica: cfr. Kaser, Das römische Privatrecht2 I cit. 559 ed ivi nt. 51 con altra bibliografia.

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  29. Le fonti testimoniano la frequenza con cui mediante accordi sottobanco e attraverso il gioco delle offerte al rialzo o delle fittizie astensioni a offrire si influiva sulla determinazione del prezzo d’asta, nell’interesse dell’una o dell’altra parte: v. segnatamente Cic. off. 3.15.61 e Caec. 16. Cfr. spec. T. Mayer-Maly, s.v. „Auction“, in: Der Kleine Pauly I, Stuttgart 1964, 728; W. Kroll, s.v. „Licitatio“, in: PWRE XIII.1, Stuttgart 1926, 505 (con altre fonti), il quale si sofferma in genere sulle modalità di svolgimento della gara d’asta; G. Thielmann, Die römische Privatauktion zugleich ein Beitrag zum römischen Bankierrecht, Berlin 1961, 244 ss.; N. K. Rauh, Finance and Estate Sales in Republican Rome, Aevum 63 (1989) 45 ss., dove un’accurata analisi della testimonianza offerta da Cicerone nella corrispondenza con l’amico Attico.

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Donadio, N. (2008). Garanzia per i vizi della cosa e responsabilità contrattuale. In: Jakab, E., Ernst, W. (eds) Kaufen nach Römischem Recht. Springer, Berlin, Heidelberg. https://doi.org/10.1007/978-3-540-71193-3_3

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