Estratto
È nozione risaputa e da alcuni lustri proclamata che il medico, e con lui tutti gli altri operatori della sanità, devono avere e applicare buone capacità relazionali. È la disponibilità, il contatto, l’empatia che fa il buon medico e che è alla base del medicus ipse farmacum già citato, con la sua azione terapeutica piuttosto che iatrogena. È questa la dote che si sviluppava nella pratica professionale dei medici fino a cinquanta-ottanta anni fa e che decretava il loro successo: non semplicemente perché così si conquistavano i clienti, ma anche perché in tal modo le cure erano davvero più efficaci. Oggi sappiamo quanto tale efficacia poggi sulla regolazione psicosomatica. Quanto vale, o valeva, per il medico, oggi ancor più vale per gli altri operatori sanitari: l’infermiere in particolare, che sta a contatto col malato molto più del medico; ma anche gli altri operatori, per i quali oggi sempre più si delinea uno sviluppo di competenze relazionali (sono tutti laureati), per l’assistenza (si pensi al fisioterapista, all’ostetrica, ai vari tipi di riabilitatori), per la prevenzione (si pensi all’educatore professionale o al laureato in Scienze Motorie). Tali competenze implicano un intenso e continuato rapporto con l’utente, molto più operativo di quanto oggi sia necessario per il medico: se si vuole che tale operato sia efficace, deve esserci la “buona relazione”.
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(2008). Le capacità relazionali. In: La mente medica. Springer, Milano. https://doi.org/10.1007/978-88-470-0792-5_11
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DOI: https://doi.org/10.1007/978-88-470-0792-5_11
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