Riassunto
Fra le parti della tragedia, dopo il «mito», che è la più importante, e prima dello spettacolo e della musica, che sono le più estranee all’arte del poeta, Aristotele colloca i caratteri, il linguaggio e il pensiero (1450a9–10). Se la tragedia è imitazione di azioni, coloro che agiscono — noi diremmo i personaggi — è necessario che abbiano una certa qualità κατά τε τὸ ἠ̑θος καὶ τὴν διάνοιαν, «secondo il carattere e il pensiero» (1449b37–38). Il carattere è appunto «ciò secondo cui diciamo che chi agisce ha una propria qualità» e il pensiero è «tutto ciò con cui, parlando, si dimostra qualcosa o si esprime un giudizio» (1450a5–7). Ma se la tragedia non imita gli uomini, bensì le azioni e la vita, allora l’imitazione comprenderà i caratteri soltanto διὰ τὰς πράξεις, «a motivo delle azioni» (1450a20–22): infatti «senza azione non può esserci tragedia, senza caratteri può esserci» (1450a23–25).
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Serra, G. (2002). «Azione» e «carattere». In: Da ›tragedia‹ e ›commedia‹ a ›lode‹ e ›biasimo‹. J.B. Metzler, Stuttgart. https://doi.org/10.1007/978-3-476-02879-2_6
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Publisher Name: J.B. Metzler, Stuttgart
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