Introduzione

La salute della coppia è da sempre al centro dell’interesse di studio di endocrinologi, andrologi e ginecologi. Le statistiche dell’Istituto Superiore di Sanità riportano che l’infertilità in Italia riguarda il 15% delle coppie (dove per infertilità s’intende il mancato concepimento dopo 12 mesi di rapporti sessuali non protetti) [1]. Le cause d’infertilità di coppia risiedono parimenti in fattori cosiddetti “femminili” e “maschili”. Negli ultimi anni è stata data sempre maggior rilevanza allo stile di vita, così come alla prevenzione e alla cura della sindrome metabolica che ha ripercussioni importanti sull’asse riproduttivo sia maschile sia femminile. Nel maschio, infatti, la sindrome metabolica e/o l’obesità possono portare alla condizione di ipogonadismo ipogonadotropo, mentre nella donna queste condizioni predispongono allo sviluppo della Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS). In particolare, nella patogenesi della PCOS è stato riconosciuto un ruolo fondamentale all’insulino-resistenza (IR). La PCOS colpisce una percentuale rilevante della popolazione femminile in età fertile, tanto da essere considerata l’alterazione endocrina più frequente (8–13%) [2].

Inoltre l’IR entra in gioco nel promuovere e amplificare la complicanza epatica della PCOS, definita come malattia epatica non alcolica (NAFLD) [3]. In questa rassegna proveremo, dunque, a fornire al lettore degli spunti di riflessione sul complesso e affascinante ruolo dell’insulina nel campo della fertilità femminile.

Fattori di rischio e cause d’infertilità femminile

L’infertilità femminile può avere differenti cause. Tra queste vanno menzionati problemi del sistema riproduttivo come le malformazioni congenite, infezioni e disfunzioni ormonali. La Tabella 1 riassume alcuni fattori di rischio di infertilità femminile. Focalizzandoci sulla gonade femminile, tra le funzioni dell’ovaio vi è la produzione degli ovociti e degli ormoni sessuali che controllano lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari e supportano la gravidanza. Fisiologicamente, questi meccanismi sono ciclicamente presenti dalla pubertà alla menopausa e regolati da segnali endocrini e paracrini tra i diversi tipi di cellule ovariche [4]. Conseguentemente, qualsiasi alterazione che interferisca con questi meccanismi può comportare dei problemi di fertilità.

Tabella 1 Fattori di rischio per infertilità femminile

Un importante fattore da indagare nello studio della fertilità femminile è la riduzione di cicli ovulatori, dunque potenzialmente fertili, che caratterizza la PCOS [5]. La PCOS ha una prevalenza dell’8–13% nella popolazione femminile in età fertile e rappresenta la causa principale d’infertilità anovulatoria nelle donne [6]. Secondo le linee guida della European Society of Human Reproduction and Embryology (ESHRE), la PCOS deve essere ricercata e indagata se sono presenti iperandrogenismo clinico e iperandrogenemia, disfunzione ovulatoria e aspetto policistico delle ovaie alla valutazione ecografica (Polycystic Ovarian Morphology, PCOM) [7]. La diagnosi nell’adulto è infatti posta in presenza di almeno 2 tra i seguenti criteri di Rotterdam: 1) oligo-ovulazione e/o anovulazione; 2) segni clinici e/o biochimici di iperandrogenismo; 3) ovaio policistico, ed escludendo altre eziologie (iperplasia surrenalica congenita, tumori secernenti androgeni, sindrome/malattia di Cushing) [6]. Pertanto, la diagnosi di PCOS è una diagnosi di esclusione. Si sottolinea che la valutazione specialistica ecografica è sempre necessaria per completare la diagnosi di PCOS nello studio dell’infertilità femminile, anche per escludere altre diagnosi misconosciute.

Nonostante la sua elevata prevalenza e il notevole impatto economico, l’eziologia della PCOS rimane sempre elusiva. I loci genetici legati alla PCOS finora rappresentano solo circa il 10% della sua ereditabilità, stimata al 70%. Tuttavia, evidenze crescenti suggeriscono che alcune alterazioni della programmazione epigenetica e dello sviluppo, derivanti dalla disregolazione ormonale dell’ambiente uterino materno, possano contribuire alla patogenesi di questa condizione. Recentemente è stata pubblicata un’interessante review che sintetizza i principali meccanismi epigenetici alla base della patogenesi della PCOS [8]. L’iperandrogenismo e l’iperinsulinemia sono le due caratteristiche prevalenti della sindrome e sono presenti in circa il 75–95% di tutte le donne con PCOS. Sono state inoltre descritte importanti alterazioni nella follicologenesi. Alti livelli circolanti di ormone luteinizzante (LH), che si verificano in risposta all’aumentata secrezione di ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH) e, probabilmente, anche all’assenza di feedback negativo del progesterone, esacerbano l’iperandrogenismo ovarico, stimolando la produzione di androgeni nelle cellule della teca [9]. Anche la disfunzione intrinseca delle cellule della teca contribuisce all’iperandrogenismo ovarico nelle donne con PCOS [10]. Inoltre, il numero eccessivo di follicoli antrali ovarici osservati nelle donne con PCOS a causa dell’iperandrogenismo delle cellule della teca promuove ulteriormente il reclutamento follicolare primario e aumenta il numero di follicoli preantrali e piccoli follicoli antrali indipendentemente dalla stimolazione delle gonadotropine [8, 11]. Il recettore degli androgeni (AR) è molto espresso nei follicoli pre-antrali, il che indica che le principali azioni degli androgeni si verificano durante le prime fasi della follicologenesi. Infine, è bene ricordare che l’alterata recettività endometriale e i disturbi ovulatori sono entrambi importanti cause d’infertilità correlata alla PCOS. Tuttavia, le alterazioni endometriali non hanno mai ricevuto la stessa attenzione della disfunzione ovulatoria [12].

La Fig. 1 illustra in modo descrittivo l’intricata fisiopatologia della PCOS.

Fig. 1
figure 1

Fisiopatologia della PCOS. GnRH, ormone di rilascio delle gonadotropine; LH, ormone luteotropo; FSH, ormone follicolo-stimolante; SHBG, Sex Hormone Binding Globulin; E2, estradiolo; AMH, ormone anti-mulleriano

Sindrome metabolica e infertilità: il ruolo dell’insulina

L’insulina è strettamente coinvolta nella patogenesi della PCOS. Questo ormone aumenta la pulsatilità del GnRH, con conseguente aumento della secrezione di LH; riduce la produzione di Sex Hormone Binding Globulin (SHBG) nel fegato, aumentando la quota di androgeni liberi circolanti; aumenta la produzione androgenica attraverso la stimolazione diretta dei recettori dell’insulina e la reazione crociata con i recettori dell’Insulin Like Growth Factor 1 (IGF-1); infine, aumenta la produzione di estrogeni da parte delle cellule della granulosa stimolando l’aromatizzazione [13].

La concomitante presenza di obesità aumenta ulteriormente la resistenza all’insulina ed esacerba i sintomi della PCOS.

Diversi studi hanno dimostrato che l’obesità è associata a un allungamento del tempo per ottenere una gravidanza. A tal riguardo, una relazione inversa tra l’aumento del BMI e il tasso di fecondabilità è stata dimostrata in due ampie coorti di donne danesi [14]. Diverse evidenze supportano un impatto negativo dell’obesità anche sugli esiti delle tecniche di riproduzione assistita (PMA). L’obesità può prolungare la durata dell’induzione dell’ovulazione, può portare ad aumentare la dose di gonadotropine, diminuire il numero di follicoli maturi e ovociti recuperati e aumentare il tasso di annullamento del ciclo. Inoltre, l’obesità può avere un impatto negativo sulla qualità dell’ovocita e dell’embrione. Pertanto, è stato spesso riportato che i tassi di fecondazione, del trasferimento di embrioni, di impianto e di gravidanza sono bassi in relazione alle categorie di BMI. Inoltre, l’obesità può rendere più difficili le procedure di prelievo degli ovociti e di trasferimento degli embrioni. Infine, diversi studi hanno indicato un aumento del rischio di aborto spontaneo nelle donne obese nei cicli PMA. Una meta-analisi di questi studi ha mostrato che le donne con BMI ≥25 kg/m2 avevano probabilità significativamente più elevate di aborto spontaneo, indipendentemente dal metodo di concepimento (OR: 1,67; 95% CI: 1,25–2,25) [15].

Infine, è stato documentato in diversi studi un legame tra PCOS e sindrome metabolica, con una prevalenza di sindrome metabolica tra le donne con PCOS compresa tra il 33 e il 46% [16].

L’IR si osserva frequentemente sia nelle donne normo-peso sia in quelle obese affette da PCOS, ma queste ultime presentano le forme più gravi [17]. Negli ultimi anni, Escobar-Morreale e collaboratori hanno ipotizzato che la PCOS derivi da un circolo vizioso di eccesso di androgeni che favorisce la deposizione di tessuto adiposo addominale e l’adiposità viscerale, inducendo IR e, conseguentemente, iperinsulinismo che a sua volta facilita ulteriormente la secrezione di androgeni da parte delle ovaie e dalle ghiandole surrenali nelle donne affette. Secondo questa teoria, le pazienti con disfunzione ovarica più grave dovrebbero presentare anche un’IR più grave [9, 18]. Ciò confermerebbe la bidirezionalità del meccanismo e l’importante ruolo dell’insulina nello sviluppo di infertilità femminile da causa ovarica. Nelle pazienti affette da PCOS, sia obese che normopeso, è stato descritto anche un altro meccanismo per spiegare l’iperandrogenismo indotto dall’iperinsulinemia. Quest’ulteriore meccanismo vede coinvolto l’IGF-1 prodotto dal tessuto ovarico, che ne esprime anche i recettori. Nello specifico, l’insulina può cross-reagire con i recettori dell’IGF-1 e attivare la cascata tirosino-kinasica a valle, potenziando gli eventi intracellulari mediati dall’IGF-1 stesso. Questo porta a un aumento della biodisponibilità dell’IGF-1 (non legato alle proteine di trasporto) con l’effetto finale di aumentare la produzione androgenica da parte delle cellule della teca e delle cellule stromali ovariche [19].

Va inoltre ricordato che, nella donna obesa con PCOS, oltre alle alterazioni ormonali intrinseche della sindrome, il tessuto adiposo viscerale agisce come un vero organo endocrino producendo le cosiddette “adipochine”. La corretta produzione di queste molecole è fondamentale per mantenere la normale funzione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi e, nel sesso femminile, per regolare l’ovulazione, per promuovere l’impianto embrionale e l’inizio di una gravidanza fisiologica [20]. Le alterazioni quantitative delle adipochine nelle donne in sovrappeso/obese possono riflettersi sulla produzione dell’insulina e promuovere l’IR: questo a sua volta può avere dunque un impatto sulla fertilità. Nello specifico, nelle donne obese si assiste a una riduzione dei livelli di adiponectina e omentina e a un aumento di leptina, resistina, visfatina e chemerina, tutte alterazioni che possono provocare indirettamente problemi di fertilità (vedi Tabella 2). Inoltre, si ha una maggiore produzione di citochine non specifiche del tessuto adiposo come il Tumor Necrosis Factor \(\alpha \) (TNF\(\alpha \)), coinvolto anche nell’infiammazione cronica presente nella PCOS [20].

Tabella 2 Alterazioni delle adipochine nelle donne obese ed effetti sulla fertilità. LH, ormone luteotropo; FSH, ormone follicolo-stimolante

NAFLD e PCOS: due condizioni diverse con fattori patogenetici in comune

La NAFLD è una condizione frequentemente associata alla presenza di patologie metaboliche come l’obesità e il diabete mellito. Tale condizione è in primis una diagnosi di esclusione (vanno escluse cause virali di epatiti e la causa alcolica) e nel suo contesto è possibile discriminare un quadro di semplice steatosi da uno di steatoepatite non alcolica (Non Alcoholic SteatoHepatitis, NASH), quest’ultima caratterizzata da un maggior rischio di progressione verso la cirrosi epatica e l’epatocarcinoma [21]. In Italia la prevalenza stimata di NAFLD in popolazione generale è di circa il 25%, con tassi superiori al 50% in popolazioni a rischio come i soggetti diabetici e/o obesi [22]. La PCOS può essere considerata una complicanza extra-epatica della NAFLD ma questa relazione non è unidirezionale, poiché è vero anche che la NAFLD è una complicanza extra-ovarica della PCOS: tale relazione riconosce sempre l’IR come uno dei cofattori patogenetici più importanti. La NAFLD ha una prevalenza stimata che va dal 34 al 70% nelle donne con PCOS, nettamente superiore rispetto alla popolazione generale femminile (14–34%) [23, 24]. Studi recenti hanno confermato che sia l’IR che l’iperandrogenismo possono contribuire al danno epatico nella PCOS, con un ruolo maggiore dell’iperandrogenismo nelle donne con PCOS non obese [25, 26]. Effettuare diagnosi di NAFLD nella PCOS non è però semplice, soprattutto nei setting ambulatoriali in cui viene gestita frequentemente questa sindrome. Non avendo dunque sempre a disposizione la possibilità di eseguire una diagnostica ecografica, il clinico può riferirsi a questionari e indici dedicati, calcolabili mediante l’utilizzo di parametri biochimici e misure antropometriche ricavabili durante la valutazione ambulatoriale. Tra gli score dedicati vanno menzionati lo SteatoTest®, il Fatty Liver Index (FLI) e il NAFLD Liver Fat Score (NAFLD-LFS): tutti questi algoritmi sono stati validati in popolazione generale o nella popolazione obesa e predicono variabilmente gli outcome epatici e cardio-metabolici [27]. La Tabella 3 mostra gli score citati. D’altro canto, la PCOS è indipendentemente associata a un quadro epatico alterato, quindi anche gli epatologi sono chiamati a indagare la presenza di PCOS nelle donne in età fertile con NAFLD e le complicanze che ne conseguono [28].

Tabella 3 Alcuni test non invasivi utili alla diagnosi di NAFLD. BMI, indice di massa corporea; WC, circonferenza addominale; MetS, sindrome metabolica; DM, diabete mellito

Secondo la nostra conoscenza, in letteratura non vi sono studi che hanno analizzato l’effetto della NAFLD per se sulla fertilità femminile; sono invece presenti diversi studi di medicina di genere che ne hanno evidenziato la diversa prevalenza e i fattori di rischio nei due sessi [29]. Interessanti lavori hanno altresì posto l’attenzione sul ruolo avverso che può avere la NAFLD in gravidanza. La prevalenza di NAFLD in questa fase della vita è infatti triplicata negli ultimi 10 anni e aumenta il rischio di complicanze sia per la madre che per il feto, che includono ipertensione arteriosa, sanguinamenti anomali e parto pre-termine [30]. Questo pone l’accento sull’importanza di effettuare un corretto counseling pre-concezionale mirato a correggere i fattori metabolici (e non) che aumentano il rischio di NAFLD nelle donne in età fertile.

Nuovi marcatori della NAFLD nella PCOS: il ruolo della SHBG

Nella prima parte di questa rassegna ci siamo soffermati sul ruolo dell’insulino-resistenza nella patogenesi della PCOS e di come diversi organi siano bersaglio di complessi meccanismi. Tra questi, il fegato è l’organo deputato alla produzione di diverse proteine, tra cui l’SHBG, proteina di estrema importanza per il trasporto degli androgeni in circolo. Nella PCOS sia l’iperandrogenismo che l’iperinsulinemia contribuiscono alla riduzione dei livelli circolanti di SHBG e, di conseguenza, a un aumento degli androgeni liberi creando, dunque, un circolo vizioso [13].

In un recente studio, il nostro gruppo di ricerca ha valutato il ruolo dell’SHBG come marcatore di NAFLD nelle pazienti con oligomenorrea e/o irsutismo, trovando sia una correlazione negativa tra i valori di NAFLD-LFS e quelli di SHBG che uno specifico cut-off di SHBG predittore del rischio di NAFLD in queste pazienti (identificata come valori patologici di NAFLD-LFS) [27]. Mediante l’utilizzo della curva ROC, infatti, è stato identificato il valore di 33,4 nmol/l di SHBG come miglior soglia, con alte sensibilità e specificità (rispettivamente 73,3 e 70,7%). Tale valore è poi stato confermato in una popolazione differente, metabolicamente meno compromessa [27]. Questi risultati, da confermare in casistiche più ampie e con l’utilizzo di ulteriori algoritmi, pongono nuove evidenze nella diagnosi della NAFLD, mostrando come il semplice dosaggio della SHBG, routinariamente richiesta nelle donne con PCOS, possa identificare soggetti con un più alto rischio metabolico e indirettamente di infertilità.

Stile di vita, farmaci insulino-sensibilizzanti e fertilità femminile

È ampiamente accettato che l’ottimizzazione dello stile di vita pre-concezionale porti a risultati migliori in termini di ottenimento di gravidanza, sia nella popolazione generale sia in condizioni specifiche come la PCOS.

Il trattamento dell’infertilità nella PCOS comprende cambiamenti dello stile di vita, terapie farmacologiche (agenti orali come clomifene citrato, letrozolo o metformina o agenti iniettabili come le gonadotropine), terapia chirurgica (chirurgia ovarica laparoscopica) o fecondazione in vitro (IVF).

L’intervento sullo stile di vita è raccomandato come trattamento di prima linea per l’anovulazione nella PCOS e la perdita di peso è raccomandata nei soggetti obesi o in sovrappeso. In effetti, gli studi dimostrano che uno stile di vita sano si traduce in benefici metabolici, riproduttivi e psicologici. Trial recenti hanno dimostrato gli effetti benefici del ritardare i trattamenti farmacologici con l’obiettivo di migliorare in prima istanza lo stile di vita nelle donne obese con PCOS, anche se questo tipo di studio non è sempre di facile realizzazione a causa dell’impegno necessario da parte delle pazienti per l’ottimizzazione delle abitudini di vita e perché spesso la coppia percepisce queste indicazioni come un ritardo nella ricerca di gravidanza [31].

I farmaci per l’induzione dell’ovulazione come il clomifene citrato, la metformina e il letrozolo (ad oggi prima scelta) sono off-label in molti Paesi. Questi farmaci dovrebbero essere prescritti dopo l’esclusione di una gravidanza e il loro uso prolungato non è raccomandato a causa delle scarse percentuali di successo [6].

La metformina, noto antidiabetico orale, compare tra le opzioni di prima linea per l’infertilità anovulatoria, ma è meno efficace del clomifene citrato nelle donne obese con PCOS. La terapia combinata metformina-clomifene si è dimostrata superiore a nessun trattamento o al placebo, al solo clomifene citrato e alla sola metformina (nelle donne obese) [6]. Inoltre, la metformina è utile come terapia adiuvante per prevenire la sindrome da iperstimolazione ovarica (OHSS) nelle donne con PCOS sottoposte a fecondazione in vitro [6].

Recentemente molti studi hanno evidenziato gli effetti benefici di farmaci come gli agonisti del recettore del GLP1 (GLP1-RA) nel promuovere una perdita di peso significativa e cambiamenti metabolici favorevoli in donne obese e sovrappeso con PCOS. Inoltre, in aggiunta ai rilevanti effetti sul peso, alcuni studi hanno anche dimostrato effetti benefici aggiuntivi sull’iperandrogenemia e sui parametri metabolici [32]. Tra i farmaci più studiati vi è la liraglutide, GLP1-RA approvato per il trattamento farmacologico dell’obesità e del sovrappeso con comorbidità. In letteratura vi sono dati riguardanti gli effetti riproduttivi, oltre che metabolici, della liraglutide nelle pazienti con PCOS: tali trial iniziali aprono la strada a ulteriori studi per confermare se questo farmaco possa essere routinariamente impiegato nelle pazienti con PCOS che necessitano di un trattamento farmacologico pre-concezionale comprendente la perdita di peso [32].

Infine, è importante ricordare che la seconda linea di trattamento dell’infertilità anovulatoria della PCOS comprende le gonadotropine, la chirurgia ovarica laparoscopica e, infine, la procreazione medicalmente assistita [6].

Conclusioni

L’insulino-resistenza e la conseguente iperinsulinemia sono noti fattori patogenetici della PCOS, condizione endocrinologica spesso caratterizzata da infertilità anovulatoria, a sua volta una delle cause più frequenti d’infertilità da fattore femminile. L’ottimizzazione della presa in carico di queste pazienti è di fondamentale importanza per ottenere risultati soddisfacenti e duraturi che portino all’ottenimento di una gravidanza fisiologica.

La NAFLD va riconosciuta e indagata in queste pazienti, anche con l’ausilio di marcatori di facile utilizzo nella pratica ambulatoriali come quelli indicati in questa rassegna.

Il principale obiettivo terapeutico a cui mirare in futuro è far maturare nelle pazienti la consapevolezza che una corretta gestione del peso corporeo in eccesso e dello stile di vita può essere tanto più efficace e duratura dell’utilizzo in prima istanza di una terapia farmacologica e di come questa vada solo a completare un iter ben più complesso della semplice “prescrizione terapeutica”.