Introduzione
L’habitus eunucoide è attualmente incluso nella classificazione dei fenotipi di interesse per la Genetica Medica (Human Phenotype Ontology HP0003782) disponibile su NCBI – National Library of Medicine di Bethesda come somatotipo di alta statura (ossia \(\geq97^{\circ}\) percentile), sottile, sottopeso (quindi BMI \(<18{,}5~\text{kg/m}^{2}\)) con arti superiori e inferiori lunghi e un’apertura delle braccia (AS) \(>5\) cm rispetto l’altezza (H). Pertanto, viene definito con criteri antropometrici (statura, proporzioni assili e appendicolari scheletriche, entità della massa corporea – massa grassa e massa magra) che, in relazione al termine eunuco (dal greco custodire, ossia custode del letto) o maschio castrato, sono raccordabili con un’eziologia genitale. Quindi, l’habitus eunucoide rappresenta un esempio di complesso sindromico, ossia dati semeiologici raccolti con un’azione di razionalizzazione secondo un possibile nesso causale per aumentare il valore probativo dell’associazione e giungere a una diagnosi [1].
I complessi sindromici appaiono per la prima volta nella medicina ippocratica del V sec. a.C., in particolare nel Prognostico e nelle Epidemie, dove partendo dalla medesima obiettività in differenti casi clinici [2] si cercava un’associazione sintomatologica atta a compensare l’impossibilità di provare le modificazioni degli “umori” (oggi diremmo le variabili di laboratorio), divenute così importanti nell’endocrinologia clinica contemporanea [3], che erano alla base della teoria ippocratica delle malattie [2]. Quest’associazione, una volta confermata, veniva chiamata sindrome (dal greco , dove insieme e di corsa) e identificava una patologia specifica. La diagnosi basata su sindromi si ritrova nel Canone di Avicenna (1025 d.C.) e raggiungerà il suo apice nel lavoro di Francois Boissier de Sauvages, Nosologia methodica (1763), dove sono raccolte oltre 2400 sindromi cliniche, sulla scorta del piano metodologico fornito dalle Observationes Medicae (1676) di Thomas Sydenham [2]. Infine, il valore diagnostico della sindrome clinica verrà sancito alla fine del XIX secolo dalla Scuola medica francese con la teoria dei segni, dei sintomi e loro classificazione [4]. Oggi sappiamo che un habitus eunucoide può o meno associarsi a un certo numero di altri segni scheletrici e/o a modificazioni dei caratteri sessuali primari e/o secondari (inclusa distribuzione ed entità della massa grassa), del profilo degli steroidi sessuali e/o dei parametri metabolici, permettendo di identificare uno specifico fenotipo (ossia caratteristiche sia strutturali che funzionali) clinico eunucoide, che viene correntemente indicato come ipogonadico.
Antiche evidenze di fenotipi clinici eunucoidi
La più antica evidenza di un fenotipo con plausibili caratteri eunucoidi è rintracciabile nei bassorilievi Assiri del IX–VI sec. a.C., dove sono mostrati i ša-rēši, attendenti militari del sovrano, di alta statura, privi di barba, con facies paffuta (incremento dell’adipe sottocutaneo facciale, estrogeno-sensibile) ed espressione femminile, ritenuti eunuchi veri (Fig. 1a, b). Invece, la più antica descrizione di alcuni segni e sintomi (quindi di un complesso sindromico) non associati a habitus eunucoide propriamente detto ma compatibili con un fenotipo clinico eunucoide, si trova nelle Arie, Acque e Luoghi, 22 di Ippocrate: “[…] gran parte degli Sciti diventano impotenti e attendono lavori femminili e vivono come le donne e parlano allo stesso modo: costoro sono chiamati Anarieis […] e come mi sembra insorgere tale malattia lo dirò chiaramente: a causa del cavalcare […]”. Qui impotenza, comportamento e timbro di voce femminili vengono ricondotti a una lesione testicolare (ipogonadismo) da traumatismo meccanico cronico. Pertanto, Ippocrate cerca una spiegazione per una malattia (la malattia degli Anarieis, definiti da Erodoto Enarei, sacerdoti ritenuti eunuchi, Storie I, 105, 4; IV, 67, 2) legando l’obiettività (voce e comportamento femminili, impotenza) a una causa (il cavalcare).
Invece, la più antica evidenza di proporzioni ossee eunucoidi è fornita dagli scheletri di 5 maschi adulti, di età stimata tra i 17 e i 22 anni, ritrovati nel 2002 a Doz Cabezas, sulla costa nord-orientale del Perù, appartenenti all’etnia Moche e risalenti al 450–550 d.C. [5, 6]. Si tratta di soggetti dotati di alta statura (11–13% in più rispetto la media della popolazione Moche), con rapporto AS/H \(\gg1\), differenza AS–H \(>2~\text{cm}\), rapporto segmento assile superiore (o lunghezza superiore, LS)/segmento assile inferiore (o lunghezza inferiore, LI) \(\leq0{,}9\) (Fig. 1c). Questi soggetti mostravano anche ritardo di ossificazione delle cartilagini di coniugazione epifisarie, estrema fragilità delle ossa lunghe da osteoporosi midollare e corticale, ipercifosi dorsale (da crollo vertebrale osteoporotico), linee di Harris (linee radioopache di arresto di crescita ossea, dal nome dell’anatomico del XX secolo dell’Università di Cambridge, Henry Albert Harris) numerose e pronunciate, specie alla tibia prossimale, tutte evidenze indicative di crescita scheletrica lenta e continua senza scatto puberale, come in assenza di steroidi gonadici associata a fasi di malnutrizione e/o stress psichico (Fig. 1d–f). Questi soggetti sarebbero stati “guerrieri rituali” (una specie di corazzieri del tempo) ma castrati, obbligati a rimanere piegati a lungo su di un ginocchio, con almeno un arto superiore a \(90^{\circ}\) (per reggere un’arma di rappresentanza), aspetto confermato da segni di artrosi nelle articolazioni del ginocchio e del gomito, inusuali per la giovane età.
Oltre 1000 anni più tardi, nel XVIII secolo, proporzioni somatiche, distribuzione adiposa e caratteri sessuali secondari compatibili con quelli dei bassorilievi Assiri e dei guerrieri giganti Moche sono rintracciabili in alcune vignette satiriche che rappresentano i cantanti maschi castrati nell’infanzia (7–9 anni), in auge per la loro voce acutissima nei teatri d’Opera europei e presso i cori del Vaticano dal XVII alla fine del XIX secolo. In questi disegni emerge il valgismo del ginocchio (c.d. genu valgum) (Fig. 1g), un segno tipico di fenotipo eunucoide maschile e talvolta presente anche nell’ipogonadismo femminile. È ritenuto dipendere da ipotonia dei muscoli antigravitari (estensori) e lassità legamentosa articolare, nel maschio come verosimile conseguenza del deficit di testosterone (T) e diidroT durante la pubertà, essenziali per la massa proteica muscolare e tendinea, mentre nella donna ipogonadica, anche adulta, per ridotta sintesi del collagene tendineo da ipoestrismo, come indica l’effetto trofico della terapia ormonale sostitutiva sui legamenti crociati del ginocchio nelle postmenopausa [7].
Un’altra caratteristica somatica emersa da una recente indagine post-mortem sullo scheletro riesumato del famoso cantante castrato del Settecento Carlo Boschi, detto Farinelli [8], è lo sviluppo di iperostosi frontale interna (IFI) (Fig. 1h). Questa condizione era stata per la prima volta descritta nello stesso periodo dall’anatomico e clinico Giovanni Battista Morgagni, inizialmente negli Adversaria Anatomica sexta (1719), in una donna incinta, e poi nel De Sedibus (1761), riferendosi al caso autoptico di una donna di 75 anni con obesità e irsutismo (Fig. 2a), da cui l’eponimo per l’IFI di “sindrome di Morgagni”, più tardi ribattezzata di “Morgagni-Stewart-Morel” in presenza di disturbi mentali. Oggi si ritiene che la proliferazione dell’osso corticale del tavolato interno possa conseguire a prolungata stimolazione estrogenica [9], come nell’iperestrismo ciclico della donna fertile e in quello relativo da aromatizzazione extragonadica degli androgeni surrenalici nel maschio castrato in età pre-pubere [10]. All’iperestrismo assoluto o relativo si assocerebbe iperleptinemia da distribuzione adiposa ginoide [9] ma con resistenza ipotalamica (come nell’obesità primaria) e resistenza insulinica, in grado di favorire sia incremento ponderale che iperandrogenismo post-menopausale. Dunque, l’IFI è un segno storicamente compatibile con un fenotipo clinico eunucoide, sia nel maschio che nella femmina.
Evoluzione storica dei quadri clinici di fenotipo eunucoide
Il fenotipo eunucoide a cavallo tra il XIX e il XX secolo
Basandosi su di uno specifico complesso sindromico (più ampio di quello dell’habitus eunucoide propriamente detto), per la prima volta nel 1894 il chirurgo britannico Joseph Griffiths [11] introdusse il termine eunucoide per descrivere due giovani maschi adulti (21 e 30 anni), massicci (spalle strette, pelvi ampia), con distribuzione adiposa ginoide, ginecomastia, assenza di barba, voce acuta, ipoplasia di pene, vescicole seminali, testicoli e prostata, questi ultimi due a prevalente struttura fibrosa con coartazione dei tubuli seminiferi e degli adenomeri ghiandolari (Fig. 2b). Non si trattava, dunque, di veri eunuchi, ma di soggetti che ne avevano numerose caratteristiche somatiche, se pur privi di habitus eunucoide propriamente detto. Similmente, nel 1900 J.F.F. Babinski, allievo di Charcot alla Salpetrière (come Pierre Marie), pubblicò il caso di un’adolescente di 17 anni con adiposità generalizzata di tipo ginoide, amenorrea primaria, immaturità dei caratteri sessuali secondari (cui corrispondeva ipoplasia dei genitali interni), genu valgum (Fig. 2c) e disturbi neurologici, in presenza di craniofaringioma [12]. In questo caso, l’ipogonadismo puberale di origine ipotalamo-ipofisaria configurava nella donna un quadro clinico con caratteristiche di fenotipo eunucoide ma, di nuovo, senza le caratteristiche antropometriche che definiscono un habitus eunucoide propriamente detto e per questo classificato nell’ambito delle sindromi adiposo-genitali à la Froelich/obesità ipotalamiche [13]. Dunque, i parametri scheletrici e di composizione corporea che definiscono oggi un habitus eunucoide emergono storicamente come un segno patognomonico imperfetto [1] per diagnosticare un fenotipo clinico eunucoide.
Effettivamente, a seguito dell’imponente studio sugli effetti somatici della castrazione nel sesso maschile, svolto sugli adepti della setta russa, cristiana ortodossa, degli Skoptzi praticanti la castrazione rituale in età pre-pubere, gli anatomici austriaci Julius Tandler e Siegfried Groz [14] introdussero per primi, nel 1910, la distinzione tra altezza o gigantismo eunucoide, caratterizzato da statura elevata e crescita sproporzionata degli arti inferiori e superiori rispetto al tronco, quantificabili con i rapporti AS/H e LS/LI (Fig. 2d, e), ed eunucoidismo corpulento o obesità eunucoide, dove mancava l’accrescimento staturale, le proporzioni corporee incluso il peso potevano variare e compariva la succulenza facciale (Fig. 2f). In questo modo veniva segnalata, per la prima volta, l’eterogeneità somatotipica che caratterizza fenotipi clinici eunucoidi differenti. Consistentemente, 3 casi adulti di tumore ipotalamo-ipofisario insorto prima dell’adolescenza e pubblicati da Cushing nel 1912 [15] erano compatibili con l’eunucoidismo corpulento di Tandler inclusa ipotricosi, genu valgum, ginecomastia, dita sottili e appuntite (da ridotto spessore periostale/corticale), ipoplasia prostatica e atrofia delle cellule di Leydig, da lui definiti typus femininus anche in relazione alla succulenza/morbidezza del volto da accumulo adiposo sottocutaneo (Fig. 2g). Inoltre, già nel 1906 Cushing aveva descritto 2 giovani donne adulte (16 e 26 anni) con massa extrasellare (forse 2 teratomi), che comprimeva l’ipofisi (ipopituitarismo), caratterizzate da abbondante pannicolo adiposo sottocutaneo, ipotricosi, ipoplasia genitale (definita infantilismo) e/o amenorrea e dita delle mani e dei piedi sottili/immature [16], confermando che era possibile identificare un corrispettivo femminile dell’eunucoidismo maschile corpulento di Tandler. Basandosi sui medesimi criteri semeiologici, nel 1916 Nicola Pende definì (secondo il principio della sindrome Ippocratica) l’eunucoidismo come sindrome da deficit di steroidi sessuali nel maschio e nella femmina, presente in una forma classica, ad inizio prima della pubertà, corrispondente alle forme congenite di ipogonadismo oggi note e in forme tardive, corrispondenti all’ipogonadismo acquisito (classificato, per la prima volta nel 1912, dal clinico viennese Wihelm Falta), anche nell’infanzia [17]. È da questa radice classificativa che deriva la sinonimia tra i termini eunucoidismo (e non eunuchismo, che era riservato alla castrazione vera) e ipogonadismo, quest’ultimo oggi di uso corrente.
Nel 1923, poi, l’internista austriaco Julius Bauer, per primo fece notare che l’uso dei quantificatori antropometrici relativi ad altezza e arti per la definizione di proporzioni corporee eunucoidi era soggetto a falsi positivi, in relazione ad aspetti etnici che riflettevano una “disposizione costituzionale”, ossia una base genetica [18]. Effettivamente, nel 2020 una rivalutazione di questi criteri ha mostrato che sarebbero più accurati valori di soglia basati sullo scostamento dalla loro deviazione standard o DS (positivo \(>1\) DS) nella popolazione di riferimento [19]. Tra il 1921 e il 1927, poi, studi del patologo di Heidelberg Walter Koch su 7 di 10 Skopzi durante l’occupazione tedesca della Romania nella I Guerra Mondiale [20] e dell’anatomico di Friburgo F. Wagenseil su 2 (casi 3 e 7) di 13 eunuchi facenti parte dei funzionari impiegati presso il palazzo del sultano ottomano di Costantinopoli, valutati alla fine del 1918 presso l’Ospedale della Croce Rossa tedesca a Istanbul [21], tutti con alta statura e proporzioni corporee eunucoidi, evidenziarono allargamento della sella turcica (Fig. 2h, i) e ipertrofia cromofoba dell’adenoipofisi, che oggi sappiamo dovuta a gonadotropi a ridotta affinità tintoriale o cellule da castrazione, per mancato feedback inibitorio di T e inibina B testicolare. La risposta ipertrofica/iperplastica dei gonadotropi ipofisari alla castrazione era, però, un dato noto ai patologi tedeschi sino dal 1905, sia nel maschio che nella femmina [22] e in quegli stressi anni Cushing [16], per primo riferì di un adenoma cromofobo dell’ipofisi sviluppatosi in una donna adulta annessiectomizzata all’età di 20 anni (Fig. 3a), introducendo il concetto di adenoma ipofisario da feedback (sequenza iperplasia-adenoma) in corso di ipogonadismo primitivo. Sebbene questo meccanismo sia ancora dibattuto, in relazione alla monoclonalità dei gonadotropinomi, il raddoppiamento di frequenza degli adenomi non funzionanti (cromofobi della linea gonadotropa) oltre i 65 anni indipendentemente dal sesso [23] suggerisce che, nel maschio, l’allargamento della sella turcica con l’invecchiamento [24] è segno di un fenotipo clinico eunucoide (oggi definito late-onset hypogonadism, LOH) in assenza di habitus eunucoide propriamente detto.
Nel primo trentennio del Novecento, poi, l’allargamento della sella turcica fu considerato segno patognomonico di un fenotipo con cute secca, ispessita, rugosa, talvolta similittiosica (definito, impropriamente, senilismo), proporzioni corporee eunucoidi ma statura nella norma o ridotta, che si presentava in forma congenita e spesso familiare in adolescenti e adulti, tipico (ma non esclusivo) del sesso maschile, caratterizzato da dismorfismi cranio-oro-faciali (difetti della linea mediana, come il palato ogivale) incluso prognantismo mandibolare, mani e piedi con metacarpali corti, compatibili con brachidattilia/acrodisostosi, ipercifosi dorsale, micropene, ipoplasia testicolare e displasie ectodermiche (disgenesia dentale, capelli ispidi e duri), descritto per la prima volta nel 1897 da Gaetano Rummo e Luigi Ferrannini [25] con il termine di geroderma genitodistrofico (Fig. 3b), oggi forse interpretabile (almeno nelle forme “classiche”) come ipogonadismo ipogonadotropo normosmico (v. sotto), dove è documentabile anche allargamento della sella turcica con o senza sella vuota [26]. Differentemente, l’assenza di iperplasia ipofisaria/adenoma fu considerata caratteristica di quei fenotipi eunucoidi con ambiguità genitale [17] che, oggi, potremmo classificare come disordini/differenze dello sviluppo sessuale (acronimo DSD) o cromosomici (c.d. ermafroditismo vero, chimere 46XX/46XY; disgenesia gonadica 45X/46XY) o 46 XY (c.d. pseudoermafroditismo maschile, più frequentemente da ridotta sintesi/azione di T per cause genetiche ed enzimatiche, disgenesia/regressione testicolare, irresponsività testicolare a LH o hCG) (Fig. 3c) o 46 XX (c.d. pseudoermafroditismo femminile, da virilizzazione fetale/fetoplacentare/materna, tipicamente iperplasia congenita del surrene).
Sempre di quel periodo [21, 27] è la prima evidenza iconografica di ipercifosi dorsale e ginecomastia vera negli eunuchi Skopzi e in quelli del Palazzo imperiale di Pechino (Fig. 3d, e), che resta tutt’ora un segno obiettivo rilevabile in alcuni fenotipi clinici eunucoidi del maschio, mentre nella femmina “eunucoide” (insufficienza ovarica congenita primitiva e secondaria) veniva descritta ipoplasia mammaria. Infine, in questi stessi studi anche l’ipotrofia prostatica veniva confermata come un ulteriore segno di fenotipo eunucoide nel maschio. Pertanto, durante la prima metà del Novecento il termine eunucoidismo è stato riferito alle caratteristiche sia morfologiche che funzionali, ossia al fenotipo, del maschio e della femmina con gonadi non in grado di produrre steroidi sessuali in modo adeguato.
Principali sindromi endocrine con fenotipo clinico eunucoide tra la II Guerra Mondiale e il XXI secolo
Tra la II Guerra Mondiale e gli inizi del 2000 il principio dell’eunucoidismo (con o senza habitus eunucoide propriamente detto) ha portato alla descrizione di alcune sindromi quali quelle di Kallman (maschio e femmina), eunuco fertile e Klinefelter (maschio), resistenza agli estrogeni/deficit di aromatasi (maschio e femmina). Al di là di quanto accennato per i casi di Rummo e Ferrannini alla fine dell’Ottocento (v. sopra), la prima evidenza certa di fenotipo clinico eunucoide compatibile con ipogonadismo ipogonadotropo anosmico/normosmico, da mutazione mono/oligogenica a espressività/penetranza/ereditarietà variabile (X-linked o autosomica recessiva o dominante) conducente a deficit di migrazione/sviluppo/attivazione dei neuroni a GnRH o riduzione di sintesi/secrezione/azione del GnRH [28], si deve al neurologo svizzero Georges Gustave Louis de Morsier [29]. Nel 1927 de Morsier pubblicò il caso di un maschio che, pur con bassa statura e normopeso (\(\text{BMI}=21{,}6~\text{kg/m}^{2}\)), presentava proporzioni corporee eunucoidi, ipercifosi dorsale, ipoplasia genitale, assenza di annessi piliferi, ginecomastia, bacino femminile, prognatismo mandibolare, IFI (Fig. 3f–h) e ritardo mentale, all’autopsia privo di bulbi e tratti olfattivi e con tubercoli olfattivi ipoplasici (Fig. 3i, l). Senza alcuna consapevolezza di questa osservazione, nel 1944 lo psichiatria e genetista tedesco Franz Joseph Kallmann descrisse, a New York, 3 famiglie di origine russa in cui 12 individui (11 maschi, 1 femmina) presentavano, in larga misura, statura medio-bassa con normo-sovrappeso, genu valgum, distribuzione adiposa ginoide e, nei maschi, ginecomastia associati con anosmia/sincinesia/cecità ai colori/ritardo mentale [30]. I maschi, posti in terapia sostitutiva androgenica per qualche anno, sviluppavano i genitali esterni, gli annessi piliferi e modificavano la distribuzione adiposa (Fig. 3m). Oggi, anche nel fenotipo “eunucoide” femminile (immaturità dei caratteri sessuali secondari) della sindrome (classificata tra i DSD) viene indicata una terapia sostitutiva che, in relazione all’età, associa gli estro-progestinici per la maturazione sessuale e la prevenzione dell’osteoporosi con la somministrazione pulsatile di GnRH per l’induzione di fertilità.
Il 7 ottobre 1949, poi, l’endocrinologo argentino Rodolfo Pasqualini (Fig. 3n), allievo del Premio Nobel argentino per la Medicina o Fisiologia Bernardo Houssay, presentò alla Società Argentina di Endocrinologia, a Buenos Aires, il caso di un maschio di 24 anni, di statura media ma con proporzioni corporee fortemente eunucoidi (\(\text{AS/H} = 1{,}11\); \(\text{AS-H} = 19~\text{cm}\); \(\text{LS/LI} = 0{,}72\)), lipomastia (pseudoginecomastia), assenza di barba, ipotricosi, ipoplasia peniena ma testicoli di volume nella norma, che alla biopsia testicolare mostravano spermatogenesi attiva in 82% dei tubuli seminiferi mentre le cellule interstiziali di Leydig erano scarse e prive della birifrangenza tipica degli steroidi androgeni [31]. Effettivamente, i 17-ketosteroidi (17KS)/urine 24 h erano al di sotto del limite inferiore di norma per sesso ed età (4 e 11 mg vs 10–25 mg/24 h), rispondevano prontamente alla stimolazione con hCG (\(\text{KS} = 13\text{--}22~\text{mg}/24~\text{h}\)) mentre l’FSH urinario, dosato con saggio di bioattività (tipo Zondek), risultava sempre nella norma (\(>6\) MU o mouse units/24 h, ossia quantità di ormone urinario in grado di stimolare la risposta utero-ovarica nel topo). Cinque pazienti, di cui 4 normopeso e 1 obeso, analoghi al caso di Pasqualini per proporzioni somatiche solo in due casi ma tutti simili per genitali esterni, ipotricosi (sebbene di grado differente), 17KS e biopsia testicolare (Fig. 3o, p), provata in 3 casi anche dal numero degli spermatozoi nell’eiaculato, ginecomastia vera in 1 solo caso e 3/5 con LH urinario (dosato semiquantitativamente come risposta della fosfatasi alcalina prostatica nel ratto ipofisectomizzato iniettato con urine delle 24 h del soggetto) inferiore ai limiti (2, invece, lo mantenevano nella norma), furono pubblicati nel 1953 e definiti “sindrome dell’eunuco fertile” [32], termine ancora in uso (meno utilizzato quello di sindrome di Pasqualini). Dunque, anche in questa sindrome l’habitus eunucoide propriamente detto non era documentabile. Oggi sappiamo trattarsi di una variante dell’ipogonadismo ipogonadotropo, da deficit isolato di LH, che può realizzarsi per mutazione omo- o eterozigote del gene per la catena su 19q13 (OMIM 228300).
Nel 1942, invece, uno degli specializzandi di Fuller Albright al MGH di Boston, Harry Klinefelter, studiò insieme al suo collega Edward Refeinstein (dell’omonima sindrome da resistenza androgenica parziale, oggi DSD 46XY) il caso di un ragazzo di colore, George Bland, di 18 anni, entrato all’MGH nel settembre 1941 e dimesso nel giugno 1942, dopo mastectomia cosmetica per ginecomastia bilaterale. Il paziente, di statura ai limiti superiori, presentava proporzioni corporee eunucoidi senza genu valgum, assenza di barba ma annessi piliferi nella norma, normale sviluppo laringeo (voce maschile), ginecomastia marcata, pene e prostata di dimensioni compatibili con l’età ma testicoli fortemente ipoplasici (1–1,5 cm max diametro), FSH urinario molto elevato (640–840 MU/24 h), 17KS urinari inferiori alla norma (4,3–9 mg/24 h), estrogeni urinari (c.d. estrina, corrispondente alle forme coniugate di estrone – E1, estradiolo – E2 ed estriolo) nei limiti, biopsia testicolare con ialinizzazione dei tubuli seminiferi ma cellule di Leydig nella norma (Fig. 4a–c). Questo fenotipo clinico, simile per proporzioni somatiche (meno per distribuzione pilifera) a quello originale dell’eunuco fertile (v. sopra) ma opposto per sviluppo dei genitali esterni, struttura e funzione testicolare, inclusa aspermia/azoospermia/sterilità, fu individuato in ulteriori 8 pazienti, studiati tra il 1934 e il 1942, di età 17–38 anni [33], in maggioranza di statura medio-alta di cui alcuni privi di proporzioni corporee eunucoidi (Fig. 4d) e principalmente imputato all’assenza di inibina tubulare (Fig. 4e). In tutti questi casi la sella turcica risultava nella norma. Tre anni dopo fu osservato che la sindrome poteva manifestarsi con 3 differenti fenotipi (Fig. 4f), di cui i due con proporzioni somatiche eunucoidi potevano anche non presentare ginecomastia (assente in 25% dei casi) [34]. Nel 1956, poi, fu descritto il primo caso della sindrome (maschio, 67 anni) con IFI, che presentava incremento adenoipofisario di cellule chiare, debolmente basofile ed eosinofile, dette “amfofile” [35], corrispondenti alle cellule da castrazione [22]. Tre anni più tardi fu dimostrato che si trattava di una disgenesia testicolare con cariotipo XXY [36], da allora definita sindrome di Klinefelter (SK). Oltre 20 anni dopo fu riportato che 2/3 pazienti adulti con SK avevano allargamento della sella turcica (Fig. 4g), confermando che l’ipogonadismo primitivo poteva associarsi a risposta ipertrofica/iperplastica compensatoria dell’adenoipofisi, come nel caso degli eunuchi veri di Tandler, Khock e Wangenseil e di quello femminile di Cushing del 1912. Oggi, in relazione al fatto che questi pazienti talvolta presentano \(\text{AS/H} \leq1\) (pure con \(\text{LS/LI} <0{,}9\)) potremmo dire che il fenotipo adulto classico della SK è più simile all’eunucoidismo corpulento di Tandler (v. prima) mentre quello non classico ricade nel longitipo di Viola ma con ipoplasia testicolare. La sindrome viene attualmente classificata tra i DSD cromosomici, includendo mosaicismi o aneuploidie complesse.
Infine, nel 1994 fu pubblicato il caso di un maschio di 28 anni, di alta statura (204 cm), obesità di grado I (\(\text{BMI} = 30{,}5~\text{kg/m}^{2}\)) ma con proporzioni somatiche eunucoidi (\(\text{AS/H} = 1{,}04\); \(\text{AS/H} = 9~\text{cm}\); \(\text{LS/LI} = 0{,}89\)), genu valgum, età ossea < età cronologica (15 vs 28 anni), cartilagini di coniugazione non ossificate (linee epifisarie aperte), che indicavano una crescita continua senza maturazione puberale (Fig. 4h, i), osteoporosi (Z-score \(<3{,}1\) DS) ma normali caratteri sessuali secondari inclusi pene, testicoli e prostata e assenza di ginecomastia. Si associava testosteronemia totale e libera nella norma (445 e 16 ng/dl, rispettivamente), iperestrismo (\(\text{E}_{2} >200~\text{pg/ml}\)), gonadotropine e makers di turnover osseo elevati (FSH e LH \(\geq30~\text{mUI/ml}\); osteocalcina e FA ossea \(>20~\text{ng/ml}\)), vitalità spermatica insufficiente (18%). Poiché la terapia con estrogeni transdermici per 6 mesi non modificò il turnover osseo né le proteine leganti \(\text{E}_{2}\) (SHBG, TBG, CBG), fu ipotizzata una resistenza estrogenica, individuata in una mutazione omozigote (sostituzione T/C nel codone 157) sull’esone 2 del gene per (Fig. 4l), che produceva una perdita di funzione, poi confermata da trasmissione autosomica recessiva per eterozigosi nei genitori consanguinei [37].
Appena un anno dopo, il gruppo di Melvin Grumbach, a San Francisco, pubblicò una coppia di fratelli (di origine italiana) nati da una famiglia con precedenti di consanguineità, dove un maschio di 24 anni presentava alta statura (204 cm, padre e parenti maschi tutti di statura \(\geq190~\text{cm}\)), obesità di grado Il (\(\text{BMI} = 35{,}5\)) ma proporzioni corporee eunucoidi incluso genu valgum (Fig. 4m). Caratteri sessuali secondari, markers di turnover osseo, densitometria scheletrica e funzione testicolare erano analoghi a quelli del caso precedente, ma gli estrogeni serici si mantenevano bassissimi (\(\text{E}_{1}\) ed \(\text{E}_{2} <7~\text{pg/ml}\)), come da assente conversione aromatasica [38]. Effettivamente, la sorella di 27 anni era stata studiata, sino dalla nascita (altezza \(>1\) DS a 22 mesi), per aspetti di virilizzazione postnatale (genitali ambigui) non da iperplasia congenita del surrene, proseguiti in fase puberale con acne, ipoplasia mammaria, lieve ritardo di maturazione ossea, elevazione degli androgeni e loro precursori (17OHP, androstenedione, T) di origine ovarica (insensibili ai test provocativi con ACTH e desametazone), gonadotropine elevate e ovaie multicistiche a preponderante biosintesi androgenica, come da deficit di conversione aromatasica P450 (gene CYP19), configurando un fenotipo adulto femminile (oggi classificato come DSD 46XX) già descritto in un altro caso, dallo stesso gruppo, tra il 1993 e il 1994, sempre a trasmissione autosomica recessiva [39, 40]. Sia nel caso maschile che nei due casi femminili, tutti portatori di una mutazione puntiforme in CYP19, la terapia sostitutiva con estrogeni equini coniugati (combinati con progesterone e iniziati in pubertà nella femmina, per mantenere la ciclicità ed evitare la crescita incontrollata della statura) migliorarono il profilo metabolico, favorirono la chiusura epifisaria e ridussero la multicistosi ovarica, indicando per la prima volta un ruolo morfogenetico degli estrogeni anche nel maschio, in particolare sul controllo della crescita ossea (Fig. 4n) e, complessivamente, sulla composizione corporea.
Conclusioni
I fenotipi clinici eunucoidi (che oggi si preferisce definire ipogonadici) rappresentano da 2500 anni esempi di “sindrome” nell’accezione ippocratica, primariamente nel maschio ma anche nella femmina. Non possono essere assimilati all’habitus eunucoide (propriamente un complesso sindromico) che, per definizione, considera solo statura, proporzioni scheletriche assili e appendicolari e distribuzione delle masse grassa e magra, incluso il peso corporeo. In particolare, l’evidenza storica mostra che la definizione corrente di habitus eunucoide è inapplicabile, in termini rigorosi, alla loro identificazione. Infatti, altre caratteristiche scheletriche, il deficit di caratteri sessuali primari e/o, paradossalmente, anche l’eccesso di alcuni secondari (nel maschio: genitali esterni, peli facciali, pubici, ascellari, laringe/cartilagine tiroide – voce, muscolatura scheletrica, adipe addominale e dorsale; nella femmina: mammella, genitali esterni, peli pubici e ascellari, dimensioni e forma del bacino, adipe gluteofemorale e mammario), i livelli di ormoni dell’asse riproduttivo e/o il profilo metabolico permettono di configurare uno specifico fenotipo clinico eunucoide. Su questi presupposti sono state descritte, nel secolo scorso, alcune tra le principali sindromi di ipogonadismo ipo- e ipergonadotropo, che presentano notevole variabilità somatotipica e dimorfismo sessuale.
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Ringraziamenti
Si ringraziano Stefano Zucchini e Federico Baronio, U.O. di Pediatria Pession e Programma di Endocrinologia Pediatrica, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche IRCCS, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna, Italia per puntualizzazioni sulla classificazione dei disturbi dello sviluppo sessuale e l’interpretazione del fenotipo di Pende con ambiguità genitale. Parte di questi dati hanno costituito materiale didattico on-line per l’insegnamento di Medicina Rigenerativa in Endocrinologia, Corso di Laurea Magistrale in Biotecnologie Mediche, Veterinarie e Farmaceutiche dell’Università di Parma, accessibile al portale dell’insegnamento sulla piattaforma Elly-UNIPR. Sono stati inoltre presentati nell’ambito del seminario monotematico Antropometria Clinica della Composizione Corporea nell’Iponutrizione in occasione del Webinar nazionale Nutrizione, Composizione Corporea e Stili di vita promosso dal Corso di Laurea in Scienze Motorie, Sportive e Benessere dell’Uomo dell’Università di Sassari, nel giugno 2021.
Funding
Open access funding provided by Università degli Studi di Parma within the CRUI-CARE Agreement.
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Conflitto di interesse
L’autore Roberto Toni dichiara di non avere conflitti di interesse.
Consenso informato
Lo studio presentato in questo articolo non ha richiesto sperimentazione umana.
Studio sugli animali
L’autore di questo articolo non ha eseguito studi sugli animali.
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Nota della casa editrice
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Questo articolo è dedicato alla memoria del Prof. Paolo Marrama, che chi scrive ebbe il privilegio di conoscere come suo Direttore nella Scuola di Specializzazione in Endocrinologia presso l’Università di Modena e di cui serba un illuminato ricordo.
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Toni, R. Habitus eunucoide e fenotipi clinici eunucoidi. L'Endocrinologo 22, 457–467 (2021). https://doi.org/10.1007/s40619-021-00962-w
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