Commento a:

Female physicians and the future of endocrinology.

E. Pelley, A. Danoff, D.S. Cooper, C. Becker.

J Clin Endocrinol Metab (2016) 101:16–22

Nel primo numero del 2016 del Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism, Pelley et al. hanno trattato un argomento di grande attualità e sicuro interesse: se in futuro gli endocrinologi saranno prevalentemente donne, quali saranno le loro prospettive? Questo interrogativo nasce dalla considerazione che negli Stati Uniti d’America la percentuale femminile dei neo-specializzandi in endocrinologia è in costante crescita (fino al 74% nel 2014). Questa prevalenza di genere, tuttavia, sarebbe imputabile prevalentemente a un ridotto interesse del genere maschile verso questa specialità, attribuibile soprattutto a considerazioni di carattere occupazionale ed economico, più che a una maggiore propensione delle donne. Che la specializzazione in endocrinologia abbia attratto meno medici negli ultimi anni è dimostrato dal fatto che negli USA mancano attualmente 1500 endocrinologi e si prevede che la carenza arriverà a raddoppiare nel 2025, a fronte delle crescenti esigenze assistenziali per le malattie endocrine.

Mediante una ricerca su PubMed degli studi pubblicati fra il 2000 e il 2015 utilizzando le parole chiave “female physician” e “physician gender”, Pelley et al. hanno analizzato aspetti quali la soddisfazione professionale, la qualità del rapporto medico-paziente, l’equilibrio fra vita professionale e vita privata (incluso l’aspetto della maternità), le prospettive di guadagno e le opportunità di successo nel mondo accademico, per sviscerare i problemi cui potrebbero andare incontro le donne endocrinologo e che, d’altra parte, si ripercuoterebbero anche sui loro colleghi maschi. Per esempio, la segregazione di genere nel contesto professionale (cioè un’esagerata prevalenza femminile sul luogo di lavoro) non solo aumenta il rischio di burnout, alterando l’equilibrio fra vita professionale e vita privata, ma potrebbe indirettamente diminuire il potere contrattuale di tutta la categoria compromettendone le già precarie prospettive economiche, come dimostrato in altri contesti professionali ad elevata specializzazione. Un problema particolare, inoltre, è rappresentato dall’insufficiente rappresentanza femminile nell’attuale leadership accademica, che potrà penalizzare ulteriormente l’endocrinologia sia nel contesto culturale che socio-politico. Malgrado la prevalenza di genere, infatti, le opportunità di carriera universitaria e le possibilità di accesso alle posizioni apicali in campo accademico sono ridotte per le giovani ricercatrici, che abitualmente dedicano alla famiglia molto più tempo dei colleghi maschi. Infine, lo squilibrio di genere rappresenta un bias persino nella metodologia di valutazione del grado di soddisfazione dei pazienti, che in futuro avrà sempre più rilevanza nell’attribuzione delle incentivazioni salariali.

In conclusione, secondo Pelley et al. lo squilibrio di genere potrebbe compromettere in futuro la vitalità dell’endocrinologia, con ripercussioni individuali e collettive. Tali effetti richiedono la tempestiva adozione di misure preventive capaci di governare i cambiamenti. La transizione verso una specialità medica prevalentemente al femminile rappresenta quindi una grande opportunità non priva di difficoltà, che necessita di adeguata attenzione.