Introduzione

Lo iodio è un micronutriente indispensabile alla sintesi degli ormoni tiroidei, Tiroxina (T4) e Triiodotironina (T3), del cui peso molecolare costituisce rispettivamente il 65 e il 59%. Assunto esclusivamente con gli alimenti (crostacei, molluschi e pesci di mare, latte, latticini, uova e cereali ne rappresentano la fonte principale), viene escreto con le urine per il 90%. La misura della ioduria (UIC) è pertanto il più affidabile indicatore della nutrizione iodica. Una UIC compresa fra 100 e 299 mcg/L indica uno stato di iodosufficienza, una UIC compresa fra 50 e 99 mcg/L una carenza lieve, moderata fra UIC 49 e 20 mcg/L e severa se <20 mcg/L. Il fabbisogno giornaliero di iodio è variabile secondo le diverse età della vita (Tabella 1) ed è insufficiente in alcune aree del pianeta. Solo 15 anni dopo l’introduzione della profilassi iodica volontaria con sale fortificato con iodio (30 mg/kg), il nostro paese ha raggiunto la sufficienza nutrizionale di iodio [1]. Il sale iodato è quindi un alimento che può essere impiegato fin dall’infanzia, dopo il primo anno di vita, alla quantità giornaliera di 3 g/die (5 g/die per gli adulti). Questa dose deve tener conto che il 30% circa di questo micronutriente si disperde con la cottura dei cibi, a meno di non utilizzare la formulazione cosiddetta “protetta”.

Tabella 1 Fabbisogno giornaliero di iodio nelle diverse fasce di età (adattata da [19])

Carenza iodica in età fetale, neonatale e nella prima infanzia

La carenza di iodio, sia nel feto che nel bambino, può essere responsabile di uno sviluppo neuro-cognitivo patologico e di una tireopatia, con ipotiroidismo e gozzo. Nel mondo occidentale è improbabile osservare le gravi sequele neurologiche e tiroidee di una severa carenza iodica, ma nei casi in cui questa sia parziale, i bambini possono manifestare disturbi comportamentali, deficit di attenzione e iperattività (ADHD), autismo e quoziente intellettivo (QI) significativamente più basso rispetto ai coetanei iodo-sufficienti [2].

Durante il periodo neonatale e la prima infanzia vi è un maggior rischio di carenza iodica poiché il fabbisogno di iodio rispetto al peso corporeo è maggiore e le riserve intra-tiroidee di questo micronutriente sono ridotte. I neonati alimentati con latte materno difficilmente manifesteranno una carenza di iodio se l’introito alimentare materno sarà adeguato a coprire il fabbisogno giornaliero. Una recente revisione della letteratura ha evidenziato che la concentrazione di iodio nel latte materno è fortemente influenzata dalla dieta, da fattori ambientali, dalla supplementazione con sale iodato e, non ultimo, dall’accuratezza nelle determinazioni della ioduria. È stato dimostrato che una concentrazione di iodio nel latte materno di 150 mcg/litro nei primi sei mesi di vita sia sufficiente ad assicurare un adeguato apporto iodico nel lattante e a prevenire le conseguenze legate alla carenza [3].

I latti formulati reperibili sul mercato sono adeguatamente arricchiti di iodio; pertanto, i neonati non allattati al seno difficilmente potranno andare incontro a una carenza iodica.

Quando viene abbandonata l’alimentazione lattea esclusiva, intorno ai sei mesi di vita, l’apporto di iodio può tuttavia diventare insufficiente, soprattutto qualora l’alimentazione del bambino non preveda, oppure preveda in quantità ridotte, alimenti a elevato contenuto di iodio.

Lo iodio nelle diete vegane e vegetariane

La prevalenza di diete restrittive, principalmente vegetariane e vegane, è in netto aumento in Europa e in altri paesi occidentali. Mentre nella popolazione adulta tali diete hanno mostrato benefici nel ridurre il rischio di patologie croniche (diabete di tipo 2, obesità e malattie cardiovascolari), una dieta vegana non rigorosamente controllata da un esperto nutrizionista avviata nella prima infanzia può condizionare negativamente la crescita staturo-ponderale e neurocognitiva del bambino, determinando un intake inadeguato non solo di iodio, ma anche di acidi grassi a catena lunga, ferro, zinco, vitamina D, calcio e vitamina B12 [4, 5]. Il contenuto di iodio negli alimenti di origine vegetale è infatti inferiore rispetto a quello di origine animale a causa della bassa concentrazione di iodio nel suolo. Uno studio che ha valutato lo stato nutrizionale di iodio in soggetti con diete alternative (15 vegani e 31 vegetariani), ha riscontrato un’escrezione urinaria media di iodio significativamente ridotta in vegani e vegetariani, con tassi di prevalenza di carenza di iodio del 26% nei vegetariani e dell’80% nei vegani, contro il 9% nel gruppo a nutrizione mista [6]. Una carenza iodica, dunque, si può verificare maggiormente nei vegani di stretta osservanza e la gravidanza può rappresentare una fase particolarmente suscettibile in tal senso, sia per la madre che per il bambino. Sebbene l’ipotiroidismo franco nel neonato sia raro, è descritto in letteratura il caso di un ipotiroidismo da carenza iodica in un figlio di madre vegana [7]. Un altro report della letteratura riporta il caso di un bambino di due anni d’età, figlio di genitori vegani, che ha sviluppato ipotiroidismo solo dopo lo svezzamento; prima di allora, infatti, l’introito iodico veniva garantito dall’allattamento [8]. In conclusione, la dieta vegana viene ammessa dalle principali società internazionali di nutrizione, purché sia supervisionata da un nutrizionista esperto che prescriva un’adeguata integrazione di vitamine e micronutrienti; per quanto attiene lo iodio, si utilizzano integratori che riescano a coprire il fabbisogno giornaliero, sale iodato o alcuni tipi di alghe.

Allergie alimentari e carenza iodica

L’allergia alimentare è una delle quattro manifestazioni della “marcia atopica”, insieme a eczema, rinite allergica e asma. A seconda dei meccanismi immuno-fisiopatologici implicati, può essere classificata come IgE mediata (orticaria, anafilassi e pollen-food syndrome), non-IgE mediata (proctocolite allergica, enterocolite, emosiderosi polmonare e malattia celiaca) o mista (esofagite eosinofila e dermatite atopica). A livello planetario, le allergie alimentari sono descritte nel 2,5–6% dei bambini e il loro trattamento, nella grande maggioranza dei casi, consiste nella dieta di esclusione. Le allergie alimentari si manifestano solitamente nei primi tre anni di vita, un periodo dell’infanzia caratterizzato da una rapida crescita e sviluppo. Pertanto, una inadeguata dieta di esclusione può determinare carenza di vitamine, minerali, anemia, rachitismo e deficit di crescita [9]. La maggior parte degli studi che hanno analizzato le carenze nutrizionali nei bambini con allergia alimentare si è focalizzata sulle vitamine (A, D, E), acido folico, ferro, zinco e B12, risultati tutti carenti, pur con differente severità [10]. Questa è una considerazione importante, perché in passato, nella valutazione dello stato nutrizionale dei bambini allergici agli alimenti, spesso non sono stati inclusi nutrienti che effettivamente poi sono risultati carenti, come lo iodio. In letteratura sono descritti casi di ipotiroidismo e tireopatie secondari a insufficiente apporto di iodio [11, 12]; vogliamo ricordare, in particolare, il caso di un bambino di 6 anni affetto da allergie alimentari multiple il quale ha sviluppato una tireopatia con gozzo e ipotiroidismo secondario a una dieta restrittiva e ricca di tiocianati [13]. Recentemente è stato riportato il caso di un ragazzo affetto da allergie alimentari multiple che, dall’età di 6 anni, aveva eliminato dalla dieta il pesce e altri alimenti ritenuti allergizzanti e, successivamente, anche gli integratori polivitaminici-minerali. Anche questo ragazzo ha sviluppato una tireopatia con gozzo e ipotiroidismo da carenza di iodio [14]. Queste situazioni sono reversibili con la reintroduzione di una dieta bilanciata e un sufficiente apporto iodico, oltre alla terapia farmacologica.

Un rilevante problema nella pratica clinica è rappresentato dal fatto che, in molti casi, le allergie alimentari sono soltanto presunte sulla base di una sintomatologia allergica insorta dopo l’assunzione di alimenti potenzialmente allergizzanti. Queste situazioni sono molto più frequenti rispetto alle reali allergie alimentari, ovvero quelle diagnosticate con procedure specifiche e in particolare con la oral food challenge. In entrambi i casi, tuttavia, si procede quasi sempre con una dieta di esclusione e questa, se non perfettamente bilanciata e adeguatamente integrata, può favorire l’insorgere di una carenza nutrizionale, di iodio in particolare, perché i primi alimenti che vengono esclusi sono proprio quelli a maggior contenuto di questo micronutriente (Tabella 2).

Tabella 2 Contenuto di iodio nei più comuni alimenti allergenici espresso in microgrammi per chilogrammo di alimento fresco (adattata da [20])

Risulta pertanto fondamentale che i bambini con allergie alimentari multiple siano considerati a rischio per una carenza di iodio, quindi sottoposti regolarmente a valutazioni nutrizionali e a un’adeguata integrazione di vitamine e micronutrienti. La patogenesi della carenza nutrizionale indotta dalla dieta da esclusione e le sue possibili conseguenze sono illustrate nella Figura 1 [15].

Fig. 1
figure 1

Dieta di esclusione: patogenesi e conseguenze di una carenza nutrizionale (da [15])

Nelle prime età pediatriche, soprattutto, l’allergia alle proteine del latte vaccino (CMPA) è una condizione con la quale il pediatra si deve spesso confrontare. Si tratta di una reazione di ipersensibilità provocata da specifici meccanismi immunologici al latte vaccino, le cui proteine possono essere direttamente ingerite assumendo latte o formule adattate oppure passate al lattante attraverso il latte materno. Pertanto, sia i lattanti nutriti con latte formulato, sia quelli allattati esclusivamente al seno possono sviluppare CMPA. L’incidenza di tale condizione durante il primo anno di vita è stimata essere dal 2 al 7,5% e rappresenta l’allergia alimentare più comune nei bambini di età inferiore ai 3 anni. I bambini con allergia alle proteine del latte vaccino accertata devono evitare tutti i prodotti lattiero-caseari; deve essere quindi considerata dal pediatra la possibilità che si instauri una carenza nutrizionale e di iodio in particolare.

Uno studio osservazionale norvegese che ha incluso 57 bambini di età inferiore a 2 anni con sospetta allergia alle proteine del latte vaccino (sospetto basato sulla riduzione dei sintomi in seguito all’esclusione delle proteine del latte vaccino dalla dieta) ha dimostrato che i bambini con CMPA che erano allattati al seno avevano un rischio superiore di carenza iodica, con una UIC media di 86 microgrammi/L, e una prevalenza di carenza del 58% rispetto a coloro che erano stati nutriti con una dieta di combinazione (latte materno e formula ipoallergenica, UIC media di 172 microgrammi/L) o dieta svezzata (UIC media di 175 microgrammi/L) [16]. Questo studio è il primo che ha evidenziato un aumento del rischio di sviluppare una carenza di iodio nei bambini con una dieta di eliminazione per CMPA, in particolare se la fonte primaria di nutrienti è il latte materno. Pur considerando alcuni limiti di questo studio e la necessità di ulteriori evidenze scientifiche, resta il messaggio per i pediatri circa l’importanza di considerare i bambini con CMPA potenzialmente a rischio di sviluppare una carenza di iodio. Dovranno pertanto essere particolarmente efficaci, in questi casi, i suggerimenti alimentari e gli interventi dietetici durante l’infanzia, in primis l’ottimizzazione della dieta materna e l’integrazione con iodio verificando altresì il contenuto di questo micronutriente nelle formule ipoallergeniche.

Per quanto riguarda l’alimentazione complementare e quella delle età successive nei bambini affetti da CMPA, l’esclusione dalla dieta di alimenti allergizzanti, ricchi di iodio, deve essere compensata dall’utilizzo, laddove possibile, di sale iodato e, quando questo non possa essere utilizzato, da integratori alimentari con contenuto di iodio adeguato alle diverse fasce di età.

In sintesi, i pediatri che assistano bambini con allergie alimentari, soprattutto multiple, dovrebbero ottenere peso e lunghezza/altezza ad ogni valutazione clinica, effettuare attenta anamnesi alimentare e, laddove si intravedano possibilità di sviluppo di iodocarenza, rivolgersi a un nutrizionista che valuti la necessità di integrazioni adeguate. Molti paesi hanno sviluppato database nazionali che includono informazioni sul contenuto di iodio di alimenti, bevande, sali e altri componenti alimentari. In Italia, il database consultabile online è quello fornito dalla Banca Dati di Composizione degli Alimenti per Studi Epidemiologici in Italia (BDA) [17].

Per quanto attiene lo sviluppo di carenza iodica in bambini e adolescenti con celiachia o malattie infiammatorie intestinali, i dati in letteratura sono estremamente poveri.

Uno studio che ha valutato lo stato di iodosufficienza e la funzionalità tiroidea in adulti con malassorbimento intestinale non ha riscontrato un basso apporto o una diminuzione dell’escrezione urinaria del minerale, diversamente da quanto inizialmente ipotizzato dagli stessi autori dello studio [18]. Tuttavia, al fine di evitare possibili carenze nutrizionali in condizioni di malassorbimento (malattie infiammatorie intestinali, celiachia non trattata con dieta aglutinata), sarebbe utile un monitoraggio attento con periodica anamnesi alimentare e valutazioni nutrizionali, al fine di sopperire prontamente a un eventuale apporto insufficiente di iodio.

Conclusioni

In conclusione, risulta fondamentale che in tutte le condizioni che prevedano una limitazione e/o l’eliminazione di alcuni alimenti nella dieta, soprattutto nei casi di vera o presunta allergia alimentare, il bambino venga attentamente monitorato dal punto di vista auxologico e nutrizionale, al fine di riconoscere e trattare tempestivamente i soggetti a rischio per carenze nutrizionali e di iodio in particolare, prevenendo in tal modo le conseguenze patologiche che da queste potrebbero derivare.

Il pediatra dovrà essere particolarmente vigile in caso di bambini e adolescenti che seguono diete con esclusione parziale o totale di alimenti di origine animale. Queste pratiche non devono essere demonizzate a priori, ma è indispensabile la supervisione di un nutrizionista esperto per integrare la dieta con i micronutrienti possibilmente carenti, iodio in primis.