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Assicurarsi: una visione della “finis monarchiae” dai limiti dell’Impero. Considerazioni intorno a Carlo Michelstaedter

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Abstract

In our paper we will discuss the relation between Carlo Michelstaedter’s thought and the social-politic structure of the late Austro-Hungarian empire. We try to demonstrate that in the Michelstaedter’s philosophical work the deepest sense of the fall of Habsburgs monarchy becomes clear assuming a meta-historical value. Due to his peripheral origin Michelstaedter could interpret in an original way the cultural, anthropological and social causes that combined to bring about the crisis of the double-headed monarchy. In our discussion we will refer to the Tatossian’s assumption that the psychoanalysis, and above all the central psychoanalytic structure of Oedipus complex, represents an useful anthropological description of the late Austro-Hungarian society.

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Notes

  1. Si dovrebbe tradurre il termine koinonia piuttosto come “comunella”.

  2. Alberto Michelstaedter, il padre di Carlo, lesse bene questo senso di rivolta contro i padri, che ha, in questa pagina della Persuasione, anche un profondo risvolto autobiografico Non a caso, il padre di Michelstaedter impose che queste pagine fossero stralciate dal testo impedendone la pubblicazione sia in occasione della prima edizione della Persuasione, curata da un amico fraterno di Carlo, Vladimiro Arangio Ruiz, ed apparsa fra il 1912 ed il 1913 per i tipi di Formiggini, sia in occasione della seconda edizione dell’opera, a cura di Emilio Michelstaedter, il cugino di Carlo, apparsa nel 1922 per i tipi di Vallecchi. Bisognerà attendere l’edizione Sansoni, del 1958, perché Gaetano Chiavacci, l’altro amico di Carlo, potesse finalmente stampare il testo nella sua interezza (Meroi 2011, 135–179).

  3. Per la storia dell’Austria-Ungheria si vedano: Mark Cornwall (1990) e Valiani (1996). Su posizioni nettamente diverse il lavoro, ormai di referenza, di François Fejtő (1988).

  4. Condividiamo perciò in larga parte l’impostazione dello psicanalista Arthur Tatossian, che nel suo Œdipe en Cacanie (1988), riporta la nascita della psicoanalisi e lo sviluppo del pensiero freudiano alla particolare situazione antropologica dell’Austria fin de siècle.

  5. Questa sigla, la cui più probabile interpretazione è che rappresenti l’acrostico del motto imperiale di Federico III d’Asburgo (Austria est orbi universo imperare, All’Austria spetta comandare sul mondo) è uno dei segni, direi quasi dei “semi”, più potenti dell’ideologia della Casa degli Asburgo d’Austria (Wheatcroft 1995).

  6. A seguito dell’Ausgleich, Trieste, Gorizia, l’Istria e la Dalmazia vennero assegnate alla cosiddetta Cisleithenia (Austria), mentre Fiume, insieme alla maggior parte del territorio croato, sotto il nome di Regno di Croazia e Slavonia, entrò a far parte della Transleithenia (Ungheria) (Buchmann 2002).

  7. Esemplare a questo riguardo è proprio la Contea Principesca di Gorizia e Gradisca, in cui i parlanti slovenofoni rappresentano il 60% della popolazione dell’intera Contea, anche se, all’interno dell’area di Gorizia città, la situazione linguistica appare completamente ribaltata, essendo la comunità italofona quella maggiormente rappresentata (Marušič 2005).

  8. Giova forse ricordare il motto, in latino, dell’Impero Austro-ungarico: inseparabiliter ac indivisibiliter, “inseparabilmente ed indivisibilmente”, dove tanto più forte è l’endiadi, quanto sempre più debole diventa la reale possibilità di conservarsi inseparabilmente uniti.

  9. E dunque l’imposizione della “censura paterna” alle pagine de La persuasione e la rettorica discendeva da una corretta interpretazione di quel che Carlo Michelstaedter sta scrivendo qui; anzi, l’interpretazione era talmente corretta che si potrebbe dire che questa censura rappresenti un’interpretazione paradossale ma corretta di queste pagine.

  10. Ci limitiamo ad un solo rimando, quello all’ormai classico Schorske (1979).

  11. L’occasione di scrittura de La persuasione e la rettorica e delle Appendici critiche che fanno tutt’uno col corpo del testo è proprio quella classicamente accademica rappresentata dalla tesi di laurea. Al termine del ciclo di studi presso l’Istituto di Studi Superiore, istituzione universitaria attiva nel capoluogo toscano fra il 1859 ed il 1924, quando si trasformò in Università di Firenze, Michelstaedter aveva chiesto ed ottenuto una tesi sul Gorgia di Platone e sulla Retorica di Aristotele a Girolamo Vitelli, uno dei maggiori grecisti italiani dell’epoca ed uno dei maggiori filologi classici italiani di sempre. In realtà la direzione che Michelstaedter diede al suo lavoro fu, fin da subito, assolutamente originale e del tutto incompatibile non solo col metodo di studi di Vitelli e della sua scuola, ma anche e soprattutto con le regole di stesura di una dissertazione accademica di fine corso. Dunque La persuasione e la rettorica ha, fin da subito, una sua piena indipendenza testuale. Michelstaedter non poté difendere il lavoro dinnanzi alla commissione di laurea, perché si suicidò il 17 ottobre del 1910, subito dopo la conclusione della tesi. Forse non è inopportuno dire che lo stesso Vitelli era già stato, otto anni prima, colpito dal suicidio del figlio venticinquenne Camillo, a sua volta giovane promessa della filologia classica, avvenuto nel 1902 a Gottinga.

  12. Il riferimento è chiaramente a Le suicide, étude de sociologie apparso nel 1897, con cui Émile Durkheim analizzava la cosiddetta “moda del suicidio” che imperversò fra fine Otto—ed inizio Novecento.

  13. Esemplare, in questo senso, la recensione di Giovanni Gentile (1922).

  14. Non mi soffermo su questo tema, che ho già avuto modo di trattare in Carmello (2017), cui mi permetto di rimandare.

  15. Quest’apologo sarà poi ripreso e discusso nella seconda delle Appendici critiche (Nota sulla triste istoria che si narra alla pagine 66 e segg., Michelstaedter 1995, 143–220).

  16. In questa, come in tutte le citazioni tratte da opere di Carlo Michelstaedter che verranno proposte nel corso della nostra discussione, si rispettano sempre le peculiarità autoriali per quanto riguarda uso dei corsivi, punteggiatura e grafia. Nel caso di abbreviazioni sciolte si seguirà l’uso di Sergio Campailla, editore sia de La persuasione e la rettorica sia dell’Epistolario. Verrà quindi riportata l’abbreviazione sciolta entro parentesi quadre.

  17. Sia in nota al passaggio qui citato dal capitolo Via alla persuasione sia in nota ad un passo de L’altro lato dell’iperbole (cfr. PR 41–42 e 93–94) Michelstaedter disegna e commenta la curva iperbolica sottesa alla discussione esposta nel testo. Nel caso poi dei quattro differenti tempi della prima parte del terzo capitolo della seconda parte di PR, ossia La rettorica nella vita, la discussione viene data come se si trattasse di una forma di analisi del calcolo matematico. Ad ognuno dei singoli tempi infatti viene data come sottotitolo un’equazione matematica che analizza un aspetto della curva iperbolica considerata.

  18. La lettera si legge a pagina 66 dell’Epistolario curato da Sergio Campailla, all’interno del quale è possibile anche vedere la riproduzione della prima pagina, vergata dallo stesso Alberto, del cosiddetto “sermone paterno”.

  19. All’inizio del “sermone” si legge infatti: “Questo ritratto non ti dà l’immagine del papà ‘’bello’ e scherzoso, è il papà severo, l’hai detto tu; del resto il papà è severo anche quando scherza, ed è poi giusto che oggi io mi ti presenti con fisionomia pensosa, perché vengo a farti gli ammonimenti della vigilia della partenza […]”, leggiamo e trascriviamo dalla riproduzione fotografica compresa nel volume dell’Epistolario curato da Campailla, si tratta della foto numero due, compresa nel primo inserto fotografico del volume, che si trova fra le pagine 44 e 45.

  20. In realtà, per il 1902, si registra una sola lettera, indirizzata dal quindicenne Carlo al fratello maggiore Gino, all’epoca emigrato a New York; Campailla non riporta la risposta del destinatario, non è quindi possibile dire se Gino non abbia effettivamente risposto al fratello, oppure se la sua lettera sia andata perduta. Il vero epistolario inizia però nel 1905, quando Carlo lascia la casa paterna alla volta di Firenze. Inizialmente l’idea della famiglia e di Carlo stesso è di fermarsi solo per un anno nella città toscana, in attesa di iniziare il corso di studi in matematica presso l’Università di Vienna (Campailla 1973); come sappiamo poi Carlo cambiò idea e si iscrisse ai corsi dell’Istituto di Studi Superiori di Firenze.

  21. Ossia il testo de La persuasione e la rettorica.

  22. Si tratta di una compagna di studi presso l’Istituto fiorentino, destinata ad avere successo come autrice di romanzi e saggi, per cui Michelstaedter provò una breve ma intensissima passione. L’iniziale proposta di matrimonio di Carlo alla ragazza provocò, come vedremo, una dura reazione da parte della famiglia Michelstaedter.

  23. È l’unica di tutto l’epistolario ad avere due destinatari, contrariamente quindi all’abitudine di scrittura di Michelstaedter che indirizza le lettere a singoli interlocutori oppure, ma solo nel caso della famiglia, coralmente a tutti i membri della cerchia familiare.

  24. Non dovrebbe essere necessario specificare che dicendo “completamente eccedente le regole” non ci riferiamo ad un’eventuale fisicità della relazione fra Carlo e Nadia. L’estraneità alle regole dei rapporti sociali ammessi dipende soprattutto dallo spirito libero dei due protagonisti, Nadia e Carlo, oltre che dalla tormentata storia biografica dell’esule russa, poco più che ventenne, discendente di un’agiata famiglia della borghesia ebraica di San Pietroburgo e però da sempre vicino agli ambienti del sovversivismo di sinistra. Nadia Grigor’evna Haimowitch ben presto sarà oggetto delle attenzioni della polizia politica zarista, poco dopo i pogrom di Odessa del 1905, di cui Nadia ha diretta esperienza, sposa un uomo, dal quale riceve il cognome Baraden, che ben presto scopre essere un agente dell’Ocharna addetto alla sua sorveglianza. È questo il motivo che ne provoca la fuga per l’Europa, a Londra prima, a Berlino poi, infine a Firenze, dove subito la personalità della giovane esule russa si mette in luce. A Firenze Nadia si suicida sparandosi alla tempia in Piazza del Duomo, in pieno giorno, fra i passanti (cfr. per tutte le notizie Campailla 2010).

  25. È probabile che il richiamo vada riferito alla lettera del 20 maggio 1907, indirizzata “alla famiglia”, con cui Carlo rivela l’innamoramento per la De Blasi e chiede ufficialmente permesso ai genitori di fidanzarsi con Jolanda, considerandola già come sua promessa sposa («Io fra 2 o 3 anni sono professore … e fra 2 o 3 anni … io me la prendo. Se voi non avete contrarietà, naturalmente.», Michelstaedter 2010, 228–229), ed alla lettera del 22 maggio indirizzata invece alla sola madre, Emma Michelstaedter. È nella lettera indirizzata alla madre che troviamo il riferimento forse più importante a Nadia Baraden, la notizia del cui suicidio raggiunge Michelstaedter durante un suo soggiorno nella casa paterna a Gorizia (telegramma a Celeste Sanesi, datato «aprile 1907», Michelstaedter 2010, 209 e lettera «Alla famiglia» del 15 aprile 1907, Michelstaedter 2010, 209–210, cfr. anche le note a p. 209 a cura di Campailla). Nella lettera Michelstaedter risponde alle accuse di volubilità, rispetto alla sua relazione con Nadia, e tradimento, rispetto all’amico Giachetti, precedentemente coinvolto con Jolanda, che, dentro l’ambientefmiliare ma anche fuori, almeno per quanto riguarda Giachetti, gli venivano rivolte (Michelstaedter 2010, 231). In parte la causa della durezza familiare verso l’infatuazione di Carlo per Jolanda va forse ricercata nell’incrocio delle relazioni di Carlo con Nadia, Jolanda e Giachetti.

  26. La lettera è datata 11 novembre 1905 ed è spedita da Firenze in occasione dell’imminente compleanno di Alberto, che ricorreva il 13 novembre. Insieme alla successiva, la seconda delle lettere inviate ad Alberto, datata 11 marzo 1906, risente ancora dell’atmosfera del ménage familiare di Gorizia. Significativamente sono queste le uniche due lettere che iniziano coll’ipocoristico “Caro Papacin” (Michelstaedter 2010, 66 e 115), segno evidente del gravitare di questi due scritti ancora nella sfera del dominio familiare. Sarà a partire dalla terza lettera, datata 31 ottobre 1906 (Michelstaedter 2010, 143), non a caso una richiesta di soldi per far fronte a spese maggiori del previsto, che Carlo inizierà a rivolgersi ad Alberto con la formula “Caro papà”, che da allora si alternerà con l’altra, “Papà mio”, che troviamo in tutte le lettere del 1907 relazionate con le vicende amorose di Carlo.

  27. Neppure per “casi biografici” ancor più estremi rispetto a quello di Carlo Michelstaedter, pensiamo soprattutto al poeta Georg Trakl, ma anche al pittore Egon Schiele, possiamo parlare di “ribellione”. Si tratta piuttosto sempre di “disvelamento”.

  28. Per i temi trattati in questo paragrafo però sono imprescindibili anche: Bini (1992), Bianco (1993) e Angelucci (2011).

  29. Ci riferiamo, chiaramente, al saggio Ornament und Verbrechen apparso per la prima volta nel 1908, con cui Loos riconduce l’ornamentazione architettonica ad una forma di spreco suntuario di materiale, tempo e spazio che è propria di quello che potremmo lombrosianamente definire “l’uomo criminale”.

  30. Altra referenza obbligata a riguardo non può che essere il saggio sul Kitsch (Der Kitsch) con cui, nel 1911, Hermann Broch risponde al saggio di Loos su ornamento e delitto.

  31. Su Loos, il suo posto nella cultura viennese e la sua relazione con Kraus si veda Gemmel (2005).

  32. Sull’importanza della frontiera in relazione alla definizione della figura intellettuale di Michelstaedter si veda Furlan (2008).

  33. Secondo la celebre definizione dell’aforisma che Kraus dà nella sezione eponima, l’ultima, di Detti e contraddetti: “L’aforisma non coincide mai con la verità; o è una mezza verità o una verità e mezzo” (Kraus 1992, 165). Che il apporto fra verità ed aforisma sia indiretto ed ironico era già stato detto da Kraus in un altro aforisma, sempre compreso in Detti e contraddetti, ma nella sezione Scrivere e leggere: “Un aforisma non ha bisogno di essere vero, ma deve scavalcare la verità. Con un passo solo deve saltarla” (Kraus 1992, 137).

  34. Dopo l’Ausgleich austroungarico del 12 giugno 1867, ed i conseguenti compromessi locali (non a caso la storiografia in lingua tedesca preferisce parlare di Ausgleichen al plurale).

  35. Così, per l’amabilità del clima, la piccolezza provinciale cui si accompagnava un cosmopolitismo già insito nella lunga storia della città, era considerata la Gorizia asburgica, che, per composizione etnica, funzione economica, importanza politica ed estensione era molto diversa dall’attuale Gorizia.

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Carmello, M. Assicurarsi: una visione della “finis monarchiae” dai limiti dell’Impero. Considerazioni intorno a Carlo Michelstaedter. Neohelicon 45, 35–54 (2018). https://doi.org/10.1007/s11059-018-0428-y

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